ASCOLI, Alberto
Nacque a Trieste il 15 ag. 1877, da Annibale e da Ida Levi. I due fratelli maggiori, Maurizio e Giulio, medici, raggiunsero presto brillanti affermazioni in campo scientifico e nella carriera universitaria.
L'A., compiuti a Trieste i primi studi, si iscrisse alla facoltà di medicina dell'università di Vienna, ove si laureò nel 1901. Del periodo universitario è nota la parte che egli prese nei moti studenteschi di Vienna, nel 1900, a favore dell'italianità di Trieste. Frequentò anche l'università di Marburgo, allievo di A. Kossel. Dopo la laurea si trasferì all'università di Pavia e per un breve periodo si interessò ad argomenti di ginecologia e di ostetricia, lavorando come assistente volontario accanto a L. Mangiagalli.
Ben presto, però, si dedicò agli studi prediletti di immunologia e di sierologia: nel 1903, infatti, venne assunto all'Istituto sieroterapico milanese diretto da S. Belfanti. In quell'ambiente di alto valore scientifico l'A. si indirizzò con passione verso le ricerche biochimiche, acquisendo rapidamente una eccellente formazione specifica e collocandosi tra i pionieri in questo campo di studi in Italia. Nel 1906 conseguì la libera docenza in chimica fisiologica e divenne presto il più stretto collaboratore del Belfanti. Sempre nel 1906 fu tra i fondatori di Biochimica e terapia sperimentale, prima rivista italiana riservata a questa disciplina, della quale fu anche redattore per molti anni e, successivamente, direttore.
Nell'Istituto sieroterapico milanese condusse alcune delle sue più importanti ricerche e raggiunse i primi rilevanti successi scientifici con i lavori sul carbonchio e la scoperta delle termoprecipitine. Nel 1910 conseguì la libera docenza in igiene e polizia sanitaria nella Scuola superiore di medicina veterinaria di Modena. Da allora, abbandonato il campo della medicina umana, la sua carriera accademica e scientifica si svolse nell'ambito delle scienze veterinarie.
Nel 1915 fu chiamato all'insegnamento nella Scuola di Modena, e nel luglio 1919 ottenne in quella sede la nomina a professore ordinario.
Nel 1924 tornò a Milano ove assunse l'insegnamento della farmacologia e terapia sperimentale nella Scuola di veterinaria. Sul finire del 1924 fondò in Milano, con l'appoggio della Cassa di risparmio e di altri enti locali e centrali, l'Istituto vaccinogeno antitubercolare. Poco tempo prima, L.C.A. Calmette e C. Guérin avevano compiuto in Francia le prove decisive sul vaccino attenuato; l'A. si assunse il compito di sviluppare e approfondire nel suo Istituto queste ricerche. A questa sua creatura, superate le difficoltà iniziali, dedicò tutto il resto della vita. Ne tenne a lungo la direzione, salvo che per il periodo trascorso in America, sostenendone incessantemente l'attività e facendone un centro molto qualificato, nel quale si condussero studi di fondamentale importanza sulla efficacia della vaccinazione.
Nel 1930 lasciò la cattedra di farmacologia per passare a quella, a lui più congeniale, di anatomia patologica e patologia generale, succedendo a G. Guerrini. Nel 1932, la Scuola superiore di veterinaria, che fondata a Milano nel secolo precedente viveva di vita autonoma come istituto di rango universitario alle dirette dipendenze dello Stato, passò alla nuova università degli studi di Milano. Si costituì quindi una facoltà di medicina veterinaria alla quale aderirono i docenti della Scuola: l'A. fu direttore dell'istituto di patologia generale e di anatomia patologica.
Egli aveva ormai raggiunto in campo scientifico una posizione solida e notorietà come immunologo e cultore degli studi biochimici e veterinari. Le sue iniziative e il suo valore si erano imposti anche al di fuori dell'ambito strettamente accademico.
Nel 1937-38 fu membro del consiglio d'amministrazione dell'università di Milano.
Nel 1938, però, a seguito delle leggi razziali, fu costretto a lasciare l'Italia trasferendosi negli Stati Uniti d'America, dove le sue eccellenti doti di scienziato e di ricercatore erano ampiamente conosciute. Accolto negli istituti d'alta cultura americana, lavorò e insegnò nella Middlesex University di Walthan nel Massachusetts dal 1940 al 1943, nella Rutgers University di New Brunswick dal 1944 al 1946, nel Department of Public Health and Preventive Medicine della New York University dal 1946 al 1947.
