MOROSINI, Albertino
– Figlio di un Michele che, secondo gli eruditi veneziani dei secoli XVI-XVIII, fu podestà di Faenza nel 1240 e, sempre secondo fonti erudite, di Agnese Corner del fu Andrea, appartenne al ramo poi denominato «dalla Sbarra». La data di nascita è ignota, ma la sua prima attestazione del 1261 come membro del Maggior Consiglio la fa collocare fra gli anni Trenta e l’inizio degli anni Quaranta del XIII secolo.
Nelle fonti venete della prima metà del XIII secolo sono attestati due Albertino Morosini: nel 1238 il podestà dei veneziani a Costantinopoli e negli anni 1255-57 il duca di Candia. Alla luce della data di morte (1305), la prima delle due cariche può essere esclusa per ragioni anagrafiche, mentre sulla seconda non è possibile esprimere un’opinione fondata. Ebbe certamente due sorelle: Geneure e Tommasina. Marco Barbaro, nel suo albero genealogico, aggiunge anche un fratello Paolo; mentre per Girolamo Alesandro Cappellari sarebbero da annoverare tra i suoi fratelli anche Giovanni, Marino, Tommaso e Albano (‘bano’ di Dalmazia). Nessuna evidenza documentaria è tuttavia emersa riguardo a queste parentele.
Membro di una famiglia veneziana fra le più rappresentative per potenza economica e importanza politica, ebbe numerosi incarichi istituzionali: fu, infatti, membro del Maggior Consiglio ripetutamente tra il 1261 e il 1283 e, dal 1274 al 1276, conte di Zara (Zadar, Croazia): in tale veste promosse la ripartizione dei pascoli e degli incolti (Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium, 1868, n. DC) e favorì nell’agosto 1274 un patto di riconciliazione tra Venezia e la comunità croata di Almissa (Omiš), nota all’epoca per promuovere ripetute azioni di pirateria nell’Adriatico (Monumenta spectantia historiam Dalmatarum, 1926-27).
Il patto è stato interpretato da Roberto Cessi come un tentativo di ostacolare l’ascesa alla corona d’Ungheria da parte di Carlo I d’Angiò. Sebbene simili dinamiche non risultino immediatamente evidenti, è indubbio che proprio nel 1274 si acuì la lotta di Carlo contro la pirateria adriatica, in particolare almisana. Probabilmente in tale frangente i pirati di Almissa ritennero saggio proteggersi alleandosi con Venezia, che a sua volta sfruttò l’occasione per cercare di contenere le spinte espansionistiche angioine.
Dopo Zara, Morosini divenne balivo veneziano ad Acri (1277-78) dove concluse – tramite la mediazione dei Templari – un importante trattato con Giovanni di Montfort, signore di Tiro.
Anche quest’accordo, che riportò i veneziani nella città, ebbe in parte valenza antiangiona: o così almeno venne interpretato nelle cronache tre-quattrocentesche del Templare di Tiro, di Andrea Dandolo e di Lorenzo de’ Monaci. Proprio nel 1277, infatti, Carlo I aveva acquistato il titolo di re di Gerusalemme da Maria di Antiochia e inviato negli Stati cristiani d’Oriente come suo rappresentante Ruggero conte di San Severino. L’accordo venne confermato e parzialmente modificato nel 1283, grazie ancora alla consulenza di Morosini, chiamato a partecipare a una speciale commissione per la riforma dell’atto.
Ritornato nel Maggior Consiglio (1278-79), ricoprì la carica di podestà di Treviso (1° luglio 1280 - 30 marzo 1281) nel corso della quale stipulò col doge di Venezia un patto che regolava il possesso dei beni nel territorio di San Cataldo (Arch. di Stato di Venezia, Pacta Ferrarie, c. 90). Dopo una nuova elezione in Maggior Consiglio (marzo 1283), divenne l’anno successivo podestà di Chioggia, ma l’incarico venne bruscamente interrotto dalla sua chiamata a podestà di Pisa nel gennaio 1284 (Deliberazioni, III, p. 58 n. 214). Qui, tuttavia, Morosini giunse solo nel marzo accompagnato dal figlio Marino (detto «Martino» nelle cronache pisane), già membro del Maggior Consiglio nei tre anni precedenti.
