Albero
di C. Lapostolle
L'uso di raffigurare a., sia con intenti puramente decorativi, sia con contenuti di carattere simbolico, passò, senza apparente soluzione di continuità e mantenendo caratteri iconografici generalmente comuni, dall'età classica all'arte paleocristiana e, da questa, all'arte medievale. Nonostante l'estrema varietà e differenziazione dei contesti iconografici in cui compaiono raffigurazioni di a., nell'arte occidentale come in quella orientale, è possibile, in linea di massima, operare una classificazione sia sul piano formale, sia su quello della funzione simbolica dell'immagine.
Nella cultura figurativa occidentale il tema dell'a. presenta un numero particolarmente considerevole di varianti iconografiche e simboliche, con l'elaborazione di diverse tipologie e forme.
Nell'arte paleocristiana anche là dove non è possibile identificare i singoli tipi di a. rappresentati, è evidente nella resa un'attenzione per il dato naturalistico che diminuì progressivamente nelle arti carolingia, ottoniana e bizantina, pur mantenendosi le forme dell'a. paleocristiano.
L'arte romanica raramente rappresentò a. precisamente identificabili; all'a., come ad altri elementi dell'immagine, venne spesso attribuito un ruolo puramente ornamentale in cui una dettagliata resa naturalistica venne spesso trascurata. Così una miniatura con la Bella foresta dei Carmina Burana (Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4660, c. 64v, sec. 13°), che esprime bene la varietà degli a., presenta però specie impossibili da identificare e ne rende evidente solo l'innumerabilità. Le rappresentazioni di paesaggi o di luoghi tendono d'altra parte a scomparire dall'immagine romanica: la presenza di un a. è legata strettamente a ragioni iconografiche.
Allontanandosi dal riferimento al mondo reale, l'arte romanica fece riemergere il ruolo strutturale dell'a. nell'immagine, la sua capacità di istituire un rapporto di corrispondenza formale con un personaggio o con un gruppo di cui definisce il contesto ambientale. Tale 'rima' può assumere un valore iconografico (il luogo dell'eremita, del poeta) o servire semplicemente alla distribuzione dei personaggi nella scena. Spesso inoltre l'a. separa, si oppone e in questo caso l'oltrepassarlo può diventare segno di trasgressione. L'a. può porsi infine all'interno dell'immagine come polo alternativo a quello 'civilizzato' rappresentato da una architettura: esso allora compare, nella composizione, dalla parte di personaggi che si ritirano nel deserto o si avventurano nella foresta.
L'aderenza ai modelli reali rinacque con la scultura gotica e, a partire dal sec. 13°, i nuovi testi illustrati (bestiari inglesi, romanzi cavallereschi) fecero ricorso agli a. per creare uno sfondo ambientale per scene a carattere narrativo.
Gli a., rappresentati con crescente precisione, si moltiplicarono, presero posto a diverse altezze nell'immagine per formare poi, a partire dal sec. 14°, veri e propri paesaggi, creando boschi e foreste che costituiscono lo sfondo delle scene.
Simbolismo. - Il simbolismo medievale dell'a. si articola intorno ai due poli offerti dall'a. della vita e dall'a. della conoscenza del giardino dell'Eden (Gn. 2, 8-10). Il primo, spesso con l'aspetto di una vite o di una palma, si lega ai temi del rinnovamento, della vita eterna e simbolizza il cosmo, l'uomo, il Cristo, la croce, il paradiso. Il secondo, spesso un fico, un melo, o un a. secco, connota la sterilità, la morte. Presi insieme, i due a. servono a esprimere valori contraddittori, virtù e vizi. Il valore positivo tuttavia prevalse sulla connotazione negativa e tese a riversarsi sull'a. della conoscenza, così che spesso è difficile distinguerlo dall'a. della vita. Ciò si avverte particolarmente nei rapporti dei due a. con la croce, di cui l'a. della conoscenza dovrebbe costituire l'origine materiale, mentre l'a. della vita ne è il tipo mistico.
Prescindendo dalla Genesi, la sola menzione esplicita di uno dei due a. nella Bibbia è quella dell'a. della vita dell'Apocalisse (22, 2). La maggior parte degli a. biblici si divide tuttavia facilmente in positivi o negativi. Dalla parte dell'a. della vita si collocano gli episodi in cui l'a. è collegato al tema della discendenza (Gn. 2, 6; 18, 1; Is. 11, 1), dove la metafora dell'a. in fiore serve a indicare l'uomo (Sal. 1, 3; 52, 10; 92, 13). La stessa metafora si sviluppa anche in senso negativo (Dn. 4; Ez. 31) o si riduce all'immagine del fico sterile (Mt. 3, 10; 7, 19; 21, 19; Lc. 3, 9; 13, 7; Gv. 1, 48). Gli a. della morte di Assalonne (2 Sam. 18, 9) e dell'apologo di Iotam (Gdc. 9, 7-15), che non entrano nel gioco di opposizioni precedente, sono in genere occasione per la rappresentazione di una foresta.
