ASQUINI, Alberto
Nato a Tricesimo (Udine) il 12 ag. 1889 da Giovanni e da Angela Bisutti, conseguì nel 1909 la maturità classica presso il liceo "J. Stellini" di Udine e, vinta una borsa di studio, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Padova. Interrotti gli studi per compiere il servizio militare, che lo vide partecipare come sottotenente di fanteria alla guerra di Libia (in particolare all'occupazione di Rodi), si laureò il 15 nov. 1912. Si specializzò quindi nel diritto commerciale, frequentando corsi di perfezionamento sotto la guida di K. von Gareis a Monaco di Baviera nel semestre estivo 1913 e con Alfredo Rocco a Padova nel 1914. Frutto di questi anni di studio fu la prima pubblicazione dell'A., Il contratto di trasporto terrestre di persone (Padova 1915), in cui trattava con grande sicurezza dottrinale - e dimostrando una vasta conoscenza dei casi concreti - un tema su cui tornerà con eccezionale competenza negli anni della maturità (I trasporti cumulativi di persone, in Scritti giuridici in onore diAlberto Marghieri, Roma 1921, pp.245-287 [poi in Scritti giuridici, II, pp. 101-1391; Del contratto di trasporto [Art. 388-416], Torino 1925; Del trasporto, in Codice civile, libro delleobbligazioni - Commentario, a cura di M. D'Amelio, Firenze 1948, II, 1, pp. 415-451).
Nel 1915 ottenne la chiamata, come incaricato di diritto commerciale, all'università di Urbino. L'anno seguente (d. m. 24 giugno 1916) conseguì presso l'università di Padova la libera docenza in diritto commerciale e vinse il concorso per professore straordinario ad Urbino (ove divenne ordinario nel 1918). Nuovamente mobilitato, partecipò quindi al conflitto mondiale, raggiungendo il grado di capitano e ottenendo una medaglia al valore e due croci al merito di guerra.
Nel dopoguerra riprese l'insegnamento ad Urbino e fu designato a far parte della Commissione reale per il dopoguerra in seno alla quale, nell'ambito della prima sottocommissione, collaborò attivamente con Cesare Vivante (che egli considerò suo maestro al pari del Rocco, pur consapevole della sostanziale diversità che i due studiosi seguivano nell'impostazione dottrinale del diritto commerciale) nella stesura del progetto del nuovo codice di commercio predisposto nel 1922 (Progetto preliminare per ilnuovo codice di commercio, Milano 1922; dell'A. è, tra l'altro, il testo relativo alle società a garanzia limitata, cfr. Scritti giuridici, II, pp. 231-246). Costituita quindi, nel 1924, dal nuovo governo fascista (in seguito alla legge 30 dic. 1923, n. 284), una nuova Commissione reale incaricata di emendare il codice civile e di predisporre nuovi codici di procedura civile, di commercio e della marina mercantile, l'A. entrò a far parte della seconda sottocommissione presieduta da M. D'Amelio incaricata di redigere il progetto del codice di commercio, che chiuse i suoi lavori nel 1925 (Progetto di codice di commercio. Testo e relazione, 2 voll., Roma 1925): egli fu relatore per la parte generale, le società e i contratti (per il contributo fornito dall'A., cfr. anche Scritti giuridici, II, pp. 246-25 3).
Frattanto egli proseguiva nella carriera universitaria. Primo nel concorso a cattedra di diritto commerciale bandito dall'università di Sassari (1920), vi insegnò per breve tempo, passando poi a Messina (1921). In questo stesso anno fu chiamato a Trieste per insegnare nella neoistituita università commerciale, della quale fu primo rettore dal 1922 al 1925. A Trieste l'A. partecipò alla vita politica: su posizioni nazionaliste divenne membro del Consiglio comunale e fu tra i fondatori dell'Associazione coloniale italiana, fusa in seguito con l'Istituto coloniale italiano. All'università tenne anche i primi corsi di diritto corporativo, da cui nacque la Scuola sindacale diretta dall'A. e intitolata a Lino Domenighini.