L’inasprirsi delle ostilità tra Pisa e Genova portò, nel giugno 1284, alla sua nomina a «signore generale de la guerra di mare» e alla sua temporanea sostituzione, nell’esercizio del potere podestarile, col figlio Marino (Fragmenta…, coll. 646 s.; Jacopo Doria, p. 56). Nel corso dell’estate condusse la flotta direttamente su Genova in un tentativo di attacco a sorpresa che venne però vanificato dal maltempo. Spostatosi inizialmente in Costa Azzurra, decise di tornare a Porto Pisano passando da Capo Corso. Nell’agosto 1284 su una flotta di 66 legni i genovesi Oberto Spinola e Oberto Doria si diressero verso le secche della Meloria, al largo della costa toscana. La flotta pisana, comandata da Morosini, li affrontò con 72 unità. L’intervento di altre 30 navi genovesi al comando di Benedetto Zaccaria determinò probabilmente la vittoria di Genova, che fece circa 10.000 prigionieri, tra cui lo stesso Morosini, gravemente ferito al volto.
Pur avendo rivestito cariche di grande rilievo per il Comune di Venezia per buona parte della sua vita, Morosini è ricordato nella produzione storiografica degli ultimi due secoli soprattutto per essere stato uno fra i principali protagonisti della battaglia della Meloria che – secondo una visione oggi sorpassata – avrebbe segnato il tramonto della potenza mediterranea di Pisa. Il suo ruolo in quest’ambito è stato discusso soprattutto in relazione alle motivazioni che avrebbero portato alla sua nomina a podestà: quanto pesarono le origini veneziane nella scelta, ossia la speranza che la città adriatica potesse fornire un appoggio non solo formale nel contrasto tra Pisa e Genova? Furono invece determinanti le sue presunte capacità di uomo di mare? A tal proposito Roberto Sabatino Lopez ritiene la chiamata di Morosini finalizzata a porre a comando della flotta un uomo capace (1933, p. 126); di parere contrario Ugo Tucci (1984), che osserva come i podestà pisani che lo avevano preceduto – in particolare il trevisano Gherardo Castelli o il novarese Filippo Tornielli – non mostrassero alcuna significativa conoscenza nel settore, pur essendo nominati in un clima di ostilità crescenti tra Genova e Pisa. Certo Morosini, in quanto veneziano, non poteva essere digiuno di conoscenze marinare ma nulla nella carriera sua politica anteriore al 1284 fa presumere un’esperienza peculiare in strategie belliche navali. Ciò da un lato rafforza l’ipotesi che a determinare la scelta vi fossero ragioni diplomatiche tese a consolidare le relazioni tra Pisa e Venezia (come ipotizzato dal cronista genovese Jacopo Doria: Puncuh, 2001), mentre dall’altro conferma un giudizio sostanzialmente negativo sulle capacità strategico-militari mostrate da Morosini nell’estate del 1284 (Ciano, 1984). Riguardo al significato che poteva avere per Venezia la presenza di propri podestà a Pisa, è stato rilevato comeproprio nella seconda metà del XIII secolo si accrebbe la presenza di veneziani nelle cariche istituzionali dei comuni del Centro-Nord (Crouzet-Pavan, 1992).
Già il 19 agosto successivo Venezia deliberava di inviare a Genova tre ambasciatori, fra cui uno dei figli del doge Giovanni Dandolo, per chiedere la liberazione di Morosini (Deliberazioni, III, pp. 79, 81, nn. 116, 117, 123; Annali genovesi..., 1929, pp. 57 s.). Genova gli concesse la libertà in cambio della parola di non tornare a governare Pisa, anche se il figlio continuò a ricoprire la carica di podestà vicario fino alla chiamata di Ugolino della Gherardesca il 18 ottobre 1284 (Fragmenta…, col. 648; Cristiani, 1957-58, p. 94). Tornato in patria, Morosini riprese posto nel Maggior Consiglio dove è attestato nel luglio 1285 (I trattati con Bisanzio, doc. 11); nel 1288 ospitò nella propria dimora la definizione di una sentenza promulgata contro la comunità di Arbe in Croazia (Diplomatički..., 1908, pp. 178-180 n. 107); l’anno successivo diventò duca di Creta, proprio quando scoppiò rivolta di Alessio Kalergis (Deliberazioni, III, p. 237 n. 48; de’ Monaci, 1758, p. 162; Borsari 1963); dal 29 luglio a una data anteriore al 16 dicembre 1290 ricoprì nuovamente la carica di podestà di Chioggia (Gradenigo, 1767; Perini, 2006).