Al di fuori della Bibbia, alcune leggende diedero all'a. uno spazio che gli offrì la possibilità di comparire nelle raffigurazioni: il racconto degli uomini mutati in a. nel settimo girone dell'Inferno della Divina Commedia; l'apologo del romanzo orientale di Barlaam e Iosafat, in cui l'a. è simbolo della vita umana, roso da due topi, uno bianco e l'altro nero, che rappresentano il giorno e la notte; gli a. orientali del sole e della luna descritti dai viaggiatori in Oriente.
L'albero della vita. - La rappresentazione simbolica del paradiso attraverso l'a. della vita è molto antica nell'arte ebraica; durante il Medioevo si conservò nella miniatura, in cui l'a. venne spesso associato agli oggetti del tabernacolo (Ameisenowa, 1938-1939); essa conobbe una notevole diffusione anche nell'arte cristiana. L'a. compare isolato in numerosi mosaici dei secc. 4°-6°; può inoltre unirsi ad altri motivi paradisiaci, raddoppiarsi ai due lati di Cristo o anche moltiplicarsi, come avviene nel registro superiore della cupola del battistero di Firenze, del 13° secolo. La Chiesa trasse dalla simbologia ebraica anche l'associazione fra l'a. e il candelabro e ciò spiega perché il coro di alcune chiese bizantine sia delimitato da candelabri arborescenti (Grabar, 1956).
L'associazione tipologica fra l'a. della vita e la croce, che attraversa tutto il pensiero medievale, assunse importanza particolare nel mondo carolingio e poi nell'ambiente francescano.
Nelle immagini, l'a. può sostituire la croce, inquadrato da motivi (come le rosette astrali, figure semplificate del sole e della luna) che normalmente sono a essa associati. I due temi possono fondersi nella croce con i bracci prolungati da motivi vegetali, tipo frequente nell'Alto Medioevo (Talbot Rice, 1950). A partire dall'epoca carolingia la croce può a volte assumere forme del tutto fitomorfe che alla fine del Medioevo risultano sempre meno stilizzate (Schiller, 19722). Il mosaico absidale di S. Clemente a Roma riunisce i temi principali intorno a cui si snoda il simbolismo dell'a. della vita: una vite, che una iscrizione designa come la Chiesa, offre agli eletti i propri viticci che nascono da una croce centrale da cui scaturiscono anche i fiumi del paradiso. Più tardi, illustrazioni sintetiche come quelle dello Speculum humanae salvationis collegarono i temi della genealogia di Cristo con quelli del paradiso e della redenzione, prolungando la parte inferiore della croce con un a. di Iesse. Nel sec. 12° Gioacchino da Fiore si ispirò allo stesso a. e alla organizzazione del tempo che esso propone per rendere visivamente la sua concezione della storia come una successione di periodi che si generano l'uno dall'altro (Reeves, 1956).Derivano da questo modello anche gli a. genealogici e gli a. delle classificazioni del sapere, che compaiono nella stessa epoca, in Corrado di Hirschau e nel Liber floridus di Lamberto di Saint-Omer per organizzare in forma schematica i vizi e le virtù e poi estendersi ad altri temi (Schmitt, in corso di stampa).
All'opposto dello schematismo degli a. del sapere, una illustrazione letterale dell'a. della vita si trova sotto la forma di un a. con teste umane, che ha numerose corrispondenze leggendarie (Baltrušaitis, 1955): l'a. wāq wāq descritto dai viaggiatori in Oriente, il Kindlibaum germanico, l'a. coperto di teste piangenti visto, secondo una leggenda diffusa nel sec. 13°, da Set, figlio di Adamo, nel giardino dell'Eden. È tuttavia difficile stabilire un rapporto fra questi a. e gli a. di teste che si moltiplicarono nelle immagini germaniche nel 12° e 13° secolo. Come testimonia la rappresentazione nell'Hortus deliciarum di Herrada di Landsberg (già a Strasburgo, Bibl. Mun.), in cui Dio coglie Eva da un a. di teste, accanto ad Adamo addormentato, quelle immagini devono piuttosto essere messe in relazione con l'evocazione teologica di un'età dell'oro anteriore a quella della generazione per mezzo della donna, età in cui l'a. era la fonte della vita umana.
