BENEDUCE, Alberto
Nato a Caserta il 29 marzo 1877 da una famiglia di modeste condizioni, studiò discipline matematiche a Napoli, laureandosi nel 1902; nel 1904 entrò negli uffici del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio preposti alle statistiche demografiche e sociali. La formazione matematica e gli incarichi d'ufficio gli permisero di compiere, in pochi anni, apprezzate ed originali applicazioni statistiche nel campo della demografia, dell'economia e delle scienze attuariali.
Il B. pubblicò, in appendice ai volumi dei Movimento della popolazione secondo gli atti dello stato civile per gli anni 1902-1905 (Roma 1904- 1907), le ricerche Sulla durata media dei matrimoni in Italia (1903) e due serie di Tavole di mortalità e sopravvivenza della Popolazione italiana (1902 e 1904); inoltre, per il 1905 (Roma 1907), comparvero dei Confronti internazionali circa la nuzialità, natalità e mortalità. Intervenne, nel frattempo, nel dibattito assai sentito sui vantaggi e danni derivanti al paese dall'emigrazione (Capitali sottratti all'Italia dall'emigrazione per l'estero, in Giorn. degli economisti, s. 2, XXIX, dic. 1904; Capitali personali e valore economico degli emigranti, ibid., s. 2, XXXI, luglio 1905); trattò delle variazioni della mortalità secondo l'età, contrastando l'opinione del Pearson e di altri circa le conseguenze antiselettive della diminuzione della mortalità dell'infanzia (Le variazioni di mortalità secondo l'età, ibid., s. 2, XXXV, nov. 1907); analizzò metodi di interpolazione e altre questioni metodologiche (ibid., s. 2, XXXV, dicembre 1907; XXXVI, aprile 1908; XXXVII, settembre 1908; XXXVIII, maggio 1909; s. 3, LX, genn. 1910); e compendiò le sue conoscenze e ricerche in campo demografico in un trattato sui metodi statistici applicabili allo studio della natalità e della fecondità (Della natalità. Studio di demografia comparata, Roma 1908; v. anche Giorn. degli economisti, s. 2, XXXV, ag.-ott. 1907 e XXXVI, febbr. 1908). Presso gli uffici del ministero il B. elaborò anche le statistiche sugli scioperi avvenuti negli anni 1902-1903 e la relazione su I criteri seguiti da giunte d'arbitri e dai periti nei giudizi di affrancazione dei diritti civici (Roma 1908), le cui conclusioni vennero poi tradotte negli articoli della legge emanata in materia. Nel gennaio 1910, assunta la qualifica di ispettore dei demani comunali e dei domini collettivi, venne incaricato di collaborare presso il Commissariato dell'emigrazione alla relazione sull'attività svolta da quei servizi nel 1909 e 1910 e poté, così, realizzare il primo tentativo di una statistica dei rimpatri degli emigranti (Saggio di statistica dei rimpatriati dalle Americhe, in Boll. dell'emigrazione, X, 11 [1911]). Nello stesso anno venne chiamato ad assistere, come referendario, il Consiglio superiore di statistica, di recente istituzione, e nell'anno successivo organizzò gli uffici e predispose le operazioni per il compimento del quarto censimento demografico e del primo censimento industriale. Allo stesso periodo risalgono alcuni studi in campo attuariale, derivati dalle ricerche sulla mortalità, che forniranno elementi per il vasto dibattito svoltosi nel 1911-12, in parlamento e nel paese, sul progetto di monopolio statale delle assicurazioni sulla vita (Per una statistica delle assicurazioni in Italia, in Giorn. degli economisti, s. 3, XL, marzo 1910; Prime linee di una demografia degli assicurati, Roma s.d.) e altri minori contributi.
Nel corso del 1910 il B. si affermò in campo accademico: abilitato alla libera docenza in statistica e demografia nell'aprile, fu ritenuto, pochi mesi dopo, meritevole della cattedra. Contemporaneamente entrò a far parte della direzione dei Giornale degli economisti, la pubblicazione che aveva già accolto contributi di studiosi di statistica e che da quell'anno, per iniziativa di M. Pantaleoni e in risposta ai desideri del B. e di G. Mortara, assumeva nella propria testata la dizione "e rivista di statistica".
A partire dal 1911 il B. abbandonò il campo delle ricerche demografiche e, pur aspirando alla cattedra universitaria - che ebbe poi nel 1914 presso il R. Istituto superiore di studi commerciali di Genova -, mostrò di perseguire nuovi interessi nel campo della finanza, e una vocazione politica nell'ambito degli orientamenti di ispirazione radicale e social-riformista. Quando F. S. Nitti nel 1911 lo chiamò a collaborare, presso il suo gabinetto, al progetto di istituzione di un ente pubblico per la gestione, in regime di monopolio, delle assicurazioni sulla vita, egli era schierato con il gruppo social-riformista che faceva capo a L. Bissolati. Predispose, in quell'occasione, la documentazione tecnica che servì al ministro Nitti per replicare alle critiche, assai vivaci, che vennero rivolte da varie parti al progetto e per istituire, nel 1912, l'Istituto nazionale delle assicurazioni (INA). Alla organizzazione e gestione dell'INA il B. collaborò attivamente in qualità di consigliere di amministrazione. Da Nitti egli continuò ad essere appoggiato nelle circostanze che gli permisero di allargare la sua attività al campo amministrativo e politico.
Seguace del Bissolati, il B. prese posizione e collaborò alla preparazione dei programmi politici della sinistra democratica sui problemi amministrativi della città di Roma, e mantenne legami con leghe operaie e organizzazioni politiche della provincia natale, che lo invitarono anche - senza che accettasse - a farsi loro rappresentante in sede locale. Nel 1913 fece parte del "Comitato elettorale socialista-riformista Pro-Leonida Bissolati" e, insieme con altre personalità politiche, della Unione liberale democratica per le elezioni amministrative di Roma.
Il B. aveva aderito alla massoneria e faceva parte, in questo periodo, del comitato centrale della Associazione nazionale del libero pensiero. Ricoprì, nello stesso tempo, altre cariche amministrative: fu il rappresentante, nel 1911, del Comune di Roma nella giunta amministrativa di vigilanza dell'Istituto superiore di studi commerciali, attuariali e coloniali, e fece parte della Commissione elettorale. Dal 1910 fu membro del consiglio di amministrazione dell'Istituto cooperativo per le case degli impiegati dello Stato in Roma.
Nel 1915 una prolusione tenuta dal B. presso l'università Bocconi di Milano ad un corso di tecnica e teoria delle assicurazioni (Il problema del rischio nella vita economica) segnò l'avvio di una tematica nuova che lo ispirerà in numerose proposte di riforma e nell'attività di gestione di enti finanziari.
Nel 1914-15 fu interventista e sostenne, a fianco di Bissolati e Nitti, i motivi dei gruppi democratici a schierarsi a fianco delle democrazie occidentali. Trattò anche dei problemi economico-finanziari connessi alle necessità belliche e collaborò con B. Stringher alla istituzione del Consorzio per sovvenzioni su valori industriali, lo strumento che doveva servire per aiutare le industrie ad affrontare i problemi della congiuntura di guerra.
