BADOER, Alberto
Nacque a Venezia il 19 nov. 1540 da Angelo, e da Caterina Morosini; fu notificato il 7 dic. nel libro d'oro dei nobili. Nel 1563 sposò la sorella dell'autorevole patrizio e futuro cardinale Lorenzo Priuli, Chiara, che morì pochi anni dopo: sicuramente prima del 19 sett. 1571, data del testamento del Badoer.
La sua carriera politica fu rapida: dopo essere stato eletto savio di Terraferma (il 28 dic. 1573, insieme con Leonardo Donà), fu nominato il 18 dic. 1574 ambasciatore presso Filippo II, alla cui corte rimase dall'autunno del 1575 alla fine del 1578.
È rimasto solo un abbozzo della relazione conclusiva, che il B. scrisse probabilmente prima di lasciare la Spagna. Sono interessanti i giudizi su alcuni uomini di corte e sulle fazioni che "assai scopertamente" tentavano di imporsi. Don Giovanni d'Austria è ritratto come "ambiziosissimo, per non dir vano, e tanto artificioso nel suo procedere che non si può assicurar persona di quando dice da vero o da burla, e se gli è amico o no".
Dal 1579 al 1582 fu ambasciatore presso la corte di Rodolfo II d'Asburgo e venne insignito dell'aquila imperiale, che figurò poi nel suo stemma di famiglia. Ritornato in patria, partecipò attivamente alle travagliate vicende che precedettero la riforma del Consiglio dei Dieci; si manifestò intransigente avversario dei cosiddetti "giovani" senatori, tacciandoli di voler sovvertire l'ordine costituito e mutare la tradizionale politica veneziana (il discorso che pronunciò nel Maggior Consiglio il 19 dic. 1582 restò memorabile). Ma la fazione dei "vecchi" il 3 maggio 1583 rimase in minoranza e prevalse sempre più il nuovo indirizzo politico dei "giovani".
Dopo essere stato podestà a Verona, nel marzo del 1589 andò ambasciatore a Roma e diede prova di grande abilità diplomatica; fu stimatissimo dal papa Sisto V, nonostante l'aspra contesa che nell'autunno del 1589 funestò le relazioni veneto-pontificie per il riconoscimento dello scomunicato Enrico IV da parte della Repubblica veneta. La curia romana, sollecitata dai prelati filospagnoli, reclamava un'energica condanna, tanto più che il Senato veneziano aveva mantenuto perfino il titolo di Cristianissimo al nuovo re di Francia. Il B. tentò di comporre al più presto il pericoloso dissidio: nel dispaccio del 23 sett. 1589 non esitò a consigliare un rimedio all'atteggiamento del Senato che "offenderia il mondo grandemente et veniria fatto in tempo molto pericoloso con rischio di potersi facilmente con vergogna pentire, ponendosi a manifesto pericolo dell'odio di tutta la christianità", ed esortò senz'altro il doge "per il zelo del ben publico... d'espedir novo ordine in diligentia all'ambasciatore [Mocenigo, in Francia], perché... non passi più oltre... et, se havesse comunicato la sua commissione, mandandoli altre lettere riformate senza titolo di Christianissimo" (cfr. I. Raulich, La contesa..., p.252 s., n. 1).
Il Senato veneziano si mostrò irremovibile, non solo per la prevalenza dei "giovani" (che sostenevano una politica di maggior tolleranza religiosa), ma soprattutto perché s'intendeva prevenire ad ogni costo il pericolo che Filippo II approfittasse della guerra civile in Francia per consolidare l'egemonia spagnola. Così venne ufficialmente riconosciuto, con decreto del 10 ott. 1589, André Hurault de Maisse come ambasciatore di Enrico IV presso la Repubblica. Le conseguenze di tale riconoscimento furono gravi: il nunzio apostolico, Girolamo Matteucci, abbandonò Venezia senza nemmeno accomiatarsi dal doge; la curia romana e la diplomazia spagnola insistettero perché Sisto V condannasse severamente la Repubblica. Benché ammalato, il B. si recò il 17 ottobre a Sermoneta e gli riuscì di persuadere il papa che Venezia poteva servire da mediatrice fra la S. Sede e il re Enrico IV; e la condiscendenza di Sisto V nei riguardi dell'ambasciatore veneziano fu tale da ordinare al nunzio Matteucci l'immediato ritorno a Venezia. Nel frattempo era stata annunciata la venuta di Leonardo Donà come ambasciatore straordinario a Sisto V.
La mancata condanna delle iniziative filofrancesi intraprese da Venezia e l'umiliazione del nunzio esasperarono la diplomazia spagnola che minacciò di richiamare l'ambasciatore presso la Repubblica veneta; si prevedeva anzi che l'esempio sarebbe stato seguito dall'ambasciatore sabaudo e dagli altri diplomatici legati alla politica spagnola, che avrebbero lasciato a Venezia il solo nunzio pontificio insieme al rappresentante di un eretico. Sisto V, perciò, fu costretto a inasprire il suo atteggiamento nei confronti della Repubblica minacciando di rinnovare i monitori di Giulio II, e il B. fece intendere al Senato veneziano che era necessario dare una soddisfazione al papa perché potesse resistere alle pressioni spagnole. Così fu decretato di escludere l'ambasciatore francese dalle pubbliche cerimonie religiose.