A questo a. 'pregenealogico' si sovrappone il tema paradisiaco dell'a. popolato da eletti sotto forma di personaggi nudi che si arrampicano o che colgono frutti, da uccelli che sono simbolo delle anime, o da visi, tema che può fondersi con un altro motivo paradisiaco, quello degli eletti nel seno di Abramo (Salterio Chlandol, sec. 9°).
A. con teste animali, derivazioni di quelli con teste umane, compaiono in trattati geografici (Livre des merveilles, ca. 1410, Parigi, BN, fr. 2810, c. 210). La tomba di Enrico di Festingen (della fine del sec. 13°), porta una nota funebre al tema mescolando nella decorazione teschi e teste di angeli.
L'albero della conoscenza. - La forma chiaramente negativa dell'a. della conoscenza ottenne, prima della fine del Medioevo, un successo iconografico limitato. Interpretato dai testi come figura della Sinagoga o dell'eresia, fu anche rappresentato come supporto al trionfo della vita e il suo rapporto con la croce si prestò in modo particolare a tale scopo. La designazione dell'a. della conoscenza come origine materiale della croce non conobbe una diffusione significativa se non a partire dal sec. 13°, con la Legenda aurea. Tuttavia le numerose immagini di croci di epoca carolingia (coperta del Libro delle Pericopi di Enrico II, Monaco, Bayer. Staatsbibl., Clm 4452), intorno alle quali si arrotola un serpente, non lasciano dubbi sul tipo di a. rappresentato. Queste immagini possono essere accostate a quella dell'a. che sostiene il Cristo dentro una mandorla e intorno a cui si arrotola qualche volta il serpente o all'immagine paleocristiana della palma su cui poggia una fenice, simbolo della resurrezione, che rappresentano sempre il trionfo del 'nuovo Adamo' sull'a. del peccato. Questo trionfo si esprime in genere con l'aspetto fiorente dell'a., la cui immagine si confonde con quella di un a. della vita. Lo stesso aspetto gli può essere riservato nelle carte geografiche o nelle illustrazioni del Romanzo del buon re Alessandro che mostrano l'a. orientale sul quale sta posata la fenice, designato però dai testi come 'a. secco'. Alla fine del Medioevo una variante di questa formula si diffuse nell'arte profana con la tipologia dell'a. secco che rinverdisce, simbolo del trionfo della vita.
I due alberi. - Il carattere negativo dell'a. della conoscenza si rinforza all'interno della contrapposizione a. secco-a. vivo che esso costituisce con l'a. della vita, tema che si diffuse alla fine del Medioevo. Oltre alle rare presenze in contesti paradisiaci di epoca anteriore (Will, 1948), a partire dal sec. 12° i due a. possono rappresentare la contrapposizione della Chiesa e della Sinagoga od opporre il campo degli eletti a quello dei dannati, come nel portale del Giudizio universale della cattedrale di Amiens.
Questa duplice raffigurazione ebbe notevole diffusione in quanto influì sull'iconografia dell'a. delle classificazioni. Dopo la palma del Liber floridus, del sec. 12°, che opponeva nei suoi rami, insieme, i vizi e le virtù, i rami ricadenti dell'a. dei vizi furono correntemente contrapposti ai rami ascendenti dell'a. delle virtù. Ampiamente diffusa in una forma schematica e semplificata, la coppia di a. si arricchì poi di nuovi elementi iconografici. Le radici dell'a. del male si mutarono in teste di draghi e il fogliame poté divenire il trono dell'antivergine, come nel Giardino di Soulas (Parigi, BN, fr. 9220, c. 10, inizi del sec. 14°); l'a. del bene, circondato da fonti e da vergini, si sviluppa, nella sequenza delle pagine, in un vero giardino in cui ogni virtù diventa a sua volta un albero.
Lo schema consueto, che consiste nell'inquadrare la croce fra due a., dà la misura della 'vaghezza' della sua associazione con l'uno o l'altro dei due a. del paradiso. Nella maggior parte dei casi si trovano due a. vivi e simili, cioè due a. della vita. Prima della fine del Medioevo è raro che la croce sia fiancheggiata da due a. secchi o da due a. di aspetto diverso. Tuttavia l'immagine, frequente nel sec. 15°, di due a., uno verdeggiante e l'altro secco, che compaiono soprattutto nella Crocifissione, l'uno accanto a Maria, l'altro accanto a Eva (Guldan, 1966), suggerisce la possibilità di riconoscere l'a. secco anche nelle immagini in cui i due a. sono identici.