Scoppiata la guerra, il B. fu volontario e ufficiale in un reparto combattente del Genio; in seguito lasciò il fronte per assumere (1916) l'incarico di consigliere delegato dell'INA. Divenne ancora più stretta - negli anni di guerra e dell'immediato dopoguerra - la collaborazione e l'amicizia col Nitti, con il quale aveva in comune talune vedute circa le direttive di politica economica e le riforme sociali; gli fu a fianco nel momento in cui, come ministro, affrontava le conseguenze della sconfitta di Caporetto e cominciava a formulare programmi di ricostruzione postbellica. Nel 1917 collaborò con Stringher all'emissione del quarto prestito nazionale (5 febbraio). Al B. si deve anche la concessione della polizza gratuita di assicurazione per i combattenti, e l'istituzione e l'organizzazione dell'Opera nazionale combattenti (ONC), di cui fu, nei primi tempi, presidente.
La costituzione dell'ONC, all'indomani di Caporetto, era un tentativo non solo di migliorare le condizioni psicologiche delle truppe. ma anche di affrontare il loro futuro reinserimento nella vita civile e nel sistema produttivo. L'ONC doveva essere l'organismo promotore di uno sforzo per una solida ricostruzione; si proponeva perciò compiti organizzativi e formativi verso i reduci, e varie iniziative nel campo delle bonifiche agrarie e della assistenza finanziaria. All'istituto il B. fece devolvere i profitti delle assicurazioni contro ì rischi da eventi bellici, da lui patrocinate.
Nel 1918-19 partecipò ai lavori della Commissione per la riforma della Amministrazione dello stato, studiando il settore previdenziale. Nel novembre del 1919 si dimise da consigliere delegato dell'INA e da professore d'università per presentarsi alle elezioni politiche nel collegio di Caserta, che rappresentò nella XXV e XXVI legislatura (1919-23) schierandosi nel gruppo social-riformista guidato da I. Bonomi. Le sue idee in campo economico-finanziario non si discostarono da quelle propugnate da numerosi esponenti liberal-democratici, radicali, nittiani e social-riformisti, dei quali fu amico e consigliere in varie circostanze; ebbe una parte importante nella legislazione economica e finanziaria dei governi di Nitti e di Giolitti, come presidente della commissione Finanza e Tesoro della Camera. Si mostrò favorevole alla collaborazione con le forze politiche di ispirazione cattolica guidate da don Sturzo, ed entrò a far parte del governo costituito da Bonomi (4 luglio 1921 - 26 febbr. 1922), ricoprendovi la carica, di recente istituzione, di ministro, del Lavoro e della Previdenza sociale. La sua nomina suscitò reazioni contrastanti: Mussolini sul Popolo d'Italia (5 luglio 1921) ne lodò le capacità; i nazionalisti lo giudicarono il nemico forse più pericoloso per il fascismo (La vita Ital., 1921-1922, passim).
Ma il B. trasse ben presto dalla sua esperienza di governo motivi di insoddisfazione, e già nell'ottobre dell'anno 1921 egli rassegnò le sue dimissioni da ministro, dimissioni che Bonomi però non ritenne opportuno accettare.
Tra il 1919 e il 1922 l'attività politica del B. fu particolarmente intensa, poiché ai compiti già indicati si aggiunsero quelli che derivavano dalla sua partecipazione a numerose commissioni e da incarichi speciali. Fu membro della Commissione di vigilanza sugli istituti di emissione, della Commissione per la difesa della valuta italiana, del Comitato per i trattati di commercio e fece parte delle missioni ufficiali alle conferenze di Bruxelles (settembre 1920) e di Genova (aprile 1922), indette per discutere i più urgenti problemi economico-finanziari dei dopoguerra. Collaborò con Stringher, direttore generale della Banca d'Italia, alla costituzione dell'Istituto nazionale dei cambi con l'estero di cui divenne consigliere di amministrazione (1919). A vario titolo ricoprì tra il 1919 e il 1922 altre cariche amministrative: presidente della Cassa nazionale di previdenza per l'invalidità e vecchiaia degli operai (1919); membro del Consiglio superiore del credito (1920), del Consiglio superiore della previdenza e assicurazioni sociali (1920) e del Comitato dell'Associazione della Croce Rossa per il soccorso ai malati e feriti in guerra (1920); membro del Consiglio di amministrazione della Cassa nazionale delle assicurazioni sociali (1921), del Consiglio superiore per l'istruzione commerciale (1921), del Comitato permanente della previdenza e assicurazioni sociali (1921), del Consiglio superiore di statistica (1921), del Consiglio di amministrazione della Cassa nazionale per gli infortuni sul lavoro (1922); presidente dell'Istituto nazionale di previdenza per gli impiegati subalterni e loro orfani (1922).
La visione che aveva delle condizioni dell'economia italiana aveva rafforzato in lui l'opposizione ai programmi socialisti che richiedevano la statalizzazione degli strumenti di produzione e la direzione statale dell'attività produttiva. Sosteneva che era necessario fornire lo Stato delle possibilità di intervento indiretto, di stimolo e di controllo, sullo sviluppo economico, da realizzarsi soprattutto attraverso strumenti finanziari.
Le condizioni economiche e sociali del paese non erano però favorevoli alla realizzazione del programma vagheggiato. La permanenza del B. al governo, del resto, coincise con un periodo di crisi delle industrie, un aumento della disoccupazione industriale (oltre 500.000 disoccupati nell'inverno 1921-22) e il crollo della Banca italiana di sconto (BIS).
Il B. denunciò alla Camera (Atti parlamentari, Camera, Discussioni, Legislatura XXVI, 1ª sessione, tornata del 5 ag. 1921, pp. 1432 s.) come il suo ministero non disponesse dei mezzi finanziari e degli strumenti istituzionali necessari per un efficace intervento a sollievo della disoccupazione: il grave fenomeno era da valutarsi in riferimento all'arretratezza delle strutture economiche del paese e non semplicemente alle conseguenze delle difficoltà congiunturali. Perciò si sarebbe dovuto perseguire una politica a lunga scadenza di sviluppo industriale, soprattutto nel Mezzogiorno, in luogo delle misure più o meno contingenti da varie parti richieste.
Il B. costituì una commissione d'inchiesta sulle condizioni dell'industria e predispose indagini sulle organizzazioni cooperative di cui egli riteneva opportuno promuovere lo sviluppo. Tali iniziative furono particolarmente avversate dai nazionalisti (cfr. La vita italiana). Egli propose, inoltre, in previsione dell'attività da svolgere nel campo della legislazione sociale, l'istituzione di un Consiglio nazionale del lavoro (Atti Parlamentari, Camera, Discussioni, Legislatura XXVI, 1ª sessione, tornata del 15 febbr. 1922, p. 2964). Il progetto del B. contemplava l'assoluta pariteticità delle rappresentanze delle organizzazioni sindacali, e aveva compiti delimitati: consultivi, di promozione legislativa e di interpellanza nel campo dei rapporti di lavoro e delle condizioni dei lavoratori nelle imprese.
Perché trovassero attuazione i programmi di ricostruzione post-bellica e di sviluppo industriale, era necessario per il B. che si normalizzasse la vita finanziaria internazionale, si mettesse in atto ogni strumento utile alla stabilizzazione delle monete, adottando forme concrete di collaborazione internazionale. Verso questi obbiettivi indirizzò le sue iniziative quale esperto o rappresentante del governo italiano nelle conferenze di Bruxelles e di Genova.