La conoscenza del diritto privato e commerciale austriaco, acquisita fin dall'anteguerra e perfezionata a contatto con l'ambiente triestino, fecero di lui il massimo esperto del problema dell'introduzione della legislazione italiana nelle province annesse dopo la guerra mondiale: tra i protagonisti del dibattito che per anni si svolse sulla rivista Il Foro delle nuove provincie, sostenitore - sia pure con maggior cautela di altri (ad esempio Piero Calamandrei, sulla scia di G. Chiovenda) - della superiorità di alcuni istituti del sistema giuridico asburgico su quello italiano (vedi la sua prolusione triestina: L'unificazione della legislazione commerciale entro i nuovi confini del Regno, in Riv. del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, XIX [1921], 1, pp. 252-262), l'A. fu relatore nel 1928 del progetto di estensione della legislazione italiana alle nuove province, recepito nel r. d. 4 nov. 1928 n. 2325, che manteneva in vigore le norme concernenti le società a responsabilità limitata e il giudizio arbitrale in borsa e conservava l'istituto dei libri tavolari sulla proprietà immobiliare (v. Le leggi di unificazione del diritto privato e processuale per la Venezia Giulia e Tridentina, a cura di M. Szombathely e con prefaz. di A. Asquini, Padova 1931).
Oltre all'insegnamento a Trieste l'A. tra il 1922 e il 1924 ebbe anche l'incarico di diritto comparato con speciale riguardo al diritto austriaco a Padova; nel 1923 risultò primo al concorso a cattedra di diritto commerciale bandito dall'universita di Catania, ma non vi si recò; soltanto nel 1925, chiamato dalla facoltà di giurisprudenza di Pavia, lasciò Trieste. Dal 1926 passò quindi a Padova, dove successe ad Alfredo Rocco sulla cattedra di diritto commerciale ed ebbe l'incarico di legislazione dei trasporti nella Scuola di scienze politiche. Dopo aver aderito al fascismo (nel 1925 egli fu tra i firmatori del manifesto degli intellettuali fascisti), in questi anni l'A. si dedicò alla carriera politica. Eletto il 24 marzo 1929 deputato per la XXVIII legislatura (1929-34) e membro del Consiglio nazionale delle Corporazioni (dal 1930 al 1932 fu anche preside della provincia di Udine), egli svolse alla Camera un'intensa attività legislativa e tecnico-giuridica: membro della Commissione consultiva per i progetti di codice civile emendato e dei nuovi codici di procedura civile, di commercio e per la marina mercantile (28 nov. 1929-20 luglio 1932), fu relatore di numerosi disegni di legge tra cui quello riguardante l'"Approvazione della convenzione concernente l'istituzione di metodi di fissazione di salari minimi adottata dalla Conferenza internazionale del lavoro a Ginevra nel 1929" (n. 339 A del 28 nov. 1929, che, su suggerimento dell'A., riteneva sufficiente garanzia l'esistenza dei contratti corporativi e inutile la fissazione per legge del salario minimo), quello contenente "Disposizioni sul fallimento, sul concordato preventivo e sui piccoli fallimenti" (n. 513 A del 20 marzo 1930) e quello relativo alle ("Disposizioni riguardanti la costituzione e il funzionamento di consorzi tra esercenti uno stesso ramo di attività economica" (n. 1279 A del 27 apr. 1932); l'A. fu anche componente della commissione che autorizzò il governo a pubblicare un nuovo codice di commercio a libri o titoli separati (9 dic. 1930). Dal 20 luglio 1932 fu nominato sottosegretario del ministero delle Corporazioni.