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di A. Santoro
Il mondo orientale, fin da epoca assai remota, aveva sviluppato un'ampia riflessione sui valori simbolici connessi con l'idea e l'immagine dell'albero. Questa riflessione proseguì anche nel periodo medievale, presentandosi insieme come continuazione e approfondimento delle più antiche tradizioni e come adattamento dell'antico simbolo a nuovi e diversi valori religiosi. È ben noto come l'ampia gamma di valori simbolici connessi ed espressi dall'a. derivi dal fatto che esso non solo si eleva al centro del cosmo, ma coincide con lo stesso centro sacro, divenendo come quest'ultimo generatore inesauribile di infinite valenze. Piuttosto che procedere a elencare i diversi significati che questa immagine continua a esprimere si preferisce indicare alcuni usi di questo ideogramma più specificamente caratteristici di particolari orientamenti di pensiero religioso, nuovi o comunque scarsamente documentati in precedenza.
Uno dei valori ricorrenti connesso con l'a. è quello di axis mundi (espresso anche dal pilastro e dalla colonna) che, 'orizzontalmente' parlando, indica il centro da cui si espande e in cui viene riassorbito il reale, mentre 'verticalmente' indica la linea di collegamento e comunicazione dei tre livelli, gli inferi, la terra, il cielo. Nella religiosità centroasiatica questa lettura 'verticale' dell'a. è ripetutamente riproposta nel viaggio ascensionale che lo sciamano deve compiere arrampicandosi lungo il tronco di una betulla, ricostituendo così ritualmente la comunicazione interrotta fra cielo e terra.
Fin dai tempi remoti l'a. era stato assunto in Oriente come ideogramma del cosmo. Una particolare applicazione di questa simbologia è offerta dall'a. capovolto, le cui radici affondano nel cielo mentre il tronco e i rami si distendono verso la terra. L'immagine dell'a. capovolto, presente già nei testi vedici, è ampiamente riproposta nella Bhagavadgītā, e compare anche nella tradizione islamica, ove al centro del paradiso si eleva un a. celeste con le radici in alto e i rami in basso.
L'antico simbolo dell'a. della vita, forse originario del Vicino Oriente, ma comunque ampiamente diffuso in tutta l'Asia, continuò a essere usato sia come segno della rigenerazione del cosmo, sia come simbolo di rinascita dell'uomo, sia essa una resurrezione o una reincarnazione. A quest'ultimo aspetto sembra riferibile un'eccezionale testimonianza figurativa proveniente dall'antica città centroasiatica di Subashi (oasi di Kucha) e databile al 7° secolo. Si tratta di un reliquiario ligneo (Parigi, Mus. Guimet), decorato lungo il corpo cilindrico da un fregio raffigurante quattro a. stilizzati, disposti simmetricamente e a due a due uguali. Il primo di essi ha la chioma a forma di massa ovoidale, punteggiata da semenze blu; lo affiancano due musicanti con il volto ricoperto da una maschera teriomorfa; il secondo ha tre rami coronati da melograni ed è affiancato, secondo uno schema ben noto fin nel mondo mesopotamico, da due uccelli; completano il fregio figure femminili racchiuse entro medaglioni circolari. Come suggerisce Gaulier (1973), i due a. alludono rispettivamente all'a. della vita in 'letargo', che contiene in sé in potenza ogni forma di vita, e all'a. in piena fioritura, il cui frutto, il melograno, è da sempre simbolo di ogni rinascita. L'antico simbolo si presenta in questa figurazione affiancato da personaggi mascherati, particolare quest'ultimo che allude a una religiosità locale non esattamente definibile. La collocazione dell'a. della vita su un reliquiario indica comunque l'utilizzazione del simbolo cosmogonico per eccellenza in un contesto più specificamente umano, un chiaro riferimento alla rinascita o resurrezione dell'anima.
Come testimonianza delle variazioni iconografiche che questo antico simbolo presenta in particolari contesti religiosi, vale la pena di menzionare una pittura parietale di soggetto manicheo proveniente da Bäzäklik, uno dei centri dell'oasi di Turfan, grotta 17.
Dietro un trono, o forse un oggetto rotondo, si eleva un a. con tre tronchi, ognuno dei quali si biforca in due rami: dal fogliame pendono forse grappoli. Ai lati dell'a. due gruppi di auditores sono rappresentati in atteggiamento di adorazione. Si tratta indubbiamente di un a. della vita, assunto nel manicheismo a simbolo del regno della luce: come suggerisce Klimkeit (1982), è probabile che i tronchi indichino le tre direzioni dello spazio (N, E e O; a S, com'è noto, si estendono le tenebre) in cui, secondo la cosmologia manichea, si espande la luce. Se l'uso dell'a. come ideogramma del cosmo è antico, l'a. triplice è invece un simbolo squisitamente manicheo: questo esempio dimostra che l'a. era ancora sentito come un segno vitale e attivo, capace non solo di esprimere significati antichi, ma anche di modellarsi su nuovi valori e su un diverso sentire religioso.
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