Dopo il 1290 Morosini non ricoprì più cariche ufficiali per conto di Venezia, quasi certamente per le vicende familiari che lo videro impegnato con la corona d’Ungheria: proprio nel 1290 era infatti salito al trono un suo nipote, Andrea, figlio della sorella Tommasina e di Stefano, a sua volta figlio di Andrea II di Ungheria e della terza moglie Beatrice d’Este. Alla morte del cognato Stefano (1272), Morosini allevò Andrea, ne curò gli interessi patrimoniali e promosse nel 1286 il suo matrimonio con Clara, figlia del duca Alberto di Gorizia (Firnhaber, 1849, pp. 201 s., n. XIV). La cura degli interessi patrimoniali della sorella e del nipote compresero anche il recupero del patrimonio italiano di Stefano. Costui infatti, dopo l’esilio, si era sposato in prime nozze con Traversara, figlia di Guglielmo Traversari, membro di una potente famiglia di Ravenna. Il 13 ottobre 1281 Morosini si recò a Ravenna in tribunale per fare valere i diritti di Andrea sull’eredità di Traversara (Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Ms. Lat., X.278 [2800] cc. 24-25).
Morosini non tardò ad avvertire i benefici effetti dell’incoronazione del nipote: nel 1292 i grandi del Regno lo aggregarono alla nobiltà ungherese; nel 1293 la nipote Costanza, figlia di Michele, sposò Vladislav di Serbia, figlio del re Stefan Dragutin; nel 1299 il re di Ungheria lo istituì erede di ultimo grado tra i suoi figli, investendolo inoltre del ducato di Slavonia e della contea di Possega (Nardi, 1840; de’ Monaci, 1758, p. 231). Tuttavia la morte di Andrea (14 gennaio 1301) rese poco più che nominali tali diritti: si aprì infatti per l’Ungheria un contrastato periodo di interregno, che vide Ottone III di Baviera, Venceslao (poi III) di Boemia e Carlo Roberto d’Angiò proclamati sovrani da tre differenti fazioni della nobiltà. La situazione politica incerta non spense le aspirazioni di Morosini, che pochi mesi dopo la morte del nipote (Codex Diplomaticus Hungarie…, n. V, p. 25) si fece confermare da un legato apostolico i privilegi acquisiti e ne dispose addirittura nel testamento nella speranza che la situazione prima o poi si rasserenasse.
Gli incarichi politico-amministrativi e il coinvolgimento con la corona ungherese non impedirono a Morosini – che rimane un tipico esponente d’alto rango del patriziato veneto del Duecento – di occuparsi in maniera assidua del patrimonio familiare. Non è facile stabilire quanto gli impegni ufficiali, specialmente quelli in Terraferma, abbiano favorito oculate strategie di arricchimento, perché non è chiara l’entità del patrimonio familiare di partenza: l’insieme dei suoi beni è percepibile solo in maniera vaga e non è quantificabile dal suo testamento. La ricca documentazione privata sembra tuttavia tratteggiare un patrimonio ampio, concentrato soprattutto nei distretti di Venezia, Chioggia, Padova e Treviso. Morosini fu particolarmente attivo nel rivendicare o difendere ripetutamente i suoi diritti patrimoniali in tribunale. Le occasioni di vertenza tra i proprietari veneziani in Terraferma e i locali erano infatti all’epoca estremamente frequenti. Nelle controversie la causa era di norma affidata ai giudici dei tribunali locali, il che sovente esponeva il proprietario veneziano a un possibile giudizio sfavorevole, cui ci si poteva opporre solo ricorrendo all’appoggio del Comune che normalmente concedeva il diritto alla rappresaglia. Tale evento si verificò per Morosini nel 1293, quando Venezia gli concesse il diritto alla rappresaglia contro Treviso (Pozza, 1995), dopo che, approfittando della crisi di capitali in cui versavano i grandi monasteri veneziani nel corso del XIII secolo, aveva acquistato proprietà in abbandono o sotto-utilizzate (Hocquet, 1995). Morosini risulta attestato, inoltre, come prestatore su pegno immobiliare sempre nei distretti della Terraferma dove rivestì cariche istituzionali. Alcuni prestiti che concesse ai locatori fanno supporre che nei contratti fossero incluse operazioni di miglioramento dell’immobile, come ad esempio di drenaggio per rendere i terreni prativi; altre volte sono testimoniati semplici atti di acquisizione in seguito all’insolvenza dei debitori.