La titolarità di questo dicastero era stata assunta dallo stesso Mussolini in sostituzione di Giuseppe Bottai. Ciò non avveniva senza ragione. Al Bottai il duce rimproverava di aver concesso eccessivo spazio ai sostenitori di una interpretazione radicale del corporativismo. Episodio culminante di questa politica era stato il convegno di Ferrara del 5-8 maggio 1932 dominato da una relazione di U. Spirito imperniata sul concetto della corporazione proprietaria e della risoluzione del sindacalismo nel corporativismo integrale. Pur disapprovate formalmente dal ministro, intervenuto a correggere il tiro nelle conclusioni dei lavori, le idee agitate a Ferrara allarmarono gli ambienti imprenditoriali italiani in una fase delicata dello sviluppo dell'economia italiana ancora sotto l'effetto delle conseguenze della crisi mondiale. Per tranquillizzare questi ambienti, Mussolini scelse come sottosegretario responsabile per i servizi economici dell'industria e del commercio un uomo come l'A., stimato per la sua competenza nel diritto dell'economia e soprattutto conosciuto come sostenitore dell'autonomia imprenditoriale; nello stesso tempo, per non scontentare gli ambienti sindacali, creava un secondo sottosegretariato affidandolo a Guido Biagi, dirigente delle cooperative, con competenza sui servizi sindacali e corporativi.
L'A. svolse alla perfezione i compiti affidatigli, sulla base di una interpretazione molto moderata del sistema corporativo, che riservava una funzione essenziale d'intervento al ministero lasciando poco spazio alle iniziative delle corporazioni, tanto che nel 1933 il responsabile della Confederazione dei lavoratori dell'agricoltura, L. Razza, poteva lamentare che quel ministero varasse provvedimenti in materia industriale e commerciale senza consultare le corporazioni. A questa visione, sostanzialmente burocratico-centralistica, corrispose il disegno di legge sulla costituzione e funzioni delle corporazioni tradotto in legge il 5 febbr. 1934, n. 164.
Gli orientamenti dell'A. emergevano nel discorso pronunciato al Senato il 3 apr. 933 (Atti parlamentari, Senato, leg. XXVIII, Discussioni, pp. 6260-6266), in cui si dichiarava contrario a una politica economica autarchica ("sono cadute le illusioni che un regime di autarchia economica possa dare i mezzi di vita ad una popolazione crescente, che non si adatti ad una parziale o totale indigenza, come i milioni di disoccupati, che si sono formati entro le muraglie doganali hanno sperimentalmente dimostrato. Un paese in fase di ascensione e di espansione economica come l'Italia, che ha una esportazione diffusa e frazionata, che deve poter far arrivare i suoi manufatti su tutti i mercati e la sua bandiera in tutti i lidi, non può avere altra dottrina"; p. 6260); pur favorevole a "un'economia organicamente disciplinata e che consentisse "il minimo sperpero di capitale e di energie e la massima utilizzazione del risparmio e delle risorse individuali", sulla base di una formula corporativa come quella del fascismo che aveva - secondo l'A. - il pregio di essere lontana da altre forme "rigide, chiuse, particolaristiche del passato" (p. 6262), la sua propensione verso la libertà economica giungeva fino a ritenere valida soltanto in via provvisoria la funzione degli istituti pubblici di credito industriale creati in quegli anni (p. 6265).
Evidentemente questa linea politica non poteva più rimanere valida con l'avvicinarsi della guerra d'Etiopia, cosicché il 15 genn. 1935 l'A. fu sostituito nell'incarico, nell'ambito di un vasto rimpasto che immetteva nella compagine governativa molti uomini più organicamente inseriti nel partito fascista. L'A. continuò, comunque, la sua collaborazione in sede politica (era stato confermato alla Camera nel 1934 per la XXIX legislatura e lo sarà nel 1939 per la XXX), inviando tra l'altro a Mussolini nel 1935-36, durante la guerra d'Etiopia, alcune memorie relative alla politica monetaria (conservate in Arch. centr. dello Stato, f. 509652), sostenendo la politica imperiale fascista e approvando nel 1940 l'entrata in guerra dell'Italia a fianco della Germania.