Il B. si era persuaso che la guerra, esaltando la funzione delle masse e della tecnica, avesse gettato le basi di nuovi rapporti tra i popoli. A Bruxelles sostenne che non di sole questioni tecniche, di pareggio dei bilanci statali o della bilancia commerciale si doveva parlare, ma piuttosto della urgente necessità di sfruttare e coordinare, all'interno dei diversi paesi, gli apparati industriali, le capacità tecniche, le risorse umane e finanziarie disponibili. Per questo, si doveva superare l'isolamento della vita economica di ciascun paese: opinione condivisa da molti economisti nelle conferenze internazionali, ma assai meno dai governi, che operavano in un ben diverso contesto di rapporti internazionali.
La sfiducia che venne maturando nel B. tra il 1921 e il 1922 sulle condizioni della vita politica italiana, accentuata dal colpo di stato fascista dell'ottobre 1922, al quale sosteneva doversi resistere anche con la forza, indussero il B. ad abbandonare la vita politica e a non ripresentarsi alle elezioni del 1924. Tra la fine del 1922 e la metà del 1925 si schierò con i gruppi democratici nei momenti più cruciali dell'opposizione al fascismo. Prima delle elezioni e all'indomani del delitto Matteotti, pur non essendo più deputato, si impegnò ancora attivamente a fianco di Bonomi, di Turati, di G. Amendola - che appoggiò nella campagna elettorale -, e di altri democratici.
Attraverso il B. e il gran maestro della massoneria Domizio Torrigiani l'opposizione antifascista entrò subito in possesso del noto memoriale di Cesare Rossi, e lo stesso B. si adoperò per far pervenire a Vittorio Emanuele III, con quel documento, anche il memoriale Filippelli (cfr. E. Mecheri, Chi ha tradito?, Milano 1947, p. 142; G. Salvemini, Scritti sul fascismo, I, Torino 1961, p. 286, n. 1).
Nel maggio del 1925 fu tra coloro che sostennero l'opportunità del ritorno in aula degli Aventiniani, e di continuare in sede parlamentare l'opposizione al governo fascista, o addirittura di sperimentare con questo una collaborazione. Il B., al pari di altri esponenti democratici, oscillò in questi anni tra un giudizio assolutamente negativo sul fascismo e la speranza che il movimento rientrasse nella legalità, e fosse utile perciò collaborare con esso.
Nella seconda metà del 1925, col rafforzarsi del nuovo regime e la dispersione dell'opposizione democratica, il B. si distaccò dagli amici noti per antifascismo e con un accurato silenzio sul nuovo corso della vita politica si dedicò interamente a quelle iniziative finanziarie pubbliche e private che lo porteranno di lì a poco ad una stretta collaborazione con il governo fascista.
L'amicizia e l'appoggio di B. Stringher e di G. Volpi, l'esperienza sui problemi di finanza interna ed internazionale, i rapporti con gli esponenti dell'industria elettrica, la posizione che occupava nella politica dei finanziamenti delle imprese elettriche e telefoniche quale organizzatore degli enti finanziari pubblici a ciò preposti, gli offrirono l'occasione per contatti con esponenti del governo. Infatti, dapprima (1926) il B. assunse - grazie all'appoggio del ministro delle Finanze G. Volpi - la presidenza della Società per le strade ferrate meridionali, la cosiddetta "Bastogi", società finanziaria di primaria importanza nel settore elettrico; e, poco dopo (1927), fu dallo stesso Volpi incaricato di collaborare con Stringher alla predisposizione delle varie e complesse operazioni finanziarie che si resero necessarie all'interno e all'estero per attuare la riforma monetaria del 21 dic. 1927 (r.d.l. n. 2235; e nn. 252 e 253, del 26 febbr. 1928).
Il contributo del B. alla attuazione della politica di rivalutazione della lira, fu, sul piano tecnico e in varie sedi soprattutto nella seconda metà del 1927, determinante: nella sistemazione del debito pubblico fluttuante dello Stato (r.d.l. del 6 nov. 1926, n. 1831), nella istituzione della Cassa per l'ammortamento del debito pubblico (r.d.l. del 5 ag. 1927, n. 1414); negli accordi che si stabilirono con autorità monetarie e bancarie inglesi e americane per l'apertura di crediti alla Banca d'Italia; nella elaborazione del provvedimento dei 21 dic. 1927 che fissò a 92, 46 il cambio tra la lira e la sterlina; in tutte le operazioni - che precedettero e seguirono la fase finale della politica di rivalutazione - concernenti i rapporti debitori con l'estero del settore privato e pubblico e la legislazione finanziaria ad esse connessa.
La collaborazione del B. non richiese riconoscimenti ufficiali, mostrò a Mussolini che avrebbe potuto avvalersi dell'opera sua senza timore di complicazioni politiche ed avviò, tra i due, rapporti diretti e personali, al di fuori di quelli che il capo del governo teneva con Stringher e il ministro delle Finanze.
Il B., intorno al 1930, poteva contare su un prestigio e su una fiducia presso Mussolini, che spiegano perché questi richiedesse spesso i suoi suggerimenti, accogliesse e avallasse sue proposte, accettasse sue designazioni di persone ad importanti e delicate cariche finanziarie, e, in ripetute occasioni, fosse anche sordo alle insistenti pressioni di alcuni ambienti fascisti che mai tolleravano la persona del B. in così elevati posti di comando. L'ascesa del B. in questi primi anni del governo fascista va riferita in parte alla sua condotta, circoscritta all'ambito strettamente tecnico ma ispirata ad una lealtà che non lasciava indifferente Mussolini, e in buona parte ad alcune vicende dell'economia italiana di questi anni, in particolare a taluni avvenimenti del settore finanziario e bancario.
Occorre tener conto della rilevanza che assunse, dopo il 1922, l'espansione delle industrie elettriche, dei peso che ebbero intorno al 1924-26 gli interessi dell'industria elettrica negli indirizzi di politica economico-finanziaria, nonché della considerazione in cui tali interessi erano tenuti dal ministro delle Finanze, G. Volpi, esponente di primo piano del settore elettrico, e dal ministro della Economia nazionale G. Belluzzo, entrati nel governo nel luglio del 1925.
Il processo di espansione spingeva i diversi gruppi finanziari, ai quali le imprese stesse facevano capo, ad ambiziosi progetti di concentrazione e ad una lotta accanita per acquisire posizioni di controllo nelle principali società. Da uno di questi tentativi derivarono quelle circostanze che permisero al B. di assumere la presidenza della Bastogi e a questa società di mantenere il controllo esclusivo, per oltre un trentennio, delle imprese elettriche operanti nel Mezzogiorno e nelle Isole.