Il B. accompagnò l'ambasciatore straordinario, Leonardo Donà, all'udienza papale del 19 nov. 1589 e lo aiutò attivamente, cercando in ogni modo di salvaguardare la dignità della Repubblica senza distogliere il papa dal suo atteggiamento conciliante. Quando Sisto V osservò che Venezia avrebbe dovuto seguire l'esempio dell'imperatore, che aveva evitato di trattare con l'ambasciatore francese pur non licenziandolo, il B. ricordò che durante la sua legazione in Germania aveva constatato come il residente francese conferisse solo con i ministri imperiali mentre a Venezia la costituzione imponeva al doge e al Senato di ricevere nella pubblica assemblea i diplomatici stranieri. Invano il papa cercò di vincere la resistenza dei diplomatici veneziani; finalmente, nelle udienze del 16 e 20 dicembre, Sisto V si lasciò convincere dalle ragioni addotte, dato che l'ostinazione veneziana sembrava più motivata dal timore di una sopraffazione spagnola che non dal diminuito ossequio verso la S. Sede.
Dopo la partenza del Donà, fu notevole l'attività diplomatica del B. a favore del duca Francesco di Lussemburgo, venuto a Roma per un tentativo di conciliazione fra Enrico IV e Sisto V; ancor più importante ed efficace l'azione del B. per confortare la posizione del papa nei confronti di Filippo II, che nella primavera del 1590 minacciò addirittura il distacco dall'obbedienza verso la sede apostolica se Sisto V non avesse scomunicato i fautori di Enrico IV.
Nell'agosto del 1590 il B. riuscì ad appianare la vertenza sorta per il malumore dei tipografi veneziani, in seguito al divieto di vendere testi biblici che non fossero conformi alla nuova edizione della Volgata.
Eletto papa Gregorio XIV, il B. ebbe occasione di confermare le sue doti di abile negoziatore convincendo il pontefice a non persistere nel proposito di revocare le concessioni fatte in materia giurisdizionale da Sisto V alla Repubblica veneta.
Nel luglio del 1591, avendo concluso la sua ambasceria romana, il B. ritornò a Venezia. Il 3 novembre dello stesso anno fu eletto ambasciatore straordinario per l'omaggio della Repubblica a Innocenzo IX, e il 3 febbr. 1592 venne rieletto con lo stesso incarico presso Clemente VIII.
Ammalatosi di febbre bronchiali, il B. morì il 28 aprile 1592 a Venezia, dove venne seppellito nella chiesa di S. Francesco della Vigna.
In seconde nozze aveva sposato nel 1587 Elena Contarini, vedova di Giorgio Corner, che aveva portato in dote 8000ducati con l'usufrutto di una casa e di due botteghe presso il ponte di Rialto. Il vicario del patriarca aveva concesso di esentarli dalla pubblicazione del matrimonio (che "per honor vostro et mio - scrisse il B. alla consorte - deve passare con ogni secretezza") nella chiesa di S. Maria delle Grazie. Il 18 apr. 1592 nominò esecutori testamentari, oltre ai figli Angelo e Zuanne e alla moglie, la nuora "amatissima" Paolina Grimani e Battista Morosini procuratore.
La sua memoria fu celebrata da Celio Magno, che l'aveva seguito come segretario particolare durante l'ambasceria spagnola.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogadori di comun, Nascite di patrizi, II, f.334 v; Senato, Dispacci Spagna, filze 9-10 (3 sett. 1575-10 genn. 1579); Dispacci Francia, filza 9 (7-19 sett. 1575); Dispacci Germania, filze 7-8 (22 dic. 1579 19 febbr. 1582); Dispacci Roma, filze 22-27 (dal 13 dic. 1588 al 19 luglio 1591); Testamenti, Atti Bianco Carlo, busta 78, n. 78; Bibl. Correr, mss. PD. C. 2180/1; E. Alberi, Le relazioni degli ambasciatori veneti al Senato durante il sec. XVI, s. 1, V, Firenze 1861, pp. 272-280; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, p. 42; IV, ibid. 1834, pp. 416, 471; V, ibid. 1842, pp. 240, 245 s., 248-250, 262; F. Mutinelli, Storia arcana ed aneddotica d'Italia, I, Venezia 1855, pp. 184-186; G. Moroni, Diz. di erudiz. stor-ecclesiastica, XCII, Venezia 1859, pp. 425, 428, 447; Ch. Yriarte, La vie d'un patricien de Venise au seizième siècle,Paris 1874, pp. 217 S.; J. A. Hübner, Sixte-Quint d'après des correspondances diplomatiques inédites tirées des archives d'état du Vatican, de Simancas, de Venise, de Paris, de Vienne et de Florence, Paris 1882, I, p. 397; II, passim; I. Raulich, La contesa fra Sisto V e Venezia per Enrico IV di Francia, in Nuovo arch. veneto,IV(1892), pp. 243-318; L. v. Pastor, Storia dei Papi, X, Roma 1928, pp. 99, 157-160, 163 s., 232, 245-254, 259, 263, 268, 272 s., 275, 323, 332, 381 s., 389 s., 407 s., 516, 519-523, 549; A. Stella, La regolazione delle pubbliche entrate e la crisi Politica veneziana del 1582, in Miscellanea R. Cessi, II, Roma 1958, p. 166; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini, Venezia-Roma 1958, pp. 6, 124 s.; F. Seneca, Il doge Leonardo Donà, Padova 1959, pp. 107, 174-191, 251, 316.