Ma questi, anni furono soprattutto fecondi per l'attività scientifica e di tecnico della legislazione. Dal 1935, scomparso Alfredo Rocco, gli successe nella cattedra romana di diritto commerciale, ove rimarrà fino al raggiungimento dei limiti di età. Tra il 1936 e il 1939 pubblicò a Padova i primi due volumi di Scritti giuridici, contenenti articoli e saggi apparsi fino ad allora; successivamente videro la luce le sue lezioni universitarie: I titolidi credito (lezioni raccolte da G. Oppo), Roma 1939, il Corso di diritto commerciale. Parte generale (lezioni raccolte da G. Oppo), ibid. 1940, e il Corso di diritto commerciale. Le società (lezioni raccolte da G. Donadio e G. Scalone), ibid. 1941, magistrali sintesi della disciplina. Dal 1936, fino alla morte, l'A. diresse anche la Rivista del diritto commerciale e del diritto delle obbligazioni.
In questi lavori trovava espressione matura l'impostazione metodologica seguita dall'A. sin dai primi saggi e che si caratterizzava per il giusto equilibrio tra la tradizione del diritto commerciale e gli indirizzi della scienza del diritto civile. L'analisi attenta e approfondita della fattispecie concreta, condotta secondo il metodo induttivo, dominante negli studi commercialisti, veniva infatti utilizzata dall'A. per arricchire e precisare l'interpretazione della norma astratta e nel contempo di quest'ultima egli si avvaleva per una più consapevole valutazione del medesimo caso reale. Di modo che la concreta fattispecie sottoposta ad indagine era incasellata all'interno dell'unitario sistema costruito dalla dottrina e questo, a sua volta, temperava la propria astrattezza e si vivificava attraverso il diretto collegamento con l'effettiva realtà dei rapporti commerciali.
Nel settembre 1939 il nuovo ministro di Grazia e Giustizia D. Grandi, subentrato nel luglio di quell'anno ad A. Solmi, diede nuovo impulso all'attività di preparazione dei nuovi codici, tra cui quello di commercio, la cui redazione venne affidata a un sottocomitato (all'interno del Comitato ministeriale per la redazione dei testi definitivi del codice civile) presieduto dall'A.: questi fu anche presidente della sottocommissione delle assemblee legislative chiamata ad esaminare il progetto dello stesso codice di commercio (v. Bonini, p. 108 n. 18) che venne presentato l'8 giugno 1940.
La decisione di mantenere un'autonomia normativa alla materia commerciale (che risaliva alla legge delega al governo del 1923) non sembrava fino a quel momento messa in discussione, quantunque il problema dell'unificazione dei codici civile e commerciale fosse stato - almeno in sede accademica - al centro delle discussioni dalla fine del secolo scorso. Lo stesso A., in posizione tutt'altro che dogmatica, ma sempre attento alle concrete esigenze della vita economica, fin dal 1927 nell'articolo Codice di commercio, codice dei commercianti, codice unico di diritto privato (in Riv. didir. commerciale, XXV [1927], 1, pp. 507-524) si era detto non pregiudizialmente contrario al codice unico, ma piuttosto fautore di una lenta gradualità nella fusione, non ritenendo che la situazione economica italiana - in cui il settore agricolo si presentava in condizioni ancora lontane da un assetto modernamente capitalistico - fosse matura per accogliere una riforma di quella portata. Il progetto del 1940 compiva già notevoli passi avanti in questo senso restringendo notevolmente l'area della eccezionalità del diritto commerciale che si riduceva soltanto allo statuto professionale dei commercianti e alla disciplina particolare delle società commerciali.