Il Toeplitz, presidente della Banca commerciale, aveva già finanziato una cospicua espansione degli impianti della Società idroelettrica piemontese (SIP): voleva ora, tra il 1925 e il 1926, assicurarsi il controllo della Bastogi, la società che deteneva importanti posizioni nelle imprese elettriche del Mezzogiorno (Società meridionale elettrica, SME; Società elettrica della Sicilia Orientale, SESO; Società elettrica sarda) e partecipazioni di un certo rilievo nella Società adriatica di elettricità (SADE) e nella Edison. Varie circostanze agevolarono l'iniziativa della Banca commerciale: il gruppo fiorentino che fin dall'800 controllava la Bastogi si era indebolito ed essa deteneva quelle consistenti quote azionarie che le erano pervenute in seguito al crollo delle fortune finanziarie di Max Bondi, il banchiere fiorentino travolto nel 1921 dalla crisi dell'ILVA. Contro le iniziative del Toeplitz si fece avanti, per la Edison, il suo consigliere delegato G. Motta.; al Motta si affiancò il Pirelli, a capo della società finanziaria La Centrale che aveva partecipazioni azionarie, insieme con la Bastogi, in imprese elettriche dell'Italia centrale (Società anonima liguretoscana di elettricità, Società anonima elettrica del Valdarno) e che occupava una posizione di primo piano nel Credito italiano, la banca intorno alla quale gravitavano le operazioni della Edison.
Il gruppo Motta-Edison-Pirelli-Credito italiano poté evitare il controllo del Toeplitz sulla Bastogi grazie all'intervento del ministro delle Finanze Volpi, che non solo temeva le conseguenze politiche dell'operazione, ma vi era interessato direttamente nella sua qualità di presidente della SADE. Volpi propose ai diversi gruppi un compromesso con la nomina del B. a presidente della Bastogi, favorevolmente accettato anche perché questi, a capo dal 1919 del Consorzio di credito per le opere pubbliche (CREDIOP) e dal 1924 dell'Istituto di credito per le imprese di pubblica utilità (ICIPU), aveva impostato la politica dei finanziamenti delle imprese elettriche, telefoniche o impegnate nel settore delle opere pubbliche.
Nel 1926 quindi il B., con l'assunzione della presidenza della Bastogi, venne ad occupare una posizione di primo piano ml settore della finanza privata e un ruolo determinante nei rapporti tra i diversi gruppi protagonisti della vita finanziaria e industriale del paese. Da quel momento egli ispirò la sua condotta ad estrema prudenza, per evitare che si creassero condizioni per una rottura dell'equilibrio a favore dell'uno o dell'altro dei gruppi che accettavano la sua influenza e, di conseguenza, si sminuisse il prestigio di arbitro che si era creato intorno alla sua persona.
Il B. entrò, in conseguenza della carica assunta nel 1926, a far parte degli organi di gestione di numerose società private, sui quali poté influire efficacemente in misura certo superiore alla effettiva consistenza delle quote azionarie rappresentate.
La sua presenza è ufficialmente segnalata, alla vigilia degli anni '30, nei consigli di amministrazione delle seguenti società: Società generale elettrica dell'Adamello, Società meridionale di elettricità, Società generale elettrica della Sicilia, Società anonima ligure-toscana di elettricità, Società anonima elettrica del Valdarno, Compagnia Imprese elettriche liguri (CIELI), Società anonima adriatica di elettricità (SADE), Società per le forze idrauliche della Sila, Società generale italiana Edison di elettricità. Il B. fece parte inoltre del consiglio di amministrazione della Società anonima Montecatini, di alcune altre società di minore rilevanza e, per breve tempo, della Società La Centrale (cfr. le Notizie Statistiche della Associazione italiana fra le Società per azioni del 1929).
Per valutare adeguatamente la presenza del B. nella vita finanziaria del paese alla vigilia degli anni '30 si deve tener conto di ciò che veniva realizzando con gli strumenti di cui disponeva: due enti finanziari pubblici, CREDIOP e ICIPU, e un ente finanziario privato, la Bastogi.
Il CREDIOP era stato istituito fin dal 1919 (r. d. I. del 2 sett. 1919, n. 1627), ma le vicende politiche ne ritardarono l'organizzazione (v. legge del 14 apr. 1921, n. 488) e cominciò a funzionare dal 1924. Agiva nel settore delle opere di bonifica, stradali, portuali, ferroviarie, di elettrificazione ferroviaria, dei trasporti marittimi e delle opere pubbliche realizzate dai comuni e dalle province. L'ICIPU, istituito nel 1924 (r.d.l. del 20 maggio 1924, n. 731, e legge del 17 apr. 1925. n. 473), cominciò a funzionare quasi subito; operava a favore di imprese impegnate nella produzione e distribuzione di energia elettrica e dei servizi telefonici. Il B. organizzò anche l'Istituto per il credito navale che venne istituito nel 1928 (r.d.l. del 5 luglio 1928, n. 817, e legge del 25 dic. 1928, n. 3154) ed era destinato a finanziare l'ammodernamento della marina mercantile, ma che ritardò l'inizio delle operazioni di emissione obbligazionarie fino al 1931 per la depressione del mercato finanziario. Le soluzioni proposte dal B. nella gestione pubblica del credito industriale si ispiravano al principio di preferire una specializzazione delle forme di assistenza creditizia e di far largo ricorso al mercato finanziario attraverso emissioni di titoli obbligazionari. Era una innovazione importante, quando ancora il mercato dei titoli a reddito fisso e a lungo termine era dominato, quasi esclusivamente, dai titoli di Stato. Si veniva incontro, così, da un lato alle esigenze della finanza pubblica, e si offrivano dall'altro ai risparmiatori nuove possibilità di impiego diretto di capitali.
La stessa impostazione ispirò il B. nelle gestioni finanziarie private. Egli assegnava alle società finanziarie un ruolo specifico: operare sul mercato per la raccolta diretta di quel risparmio che il pubblico mette a disposizione per un periodo sufficiente a permettere di affrontare i rischi del finanziamento degli investimenti industriali. Tale soluzione comportava, quindi, una distinzione, ai fini della scelta degli impieghi ai quali vengono destinati i capitali raccolti tra il pubblico, tra risparmio costituito da normali depositi bancari rimborsabili in qualsiasi momento e a breve termine, e tra quello che si rende disponibile per il credito industriale. Nel contempo, si disimpegnavano le imprese industriali e le banche da reciproci controlli e legami, conseguenti alle modalità allora in atto nella gestione del credito.
La gestione della Bastogi era agevolata dal fatto di operare in un settore in espansione - quello elettrico - al quale era anche destinata l'assistenza finanziaria degli enti pubblici dal B. stesso diretti. Questi, dal 1926, operò anche un'oculata scelta delle partecipazioni, senza assumere posizioni di predominio che comportassero per gli azionisti dei rischi non consoni ai compiti della società, e negli anni '30 la società superò la crisi senza essere coinvolta nelle operazioni di risanamento bancario.
Intorno al 1930 la politica di finanziamento industriale che il B. veniva proponendo contrastava, quindi, con la prassi seguita dalle maggiori banche ed industrie italiane le cui conseguenze renderanno necessario un riordinamento della gestione del credito.