Tornato in Italia nel 1947, fu riammesso in servizio e riprese il suo ruolo di professore ordinario di patologia generale e anatomia patologica nella facoltà di medicina veterinaria dell'università degli studi di Milano. Rùmase in servizio ordinario fino al 1952 quando, lasciato l'insegnamento per raggiunti limiti di età, gli fu conferito il titolo di professore emerito.
Vero maestro, l'A. seppe dare vita a una solida scuola ricca di valorosi allievi, molti dei quali raggiunsero successivamente posizioni di rilievo in campo medico e veterinario, e lasciò una copiosa produzione scientifica.
Immunologo di grande rilievo, considerato tra i pionieri degli studi biochimici in Italia, preferì sempre la ricerca sperimentale, ma dedicò gran parte della sua carriera accademica e scientifica anche alle attività di organizzazione e di pratica applicazione delle discipline predilette.
Nei primi anni di lavoro si era dedicato ai problemi della biologia e, per un breve periodo, a quelli della clinica ginecologica. Ben presto però si era rivolto al campo degli studi sierologici e di patologia veterinaria. Le sue buone capacità scientifiche erano emerse precocemente, con le brillanti ricerche condotte a Marburgo, presso A. Kossel, che gli permisero di scoprire l'uracile, una delle basi pirimidiniche contenute negli acidi nucleici. Questo suo successo costituì la premessa indispensabile alla preparazione dei derivati dell'uracile che poi trovarono largo impiego in terapia.
Nell'Istituto sieroterapico milanese condusse importanti studi sull'introduzione dei sieri anallergici nella medicina umana e veterinaria (Sieri anallergici, in Biol. e ter. sper., I [1910], n. 12, pp. 529-543). Nel 1911 pubblicò gli Elementi di sierologia (Capodistria), opera considerata come il primo trattato italiano di immunologia, che gli conferì notorietà internazionale e fu un manuale adottato ampiamente nelle scuole di medicina.
Ma più ampia risonanza ebbero poi i successi dei suoi studi sul carbonchio. Egli, proseguendo le ricerche che aveva iniziato fin dal 1906 (Sul dosaggio del siero anticarbonchioso, in Rend. del R. Ist. lombardo di scienze e lettere, s. 2, XXXIV [1906], pp. 587 s.), dimostrò la possibilità della diagnosi biologica della malattia con la reazione delle termoprecipitine (La precipitina nella diagnosi del carbonchio ematico, in Clin. veterin., XXXIV [1911], pp. 2-20). Questa reazione, che prese il nome di "reazione di Ascoli", si rivelò di eccezionale importanza teorica e pratica e utilissima sia in campo zootecnico sia in quello umano, poiché permise la diagnosi rapida e sicura del carbonchio ematico negli animali vivi e anche nei tessuti degli animali morti. La prova, di esecuzione molto semplice, permetteva di stabilire, anche con poche tracce di sostanza organica e anche dopo molto tempo dalla morte dell'animale, se si era in presenza o meno dell'infezione e conseguentemente di proteggere dal rischio di contrarla diverse categorie di lavoratori dell'industria e dell'agricoltura, che prima erano particolarmente esposte. Nei paesi colpiti frequentemente da pandemie carbonchiose sorsero i cosiddetti "istituti A. Ascoli" per la diagnosi tempestiva della malattia. L'A. aveva raccolto e pubblicato i suoi studi nel volume Le termoprecipitine, Milano 1914, nel quale sosteneva la validità generale del metodo anche nella diagnosi di altre malattie infettive oltre che del carbonchio.