Nei mesi che seguirono il progetto fu sottoposto a critiche. Meno pericolose erano quelle dei giuristi favorevoli a un codice unico delle obbligazioni, più insidiose quelle formulate in sede politica dai fautori del corporativismo integrale, i quali proponevano la creazione di un "codice della produzione e degli scambi" o di un "codice dell'economia corporativa", e dagli imprenditori che, temendo l'introduzione della nuova normativa che prevedeva più seri controlli in materia di società, puntavano a rinviare sine die ogni tentativo di riforma (per questa vicenda v. A. Asquini, Dieci anni dopo l'abrogazione del codice di commercio, in Scritti giuridici in onore della Cedam nel cinquantenario della sua fondazione, I, Padova 1953, pp. 369-383). L'A. si mostrò decisamente contrario all'ipotesi di costruire un'impalcatura normativa in cui avrebbero dovuto trovare posto insieme "in una prima parte i rapporti tra Stato ed economia (modi di regolamentazione statale dell'economia, interventi amministrativi dello Stato nell'economia), e in una seconda parte gli elementi dell'autoamministrazione dell'economia: soggetti (imprenditore), strumenti giuridici (contratto, proprietà, ecc.), mezzi di organizzazione (ordinamenti professionali, mercati, ecc.)", determinando una frattura del codice civile in due codici, uno di diritto familiare e l'altro di diritto dell'economia, materie che pur avrebbero dovuto avere in comune alcuni strumenti giuridici e istituti fondamentali: l'obiezione mossa dall'A. contro tale dicotomia era abilmente fondata sul monito che "l'ordinamento corporativo dell'economia non è fine a se stesso, ma è un aspetto dell'ordinamento unitario e organico della nazione nei suoi valori non solo economici ma spirituali e morali" (Una svolta storica del diritto commerciale in Riv. di dir. commerciale, XV-XVIII [1940], 1, pp. 511 ss.); come soluzione egli avrebbe preferito quella dell'integrale inserimento del codice di commercio nel codice civile. La scelta del ministro Grandi parve, invece, dapprima orientata verso la creazione di un codice delle obbligazioni comprensivo di tutti i contratti speciali già regolati dal codice di commercio, con il rinvio delle altre parti del codice di commercio a leggi speciali che dovevano riguardare la disciplina professionale del commerciante e le società commerciali, i titoli cambiari (questa già esistente nei r. d. 14 dic. 1933 n. 1669 e 21 dic. 1933 n. 1736), il fallimento e le altre procedure concorsuali (Dieci anni dopo, p. 372), ma poi, mosso dalle critiche di Filippo Vassalli - che aveva redatto il libro delle obbligazioni per il nuovo codice civile -, il guardasigilli si convertì alla tesi dell'incorporazione della materia commerciale nel codice civile (v. anche F. Vassalli, Motivi e caratteri della codificazione civile, in Riv. italiana per le scienze giuridiche, s. 3, I [1947], pp. 76-107). Questa soluzione fu agevolata - nei confronti dei rilievi mossi dagli ambienti più politicizzati - dalla decisione (presa dal Consiglio dei ministri del 30 nov. 1940) di far precedere il codice dalla Carta del lavoro, che forniva sì al testo una sorta di sigillo fascista ma evitava interventi politici ancora più pesanti nella codificazione, come ad esempio la formulazione di quei "principi generali dell'ordinamento giuridico fascista" vagheggiata dai sostenitori del corporativismo integrale. Cosicché all'A. fu affidata di fatto la presidenza del comitato incaricato della redazione di un nuovo libro "Dell'impresa e del lavoro" (poi divenuto semplicemente "Del lavoro", libro V del Codice civile del 1942), che concluse rapidamente il suo compito tra il dicembre 1940 e l'aprile 1941 (il decreto reale di approvazione del progetto del libro venne antidatato al 30 genn. 1941).
Nel realizzarlo l'A. cercò con successo di salvare le linee essenziali del progetto del 1940, fondate sulla difesa dell'autonomia scientifica del diritto commerciale pur nella presa d'atto che la realtà storica rendeva inevitabile l'accoglimento di alcune istanze politiche. La modifica più importante - ma non costituiva una rinuncia per l'A. - era rappresentata dall'eliminazione della regola della priorità degli usi commerciali sulla legge civile in materia di commercio; con l'esplicita retrocessione degli usi normativi in posizione di subordine rispetto alla legge anche nella determinazione degli effetti del contratto scompariva "l'ultimo puntello appariscente che, secondo il Progetto cod. comm. 1940, dava rilievo giuridico alla nozione di 'materia di commercio' e alla distinzione tra legge civile e legge commerciale" (Diecianni dopo, p. 381). Le novità sostanziali erano invece costituite dalle norme relative ai rapporti di lavoro nell'impresa (senza distinzione tra impresa industriale, commerciale od agricola), secondo l'ottica dell'economia corporativa che aveva introdotto i contratti collettivi di lavoro; ma - al di là delle enunciazioni politiche del ministro Grandi, che definiva il nuovo libro "viva e diretta proiezione della Carta del lavoro" - in sostanza anche questo intervento rispondeva a una logica di adeguamento del codice a una nuova fase storica del processo produttivo che richiedeva "il superamento e l'abbandono dell'antica nozione onnicomprensiva della locazione che, nel testo del 1865, abbracciava ancora, sulla base dell'antica tradizione romanistica, sia la locazione di cose che la locazione di opere" (Ghisalberti, p. 272).