Gli industriali, e in particolare i gruppi le cui fortune erano legate all'industria elettrica, non erano stati sfavorevoli alla politica di stabilizzazione - nonostante i rischi delle ripercussioni che un arresto della precedente tendenza inflazionistica avrebbe avuto sulla situazione delle imprese - poiché si sarebbero determinate le premesse favorevoli per attingere finanziamenti sui mercati esteri, come di fatto avvenne. Ma questi gruppi avevano contrastato l'iniziativa di Mussolini - poi attuata - di fissare un livello di cambio con la sterlina intorno alla cosiddetta "quota 90" (e avevano proposto un cambio pari a 110-120 circa). In realtà, le conseguenze della politica di rivalutazione - attuata a un livello di cambio pari a 92, 46 - congiuntamente alle ripercussioni, a partire dal 1929, della crisi mondiale, ebbero l'effetto di intaccare in maniera irreparabile la posizione di alcuni gruppi industriali e finanziari italiani. Il gruppo Toeplitz-Banca commerciale, in particolare, che orientava la propria condotta in maniera non coerente con l'impostazione della politica di rivalutazione monetaria, dovette poi venire sollevato da una situazione insostenibile a mezzo di un intervento pubblico dal B. stesso organizzato. Fu quella la circostanza che permise al B. di attuare una riforma di carattere generale ispirata alle sue convinzioni.
Il B. aveva anche intensificato l'attività di esperto o rappresentante ufficiale del governo italiano nelle conferenze sulla sistemazione dei debiti e delle riparazioni di guerra. Sostenne in varie occasioni che si dovessero sistemare i rapporti per debiti di guerra, annullare le riparazioni inflitte ai paesi sconfitti, consolidare i debiti a breve termine: ciò che costituiva la premessa per normalizzare i rapporti economici internazionali, e stabilizzare le monete. In questi incarichi ufficiali, il B. si guadagnò all'estero un vasto prestigio, e rafforzò i legami di collaborazione con Mussolini a partire dal 1929 e soprattutto tra la fine del 1931 e l'inizio del 1932
Nel 1929, a Baden Baden e all'Aia, partecipò alle discussioni sul problema della sistemazione dei debiti di guerra, ed ebbe una parte di primo piano nelle decisioni che portarono poi ad organizzare la Banca internazionale dei regolamenti (BRI) come emanazione degli Istituti di emissione allo scopo di permettere l'esecuzione degli accordi sul pagamento delle annualità per riparazioni di guerra; della presidenza della BRI fece parte fino al 1939. Nel 1931, quando la Germania, per l'aggravarsi della situazione economica interna, chiese che venissero applicate le clausole del "piano Young" e che fossero sospesi i pagamenti delle annualità, il B., cui spettò l'incarico di presiedere l'apposito Comitato consultivo ebbe una parte determinante nella stesura del rapporto finale, che sosteneva la necessità di una moratoria. Nel 1933 partecipò attivamente alla Conferenza economica internazionale di Londra e di Ginevra, chiedendo che si adottassero misure per consolidare in campo internazionale i debiti a breve termine, e si costituisse un fondo monetario internazionale. Tema costante di tutti questi interventi era la necessità della più ampia collaborazione economica internazionale, la denuncia dei pericoli dell'isolamento nazionalistico e il richiamo all'interdipendenza tra le varie economie.
L'esperienza diretta della situazione finanziaria internazionale, le cariche ricoperte e i contatti diretti con il capo del governo, permettevano al B. di giudicare da vari punti di osservazione l'evolversi della situazione economica italiana. Gli fu così possibile impostare soluzioni tecniche di vasta portata, quando, dopo il 1929, per limitare le conseguenze della grave crisi industriale e bancaria fu necessario un intervento dello Stato. L'intervento dello Stato, così come venne concepito dal B. e avviato ad attuazione con la collaborazione di D. Menichella, F. Giordani e altri tecnici della finanza, portò alla costituzione dell'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), nel 1933 (r.d.l. del 23 genn.), ad un nuovo assetto dei rapporti tra banche ed industrie attraverso il cosiddetto "risanamento bancario" nel 1934, e a una vera e propria riforma degli ordinamenti bancari del paese nel 1936.
Le circostanze infatti che richiesero la costituzione dell'IRI nel 1933 e la regolamentazione delle diverse forme di gestione del credito nel 1936 sono da riferirsi alle stesse modalità della gestione del credito industriale esercitato da larga parte del sistema bancario, alla ingerenza, delle banche nella gestione delle industrie, e ai rapporti di reciproco controllo esistenti tra banche e industrie che durante la guerra 1915-18 e nel primo dopoguerra si erano accentuati e diffusi. Nell'immediato dopoguerra, da un lato le banche erano fortemente impegnate in alcuni settori della produzione industriale e, dall'altro, gruppi industriali operavano per acquistare i pacchetti azionari di controllo delle maggiori banche, allo scopo di utilizzarne i depositi nell'interesse delle imprese che ad essi facevano capo. Le necessità della riconversione rendevano oltremodo rischiosi per le banche i finanziamenti delle imprese.
Sul finire del 1921 si ebbe il primo grave contraccolpo delle difficoltà in cui versavano le imprese con il crollo della Banca italiana di sconto (BIS). All'inizio del 1922 il 90vemo Facta si decise a finanziare con anticipazioni le operazioni a favore dei creditori della BIS e a procedere ai necessari smobilizzi. Le operazioni vennero avviate nel marzo 1922 per mezzo di una apposita "Sezione speciale autonoma" del Consorzio per sovvenzioni su valori industriali.
Seguirono nel 1923 interventi cospicui a favore dei Banco di Roma, e successivamente, di altre banche: la BIS e la Banca agricola italiana caddero, il Banco di Roma e una serie di minori istituti di credito si salvarono. Le operazioni di salvataggio richiesero ingenti erogazioni e, poiché queste non avrebbero potuto superare il miliardo, di lire, tale limite era stato tolto fin dal 1923, al momento del salvataggio del Banco di Roma. Dal 1926 la "Sezione speciale autonoma" del Consorzio per sovvenzioni su valori industriali era stata organizzata in "Istituto di liquidazioni" nella forma voluta dal B. per una gestione autonoma delle operazioni d'intervento per i salvataggi. L'Istituto venne così in possesso di partecipazioni azionarie, che in parte cedette di nuovo ai privati e in parte mantenne sino a quando le passò poi all'IRI.
Non erano cessate in questi anni le illusioni circa il carattere transitorio delle difficoltà in cui si dibattevano le banche; perché si facesse strada una convinzione contraria, si dovettero manifestare le conseguenze della politica di rivalutazione della lira, inaugurata nel 1926, e le ripercussioni nel nostro paese della crisi mondiale. Le misure prese a partire dall'agosto del 1926 ebbero l'effetto di contrarre la liquidità delle imprese e delle banche, soprattutto di quelle che avevano rispettivamente utilizzato o concesso crediti che erano stati destinati a cospicue immobilizzazioni per finanziare lo sviluppo degli impianti. Della caduta dei corsi azionari dopo il 1929 erano destinate a subire i maggiori danni quelle banche - la Banca commerciale italiana, il Credito italiano, il Banco di Roma - che in maggiore misura si erano fatte partecipi della proprietà di imprese industriali da loro stesse finanziate con i depositi, o che avevano finanziato, anche sotto forma azionaria, imprese industriali di cui inoltre avevano spesso assunto il controllo. Appariva evidente che la banca mista, un istituto che pure ha il merito di avere avviato in così larga misura lo sviluppo industriale del paese, era troppo esposta al rischio di veder coinvolta la gestione dei depositi, affidati dai risparmiatori, dall'eventuale crisi delle imprese industriali o, come si era verificato, dalla commistione, anche nelle stesse persone dei dirigenti, della gestione bancaria e della gestione industriale.