A partire dagli anni intorno al 1920, però, l'opera più vasta e di maggiore impegno dell'A. fu certamente quella condotta nella lotta contro la tubercolosi. A questo campo di studi dedicò gran parte della sua vita, soprattutto attraverso l'attività dell'Istituto vaccinogeno antitubercolare. Il punto di partenza di tutta la gran serie di ricerche sperimentali sulla profilassi specifica della tubercolosi fu nella dimostrazione del potere immunizzante esplicato dal BCG (Bacillo Calmette-Guérin). In una prima fase l'A. si occupò quasi esclusivamente del controllo dell'efficacia del BCG, con prove sui bovini. Egli si inserì nella disputa tra i sostenitori del vaccino Maragliano, costituito da bacilli umani virulenti uccisi con il calore, e i sostenitori del vaccino attenuato di Calmette-Guérin. Studiò il potere immunizzante dei due vaccini somministrandoli a lotti di bovini selezionati in stalle sperimentali del Pavese e della Lomellina. Attraverso controlli e collaudi severi giunse poi a dimostrare che il BCG poteva salvare gli animali dal contagio massivo, costituiva una efficace protezione in caso di coabitazione con animali affetti da tubercolosi aperta e riusciva a salvaguardare anche vitelli infettati sperimentalmente. Quindi sostenne con energia, attraverso l'opera dell'Istituto milanese, la più ampia diffusione della vaccinazione specifica quale presidio preventivo e stimolò le stazioni zooprofilattiche a produrre e distribuire il BCG nelle province esposte al rischio della malattia (Come la sperimentazione ha potuto suffragare l'intuito clinico nella vaccinazione antitubercolare, in Notiziario dell'Ist. vaccinogeno antitubercolare, II [1952], n. 4, pp. 63-70). Egli espose dettagliatamente i principi del suo operare in un volume che ebbe grande diffusione, La vaccinazione antitubercolare con bacilli vivi negli animali e nell'uomo, Milano 1928.
Approfondendo questo campo di studi l'A. tentò poi d'interpretare l'intimo meccanismo immunitario della profilassi vaccinale antitubercolare. Condusse osservazioni sul focolaio locale del BCG; ne studiò i fenomeni reattivi e mise in evidenza un particolare aspetto della patologia dell'infiammazione: da queste ricerche trasse gli elementi che lo portarono a individuare il fenomeno della localizzazione degli agenti infettivi a livello di focolai infiammatori, che egli chiamò "anacoresi" (L'anacoresi, ibid. 1938).
Negli ultimi anni di vita cercò di dimostrare l'esistenza di un potere antitossico e batteriostatico della bile di bue sul bacillo di Koch virulento. Osservò, con esperimenti in vivo, che nei vitelli nei quali aveva indotto un grave stato di ittero meccanico la tubercolosi assumeva un andamento molto meno tumultuoso che nei vitelli di controllo; condusse una serie di lavori per cercare di individuare la sostanza o la frazione di acidi biliari dotata di azione inibente sul bacillo di Koch. Il comune di Milano sostenne le attività dell'Istituto, offrendo una sede idonea nella città degli studi. Tra le iniziative che l'A. vi promosse si ricordano le pubblicazioni del Notiziario, a partire dal 1933, e della rivista Patologia comparata della tubercolosi, che uscì tra il 1935 e il 1938.
Durante la sua lunga e operosa carriera di scienziato e di docente, l'A. ottenne numerosi alti riconoscimenti in Italia e all'estero, prese parte attiva a congressi e convegni scientifici nazionali e internazionali, fu membro di importanti società scientifiche italiane e straniere.
Insignito della Légion d'honneur, ottenne la medaglia d'oro del governo italiano per le benemerenze acquisite nel campo della salute pubblica, la medaglia d'oro del comune di Milano quale cittadino benemerito, il sigillo d'argento del comune di Trieste.
L'A. morì a Milano il 28 sett. 1957.
Aveva sposato Paola Segre, dalla quale ebbe due figli, Ida e Giulio.
Bibl.: In on. di due maestri della facoltà veterinaria di Milano, in Notiz. dell'Ist. vaccinogeno antitub., III (1953), n. 2, pp. 150-152; D. Nai, A. A., in Annuario dell'univ. degli studi di Milano, 1956-57, pp. 214-216; La scomparsa di A. A., in Notiz. dell'Ist. vaccinogeno antitub., VII (1957), n. 3, pp. 230-242; L. S. Segattini-G. Vanzetti, A. A. 1877-1957, in Il Bassini, II (1957), n. 4, pp. 354-359; G. Bareggi, La scomparsa di un grande maestro della medicina veterinaria, in Ilprogresso veterinario, XIII (1958), n. 1, pp. 12-14; Echi della scomparsa del prof. A. A., in Notiz. dell'Ist. vaccinogeno antitubercolare, VIII (1958), n. 1, pp. 29-35.