Sposato con una non meglio identificata Marchesina, Morosini ebbe quattro figli legittimi – Michele, Marino, Cubitosa e Caterina – e una figlia naturale Tommasina. Quando fece redigere il proprio testamento, Marino era già morto: nel testo, oltre alle disposizioni relative l’eredità, si preoccupò di ordinare opere musive per la sua tomba, posta nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo (Arch. di Stato di Venezia, Procuratori di S. Marco, b. 127; Tucci, 1984).
Non esistono attestazioni di Morosini posteriori al suo testamento, datato 5 novembre 1305.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Pacta Ferrarie, c. 90 (9 marzo 1281); Cancelleria inferiore, bb. 10, 108; Codex Tarvisinus, cc. 236v-242; Liber Pactorum, c. 53; Procuratori di S. Marco, Misti, b. 127; S. Cipriano di Murano, in Mensa patriarcale (1024-1863), pp. 428-430; M. Barbaro, Arbori de’ patritii veneti (ms. del XVI sec.), V, cc. 319-384; Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Ms. lat., X.278 (2800), cc. 13, 21, 24-25; G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto (ms. del XVIII sec.), XXXIII, cc. 118-126; Fragmenta historiae pisanae auctore anonymo, in Rerum Italicarum Scriptores, XXIV, Mediolani 1738, coll. 643-672; Lorenzo de’ Monaci, Chronicon de rebus venetis…, Venezia 1758; F. Nardi, Tre documenti della famiglia Morosini, Padova 1840; Codex diplomaticus Hungariae ecclesiasticus ac civilis, a cura di G. Fejér, VII, 7 suppl. (1301-1342), Buda 1848; F. Firnhaber, Heinrich Graf von Hardeck, Burggraf von Duino, Iudex provincialis in Oesterreich (☨ 1270)…, in Archiv für österreichische Geschichte, II (1849), pp. 173-209;Magyar Történelmiemlékek, in Monumenta hungariae historica. Diplomataria, a cura di E. Osztály, VIII, Pest 1862; Templier de Tyr, Chronique, in Les gestes des Chiprois: recueil de chroniques françaises, écrites en Orient aux 13. & 14. siècles, a cura di G. Raynaud, Genève 1887, pp. 139-334; Monumenta spectantia historiam Slavorum meridionalium, I, Zagreb 1868; C. Manfroni, Le relazioni di Genova con Venezia dal 1270 al 1290 (con documenti inediti tratti dall’Arch. di Stato di Venezia), in Giorn. stor. e letterario della Liguria, II (1901), pp. 361-401; Codex diplomaticus Regni Croatiae, Dalmatiae et Slavoniae - Diplomatički Kbornik kraljevine Hrvatske, Dalmacije i Slavonie, vol. 6, a cura di T. Smičiklas, Zagreb 1908; Monumenta spectantia historiam dalmatarum, in Arch. stor. per la Dalmazia, I-II (1926-27); Annali genovesi di Caffaro e de’ suoi continuatori (secc. XII-XIII), a cura di C. Imperiale di S. Angelo, V, Roma 1929, pp. 50-60; Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, a cura di R. Cessi, Bologna 1934; A. Dandolo, Chronica…, a cura di E. Pastorello, in Rerum Italicarum Scriptores, n.s., XII, Bologna 1939; E. Cristiani, Gli avvenimenti pisani del periodo ugoliniano in una cronaca inedita, in Boll. stor. pisano, XXVI-XXVII (1957-58), pp. 3-104; P. Lisciandrelli, Trattati e negoziazioni politiche della Repubblica di Genova (958-1979). Regesti, in