A cominciare dal 1930 prese l'avvio un processo che doveva sfociare, nel 1933, in una situazione sempre più grave quanto più rilevanti e diffuse diventavano le perdite nei diversi comparti e gruppi azionari coinvolti dalla crisi.
I corsi delle azioni diminuivano, e le banche si trovarono impegnate in una azione di sostegno aggiungendo ai possessi azionari nuove quote di partecipazioni. Molte imprese, per la crisi delle industrie, dovevano ritenersi in condizioni di dissesto, e le banche, interessate alla loro sopravvivenza, non potevano avviare un'azione di smobilizzo, che avrebbe avuto l'effetto di una crisi di vaste proporzioni e avrebbe portato alla svalutazione del proprio patrimonio in misura tale che le perdite avrebbero comportato la loro stessa scomparsa. In questa situazione, a vario titolo l'Istituto di emissione forniva mezzi monetari che venivano congelati in crediti alle imprese in crisi o a sostegno di titoli azionari che si svalutavano ogni giorno di più. Cospicue furono le immissioni di liquidità a favore della Banca commerciale.
Giunse all'epilogo, alla fine del 1931, il contrasto tra il Toeplitz - per il quale il salvataggio avrebbe dovuto permettere alla Banca di continuare (superate difficoltà da lui certo sottovalutate) nella politica sino allora attuata - e il B., che assegnava all'intervento con mezzi forniti dallo Stato il compito di eliminare i rischi insiti nella prassi del finanziamento alle industrie. Il tentativo di superare la crisi con apposite società di smobilizzo e con la costituzione dell'IMI si rivelò privo di prospettive. La situazione patrimoniale delle banche era tanto compromessa che, all'inizio del 1933, 10 Stato dovette intervenire per evitare il crollo del sistema bancario e di gran parte dell'apparato industriale. Per il B., che impostò l'intervento pubblico, lo Stato doveva mettere a disposizione i capitali necessari a coprire le perdite e compiere le altre operazioni di salvataggio, ma acquisire i titoli e le proprietà industriali delle banche provvedendo, per proprio conto, alla loro gestione e al successivo smobilizzo.
Tra gli esperti di finanza, alcuni - e il B. era forse stato il primo - si vennero convincendo che gli sviluppi della crisi, che attanagliava nello stesso tempo banche e imprese, erano anche da imputarsi alla carenza dei sistema bancario che non rispondeva alle necessità di un efficiente finanziamento industriale. La situazione era infatti difficile anche per le imprese industriali alla cui sorte non erano interessate le banche e che, proprio per questa ragione, vedevano ridursi le possibilità di credito bancario quando più urgenti si facevano le necessità congiunturali. La separazione tra credito ordinario e credito industriale, di cui il B. era convinto assertore, diventava possibile solo se altri organismi pubblici fossero entrati a far parte del sistema bancario e fossero divenuti operanti. Il mercato obbligazionario non poteva infatti venire incontro alle necessità di un vasto numero di aziende, soprattutto medie e piccole, operanti in settori diversi da quelli in cui si concentravano i finanziamenti degli enti pubblici già esistenti.
Per ovviare a questa situazione e sollecitare una ripresa del finanziamento senza ulteriori erogazioni della Banca d'Italia, il B. aveva promosso la costituzione dell'Istituto mobiliare italiano (IMI), l'ente pubblico che avrebbe dovuto realizzare il credito industriale mediante mutui rimborsabili in termine non breve, con il ricorso a mezzi raccolti mediante emissioni obbligazionarie (r.d.l. 13 nov. 1931, n. 1398; 1. 15 dic. 1932, n. 1581).
L'idea di un riordinamento dei sistema bancario era esposta dal B. nella Relazione del consiglio di amministrazione della Bastogi per l'esercizio 1932, inviata in bozze a Mussolini il 10 maggio 1932, all'indomani della costituzione dell'IMI (di cui il B. fu consigliere di amministrazione) e poco meno di un anno prima della fondazione dell'IRI.
Il B. sosteneva la funzione primaria del mercato finanziario, che permetteva di convogliare direttamente il risparmio ai finanziamenti delle aziende, mediante lo sviluppo dei mercato delle obbligazioni, a medio e a lungo termine, mentre "nella organizzazione dei complessi servizi relativi al mercato delle obbligazioni e alla gestione e compravendita dei titoli per conto terzi, gli istituti ordinari di credito troveranno larga fonte di lavoro, di soddisfazione e di redditi". Il B. riteneva avviato il riordinamento del settore creditizio: "L'organizzazione strumentale della raccolta e della ripartizione del risparmio è, ormai, nel nostro Paese, posta su basi razionali e solide. Noi abbiamo fede che le attuali difficoltà, collegate alla situazione eccezionale dei mercati internazionali, saranno da noi superate meno duramente che altrove, poiché una ferma volontà di tutela e di potenziamento del risparmio muove inflessibile dal governo fascista che è centro motore di tutta la vita della Nazione".
Gli obbiettivi dell'IMI non poterono, sul momento, trovare pratica attuazione: nel volgere di pochi mesi l'aggravarsi della crisi, a livello mondiale e all'interno del paese, e la particolare situazione patrimoniale delle maggiori banche richiesero un intervento ben più esteso, su tutto il complesso dei rapporti tra grandi organismi bancari e finanziari e le imprese, tra le banche e l'Istituto di emissione, e tra questo e lo Stato. Il nuovo istituto, l'IRI, ideato e presieduto dal B., che realizzava questo più esteso intervento d'urgenza, era costituito da due sezioni: la "Sezione finanziamenti" e la "Sezione smobilizzi". L'Istituto (d. 1. 23 genn. 1933, n. 5) fu lo strumento che servì per un vero e proprio risanamento bancario, e gettò le premesse di un nuovo assetto del sistema bancario stesso, quale si ebbe con la legge del 1936.
La "Sezione finanziamenti" ebbe il compito di venire incontro alle urgenti necessità delle imprese per superare la crisi: procedette rapidamente ad un rigoroso esame della situazione patrimoniale di una gran quantità di aziende - oltre 1500 - e sovvenzionò quelle che vennero ritenute meritevoli di aiuto. Nel 1936, passato il momento più grave della crisi e nell'ambito di un ordinamento bancario che stava prendendo forma definitiva, la Sezione venne soppressa, e i suoi compiti - con tutte le sue attività e passività - passarono all'IMI, che aveva cominciato a funzionare e al quale venne concesso di concludere crediti fino a 20 anni.
La "Sezione smobilizzi" acquisì tutte le attività e passività risultanti dagli interventi operati dallo Stato dapprima a mezzo della "Sezione speciale autonoma" del Consorzio per sovvenzioni su valori industriali, e poi dell'Istituto di liquidazioni. Su di essa gravò quindi la parte più rilevante e determinante dell'intervento, cioè il riordinamento complessivo dei rapporti tra lo Stato, l'Istituto di emissione, le banche e le industrie. La riforma che ne scaturì sancì la scomparsa della cosiddetta "banca mista", vietò alle banche di credito ordinario di operare nel settore del credito industriale, stabilì un regime di adeguato controllo da parte della banca centrale e lasciò, di conseguenza, al mercato finanziario e ad appositi istituti in esso operanti i compiti di finanziamento dei programmi di sviluppo dell'apparato industriale.