Dopo l'8 sett. 1943, l'A. ricevette dal ministero delle Finanze l'incarico di commissario dell'IRI. Nel 1945, sottoposto ad epurazione, venne sospeso dall'insegnamento a decorrere dal 3 gennaio di quell'anno; ma nel 1948 la sezione speciale per l'epurazione del Consiglio di Stato annullò il provvedimento e riammise l'A. in servizio. Fuori ruolo dal 1959, continuò per diversi anni la sua attività di docente dirigendo la Scuola di applicazione forense. Nel 1966 fu nominato professore emerito e nel 1967 socio nazionale dell'Accademia dei Lincei.
L'A. morì a Roma il 25 ott. 1972.
Tra le ultime opere dell'A., oltre alla nuova edizione ampliata del volume Titoli di credito cambiale e titoli bancari di pagamento), sono da ricordare gli articoli e i saggi raccolti nel terzo volume degli Scritti giuridici (Padova 1961), tra cui: Profili dell'impresa (pp. 121-148); Nuove strutture dell'impresa (pp. 149-161); Usufrutto di quote sociali e di azioni (pp. 181-211); I battelli del Reno (pp. 219-237); Sui limiti di validità delle clausole di gradimentoal trasferimento delle azioni (pp. 249-271); Le azioni privilegiate a voto limitato (pp. 273-291); Integrazione del contratto con le "clausole d'uso" (pp. 373-385); Assicurazione della responsabilità civile e dolo dei dipendenti dell'assicurato (pp. 447-459). Una bibliografia degli studi giuridici dell'A. fino al 1964 è in Scritti in onore di A. A., I, Padova 1965, pp. XXI-XXXII.
Fonti e Bibl.: Roma, Università degli studi "La Sapienza", Arch. storico, Personale, fasc. Asquini Alberto; Arch. centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce carteggio ordinario), b. 1201, f. 509652; b. 2265, f. 545525; Bollettino ufficiale del ministero dell'Istruzione pubblica, XLI (194), 1, p. 3081; XLII (1915), 2, p. 2093; XLIII (1916), 2, p. 1645; L (1923), 1, pp. 549 s.; Atti parlamentari, Camera, legislature XXVIII-XXX, ad Indices; E. Savino, La nazione operante. Profili e figure, Milano 1934, p. 51; F. Guarneri, Battaglie economiche tra le due grandi guerre, I, Milano 1953, pp. 140, 299, 348; Storia del Parlamento italiano, XIII, Palermo 1969, ad Indicem; G.U. Papi-S. Satta-G. Oppo-G. Ferri, Onoranze ad A. A., Padova 1966; G. Oppo, A. A., in Riv. di diritto civile, XIX (1973), pp. 78-80; P. Ungari, A. Rocco e l'ideologia giuridica del fascismo, Brescia 1974, ad Indicem; Accademia nazionale dei Lincei, Biografie e bibliografie degli accademici lincei, Roma 1976, pp. 701 s.; R. Bonini, Disegno storico del diritto privato italiano (dal codice civile del 1865 al codice civile del 1942), Bologna 1980, ad Indicem; T. Cianetti, Memorie dal carcere di Verona, Milano 1983, ad Indicem; C. Ghisalberti, La codificazione del diritto in Italia 1865-1942, Roma-Bari 1985, ad Indicem; D. Grandi, Il mio paese. Ricordi autobiografici, Bologna 1985, ad Indicem.