Atti della Soc. ligure di storia patria, n.s., I (1960); Notaio di Venezia del secolo XIII (1290-1292), a cura di M. Baroni, Venezia 1977; G. Da Vallecchia, Libri Memoriales, a cura di M.N. Conti, La Spezia 1978; I trattati con Bisanzio 1265-1285, a cura di M. Pozza - G. Ravegnani, Roma 1996 («Pacta veneta», 6). V. inoltre: G. Gradenigo, Serie dei podestà di Chioggia, Venezia 1767 (rist. anast., ibid. 1999); G. Vianelli, Nuova serie de’ vescovi di Malamocco e Chioggia, I, Venezia 1790, p. 311; R. Cessi, La tregua tra Venezia e Genova nella seconda metà del secolo XIII, in Arch. veneto-tridentino, IV (1923), pp. 25 s.; R.S. Lopez, Genova marinara nel Duecento…, Milano 1933; G. Rossi Sabatini, L’espansione di Pisa nel Mediterraneo fino alla Meloria, Firenze 1938; S. Borsari, Il dominio veneziano a Creta nel XIII sec., Napoli 1963; R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, Milano-Messina 1968; R. Manselli, Espansione mediterranea e politica orientale dei primi Angioini a Napoli, in Gli Angioini di Napoli e di Ungheria, Colloquio italo-ungherese…1972, Roma 1974, pp. 175-186; U. Tucci, Alberto M. podestà veneziano di Pisa alla Meloria, in Genova, Pisa e il Mediterraneo tra Due e Trecento. Per il VII centenario della battaglia della Meloria, in Atti della Soc. ligure di storia patria (n. monografico), n.s., XXIV (1984), pp. 212-227; C. Ciano, Le navi della Meloria, caratteristiche costruttive e di impiego, ibid., pp. 399-415 (in partic., pp. 629-632); G. Pistarino, Politica ed economia del Mediterraneo nell’età della Meloria, ibid., pp. 23-49; M. Tangheroni, La situazione politica pisana alla fine del Duecento tra pressioni esterne e tensioni interne, ibid., pp. 83- 109; L’anno della Meloria: 1284, Pisa 1984; D. Aquilano, La pirateria nell’Adriatico svevo e angioino, in Pirati e corsari in Adriatico, a cura di S. Anselmi, Milano 1988, pp. 37-44; M. Pozza, Podestà e funzionari veneziani a Treviso e nella Marca in età comunale, in Istituzioni, società e potere nella Marca trevigiana e veronese (secc. XIII-XIV)…, Atti del convegno, Treviso… 1986, a cura di G. Ortalli - M. Knapton, Roma 1988, pp. 661-680; G. Netto, I podestà di Treviso comunale, in Atti e memorie dell’Ateneo di Treviso, n.s., X (1992-93), pp. 7-62; É. Crouzet-Pavan, «Sopra le acque salse»: espaces, pouvoir et société à Venise à la fin du Moyen Age, Roma 1992; J.-C. Hocquet, La politica del sale, in Storia di Venezia, II, L’età del Comune, a cura di G. Cracco - G. Ortalli, Roma 1995, pp. 713-737; M. Pozza, I proprietari fondiari in terraferma, ibid., pp. 661-680; É. Crouzet-Pavan, Venise et le monde communal: recherches sur les podestats vénitiens (1200-1350), in I podestà dell’Italia comunale, I, Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec. - metà XIV sec.), a cura di J.-C. Maire Vigueur, Roma 2000, pp. 259-286; D. Puncuh, Trattati Genova-Venezia (secc. XII-XIII), in Atti della Soc. ligure di storia patria, XLI (2001), 1, pp. 129-158; S. Perini, Chioggia medievale: documenti dal sec. XI al XV, Venezia 2006.