L'IRI rilevò tutte le posizioni attive delle banche e della Banca d'Italia congelate in immobilizzi, costituendosi debitore verso di esse per un eguale importo da versare al termine di un periodo di venti anni, impegnandosi a convertire il debito in contanti qualora esse si venissero a trovare in crisi di liquidità. Per far fronte a questi debiti l'IRI poté contare su un triplice apporto: dello Stato, che coprì le perdite sopportate dall'istituto per garantire la solvibilità delle banche; dei realizzi conseguiti con la vendita delle attività industriali rilevate dalle banche e che erano, appunto, la contropartita dei crediti di queste ultime verso l'IRI; della raccolta di denaro sul mercato finanziario. Con lo Stato l'IRI stipulò, analogamente a quello che aveva fatto per le posizioni debitorie con le banche, una convenzione per le modalità dei versamenti di un certo numero di annualità; per le attività industriali, cominciò una sollecita azione di smobilizzo; sul mercato finanziario raccolse capitali a mezzo di prestiti obbligazionari. La ripresa economica dopo il 1935 agevolò le operazioni sul mercato, e i titoli industriali in possesso poterono essere smobilitati a condizioni migliori rispetto al momento dell'assunzione; la normalizzazione della attività bancaria, che seguì alla riforma del 1936, allontanò le eventualità di crisi di liquidità; la svalutazione, infine, agevolò la politica finanziaria impostata e attuata dai dirigenti dell'istituto, perché ridusse progressivamente le dimensioni dei debiti.
Le operazioni portarono l'IRI a detenere partecipazioni in un gran numero di aziende, nei settori bancario e finanziario, elettrico, telefonico, armatoriale, siderurgico, meccanico e chimico, tessile, immobiliare, agricolo, nonché in numerose altre attività industriali, sotto diverse forme. Del settore bancario, la quasi totalità delle partecipazioni fu costituita dal capitale azionario della Banca commerciale italiana. del Credito italiano e del Banco di Roma, istituti che, con la riforma del 1936, assunsero la qualifica di banche di interesse nazionale. Nel quadro dello stesso indirizzo cui si era conformata la costituzione dell'IRI venne avviato, all'indomani del risanamento bancario, lo smobilizzo, mediante vendita ai privati di numerose partecipazioni azionarie.
Solo per le partecipazioni bancarie il B. scartò fin dall'inizio l'eventualità di una retrocessione al capitale privato.
Il caso di maggior rilievo è rappresentato dalla cessione ad un sindacato privato di controllo - costituito dalle società Pirelli, La Centrale, Montecatini, Assicurazioni generali, Edison, FIAT - del pacchetto azionario di controllo della Bastogi, il quale, insieme ad una forte partecipazione alla SME, era caduto nelle mani dell'IRI con le operazioni di risanamento bancario a carico della Banca commerciale, del Credito italiano e del Banco di Roma.
In tal modo venne ristabilita la situazione che, prima dell'intervento, determinava i rapporti di equilibrio tra i diversi gruppi finanziari che controllavano il settore elettrico. A questa scelta il B. fu indotto dalla considerazione delle complesse e urgenti necessità dell'IRI nel suo periodo iniziale di attività dalla preoccupazione di non assumere posizioni di controllo se non in proporzione alle effettive possibilità di affrontare, sotto il profilo finanziario e organizzativo, ì problemi di gestione e di espansione delle imprese e dal quadro istituzionale al quale doveva uniformare la gestione dell'IRI. Il B. mantenne, insieme alla presidenza dell'IRI, quella della holding privata.
Solo con un provvedimento del giugno 1937 l'IRI assunse il carattere di ente permanente e di organo della politica industriale dello Stato e, quindi, una fisionomia diversa da quella iniziale. Da quel momento l'attività di smobilizzo rallentò e, anzi, si acquisirono nuove partecipazioni e divenne prevalente e primaria la funzione di organizzazione, integrazione e gestione delle partecipazioni dello stato in imprese industriali.
Dalle impostazioni e dalle realizzazioni del B. scaturirono condizioni nuove per lo sviluppo industriale del paese e per la condotta della politica economica italiana: gli ordinamenti finanziari e l'assetto della proprietà dei capitali nell'industria qualificarono da quel momento in Italia, un tipo di economia "mista" di iniziative pubbliche e private. Secondo quel principio al quale il B. si attenne sempre quando dovette affrontare la creazione o l'impostazione di enti finanziari pubblici, non solo la proprietà pubblica, nel gruppo IRI, conservò la forma azionaria, ma anche l'organizzazione dell'ente stesso venne conformata secondo criteri di gestione privatistica. L'impostazione era coerente con la concezione che egli aveva delle forme dell'intervento statale nella vita industriale, che doveva essere contenuto nei limiti del controllo finanziario e non estendersi ai compiti di programmazione e di gestione, ed era congeniale alle sue convinzioni riformistiche, oltre che dettata da necessità contingenti dell'IRI e dalla opportunità di limitare quelle reazioni facilmente prevedibili da parte dei gruppi privati.
All'indomani della crisi economica e del risanamento bancario, la posizione del B. nella vita finanziaria Italiana risultava ulteriormente consolidata. Nel 1936 egli era presidente dell'IRI, del CREDIOP, dell'ICIPU, dell'Istituto per il credito navale, membro del Consiglio d'amministrazione dell'IMI, del comitato centrale amministrativo del Consorzio per sovvenzioni su valori industriali e dell'Istituto nazionale dei cambi; nel settore privato, presidente della Bastogi e membro del Consiglio di amministrazione delle società già citate che ad essa facevano capo o nelle quali egli deteneva partecipazioni.
Verso la fine del luglio 1936 il B. venne colpito, a Milano, da una grave malattia e solo nell'autunno dello stesso anno andò lentamente ristabilendosi. Le sue capacità di lavoro restarono da allora gravemente compromesse.
Il B. mantenne la presidenza dell'IRI fino al 1939, nonostante che si moltiplicassero le pressioni su Mussolini - soprattutto all'indomani della malattia - per un esonero dalla carica. Il 4 apr. 1939 venne nominato senatore per la quinta categoria (ex ministro) e in quella occasione gli venne conferita la tessera di iscrizione al PNF, al quale, tuttavia, egli non volle mai formalmente aderire, limitandosi, come per il passato, a manifestare sentimenti di personale devozione e solidarietà al duce. Manifestazioni di adesione al regime fascista si ebbero in occasione della guerra d'Etiopia, quando, presso il CREDIOP, istituì un'apposita sezione per il finanziamento delle opere pubbliche in Africa, della entrata in guerra dell'Italia nel 1940, e con l'accettazione del programma d'autarchia economica. Poco dopo la nomina a senatore abbandonò le cariche pubbliche: nel novembre 1939 la presidenza dell'IRI, nell'aprile 1940 quelle del CREDIOP e dell'ICIPU, la cui presidenza passò di diritto al governatore della Banca d'Italia, e dell'Istituto per il credito navale che venne soppresso e l'attività assorbita dall'IMI. Abbandonò di conseguenza le altre minori cariche amministrative, ma conservò quelle che deteneva nelle società private dalle quali sole e non dalla pubblica amministrazione aveva, per principio, ricevuto compensi ed emolumenti. Da quel momento, avendo recuperato, se pure in misura limitata, le capacità di lavoro, dedicò ogni sua energia alla gestione della Bastogi.
Si fece promotore, quindi, di varie iniziative nell'ambito delle attività di questa società, che vennero intensificate e che non furono più limitate a compiti di reinvestimento azionario e di assistenza finanziaria alle imprese, ma si estesero a funzioni organizzative e di integrazione delle gestioni.
A capo della Bastogi il B. si era adoperato perché le imprese elettriche operanti nel Mezzogiorno e nelle Isole non fossero vincolate all'influenza dei grossi complessi settentrionali e perché disponessero di mezzi finanziari tali da permettere loro di mantenere il passo con l'espansione della produzione elettrica del centro-nord, in funzione e in previsione dei programmi di industrializzazione delle regioni meridionali.
Negli ultimi anni il B. insistette particolarmente sui vantaggi che sarebbero derivati alle regioni meridionali dalla disponibilità di energia elettrica, dallo sviluppo delle industrie manifatturiere del settore meccanico ed elettrotecnico, e dalle prospettive della meccanizzazione agricola.
Vennero costituite la Società meridionale elettrocarri, la Società meridionale metano, la Società meridionale motori e macchine agricole, e avviate altre minori iniziative. Nel 1942 era iniziata la costruzione - ad opera della prima di queste società - di autocarri mossi da accumulatori elettrici, ed entrava in funzione - ad opera della seconda - a Revisondoli il primo pozzo per l'estrazione di gas metano (3000 metri cubi al giorno). Nel complesso però queste iniziative furono, insoddisfacenti.
L'intensificazione delle attività della Bastogi si concretò anche nella assistenza finanziaria ai programmi di investimenti della SME, della SESO e della Società elettrica sarda, e nella partecipazione agli aumenti di capitale delle diverse società in cui essa era interessata.
Alla fine del 1943, Poco prima cioè della morte del suo presidente, i maggiori azionisti della Bastogi erano, oltre all'IRI, la Pirelli, la SADE e l'Edison, nonché alcuni enti assicurativi (la FIAT si era ritirata dal sindacato). La società deteneva, da sola o in compartecipazione con l'IRI e altri gruppi, posizioni di rilievo in numerose società. Nel 1940 aveva rilevato dall'IRI il pacchetto di maggioranza della Società romana di beni stabili; insieme con l'IRI, controllava le tre società elettriche già citate operanti nel Mezzogiorno e nelle Isole, e deteneva uno dei due maggiori pacchetti azionari della Montecatini (oltre il 10% del capitale, insieme con FIRI); disponeva inoltre di consistenti quote di minoranza nelle società Italcementi, SADE, Edison, SIP, Valdarno, e di maggioranza nelle società SABIEM, STIGLER, CGS, Meccanica di Arezzo, nelle altre società, sopra citate, da essa costituite, e in altre minori imprese.
Il B. morì a Roma il 26 apr. 1944.
Fonti e Bibl.: Fonti utili sulla formazione, sulla personalità del B., sull'ambiente in cui operò sono all'Arch. Centrale dello Stato; per il periodo 1911-1919: Carte Nitti, 4º Versamento, Corrispondenza; INA, busta 2, fasc. 1-2; per il periodo 1929-1943: Segreteria particolare del Duce, Sezione Carteggio riservato, fascicolo Alberto Beneduce e n. 364/R e 382/R; sezione Carteggio ordinario, fascicoli 509.833, 517.256, 209.065, 210.292 e 126.377; sezione Repubblica Sociale Italiana, R.S.I., fascicoli 405/R.V.; Presidenza del Consiglio. Gabinetto, Atti.
I dati biografici di maggiore rilievo - spesso confusi con quelli di Giuseppe Beneduce anche lui deputato della Campania - si ricavano dalle seguenti fonti: Calendario Generale del Regno d'Italia, ad annos; Annuario parlamentare, ad annos; Associazione fra le Società italiane per azioni: Notizie statistiche. 1928-1943; Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio, Ruoli di anzianità, 1905 e ss.; si vedano inoltre la commemorazione tenuta da F. Guarneri in Società italiana per le Strade Ferrate Meridionali. Relazione all'Assemblea del 6 giugno 1944, Roma 1944, pp. 9-13, e il profilo biografico di C. Padovani in La "Società Italiana per le strade ferrate meridionali"nell'opera dei suoi Presidenti, (1861-1944), Bologna 1962, pp. 187-229 (alle pp. 190-197 cenni biografici sul B. di G. Mortara).
Altre indicazioni sono fornite dai principali Quotidiani in occasione di talune vicende politiche e finanziarie di cui il B. fu protagonista, dalla rivista La vita italiana, dai comunicati ufficiali della Presidenza del Consiglio e dalle notizie diramate dalla "Agenzia Stefani". Per l'attività parlamentare v. gli Atti Parlamentari. Camera, Discussioni, legislature XXVI e XXXVI.
Altri elementi sulla sua attività di finanziere, e sulle sue opinioni circa l'intervento dello Stato nella vita economica, sono contenuti nelle relazioni sugli esercizi degli enti di cui il B. aveva la gestione, e nei provvedimenti del governo, istitutivi degli enti pubblici e di altra natura citati nel testo, i quali, in misura diversa secondo i casi, sono stati formulati, redatti, vagliati dal B. stesso. Si vedano, in particolare, per la Società italiana per le strade ferrate meridionali, le Relazioni sugli esercizi 1927-29, 1932-34, 1936. 1942-43; per il CREDIOP, il Bilancio al 31 dic. 1939; per l'IRI, la Relazione del Consiglio di Amministrazione, esercizio 1937. Per l'attività svolta presso la BRI, v.il Rapporto del Comitato finanziario, costituito dietro raccomandazione della conferenza di Londra del 1931, Basilea, 18 ag. 1931; il Rapporto del Comitato consultivo speciale riunitosi ai termini dell'art. 119 del piano Young su richiesta dei governo tedesco, Basilea, dicembre 1931; la Terza relazione annuale, 10 apr. 1932-31 marzo 1933, Basilea, maggio 1933. Sulle origini dell'IRI, le operazioni di risanamento bancario e la riforma bancaria del 1936 v. Ministero della Costituente, Rapporto della Commissione Economica, Industria;Id., Problemi monetari e commercio estero. Relazione, Roma 1946; Ministero dell'Industria e del Commercio, L'Istituto Per la ricostruzione industriale, IRI, 3 voll., Torino 1955.
Altri elementi o riferimenti, anche soltanto indiretti, sono offerti da numerosi contributi della memorialistica e saggistica, tra i quali meritano di essere segnalati: V. Giuffrida, Problemi di ieri e di oggi, Roma 1945 (v. prefazione di F. S. Nitti su V. Giuffrida e A. B.); E. Conti, Dal taccuino di un borghese, Milano 1946; E. Rossi, Lo Stato industriale, Bari 1952; F. Guarneri, Battaglie economiche, Milano 1953; F. Turati-A. Kuliscioff, Carteggio, VI, Torino 1959; A. De Stefani, Baraonda bancaria, Milano 1960; E. Scalfari, Storia segreta dell'industria elettrica, Bari 1963; F. S. Nitti, Scritti Politici, VI, Bari 1963, p. 455 (sul B. massone); E. Rossi, Padroni del vapore e fascismo, Bari 1966.