BOLOGNETTI, Alberto
Nacque a Bologna il 28 luglio 1538, da Francesco e da Lucrezia Fantuzzi. Addottoratosi in diritto nel giugno 1562, ottenne subito la lettura di institutiones nello Studio cittadino. Nel 1565 fu chiamato alla medesima cattedra nello Studio di Salerno con un soldo di 500 scudi. Nel 1570 pubblicò a Roma De lege,jure et aequitatedisputationes e Commentaria ad rubricam: de verborumobligationibus, entrambi ristampati più volte.
L'ascesa al pontificato del bolognese Gregorio XIII distolse il B. dall'insegnamento e dagli studi giuridici. Il nuovo pontefice, infatti, che così fortemente inclinò a circondarsi di concittadini e di congiunti, non dimenticò il B., col quale era remotamente imparentato e nel 1574 lo chiamò alla corte romana, avviandolo alla carriera della prelatura e della diplomazia. Dapprima protonotario apostolico e referendario delle due segnature, il B. fu infatti designato il 25 febbr. 1576 nunzio alla corte granducale di Toscana.
La missione del B. a Firenze si collocava nella generale riforma dei compiti e delle funzioni dei rappresentanti diplomatici della Santa Sede nelle varie corti europee che Gregorio XIII promosse appunto in quegli anni, accentuando, rispetto ai compiti di politica internazionale per il passato prevalenti nell'opera dei nunzi, le incombenze di carattere più propriamente religioso. I nunzi venivano così preposti alla attuazione dei deliberati tridentini, acquistando un carattere che doveva necessariamente dispiacere ai governi secolari. A Firenze, tuttavia, il B. non ebbe grandi difficoltà: il debole governo di Francesco de' Medici, pur con le immancabili rimostranze, non osò ostacolare seriamente il nunzio nell'espletamento delle sue nuove funzioni ed il B. poté realizzare completamente la visita delle diocesi toscane che costituiva il suo compito principale. Maggiori difficoltà gli vennero invece dalla relazione del granduca con Bianca Capello, ma il B., che del resto non aveva istruzioni di aprire con il granduca un contrasto in proposito, era troppo buon diplomatico per andare oltre qualche innocua raccomandazione di prudenza.Secondo le nuove disposizioni gregoriane intorno alla breve durata delle nunziature, il B. rimase a Firenze poco più di due anni: il 10 sett. 1578 fu infatti nominato nunzio presso la Repubblica di Venezia. Il B., che il 27 apr. 1579 fu nominato vescovo di Massa, riuscì a stabilire a Venezia ottime relazioni personali con il governo, ed in particolare con il doge Niccolò da Ponte, ma non poté evitare che le autorità venete, ostili ad ogni interferenza, si opponessero alla visita delle diocesi dello Stato.
Gregorio XIII, prevedendo tali difficoltà, aveva disposto sin dal principio che il nunzio fosse affiancato nella visita da due prelati veneziani, il vescovo di Verona Agostino Valier e quello di Padova Federico Cornaro, ma questa limitazione dei poteri attribuiti unilateralmente al nunzio non sembrò sufficiente al governo della Repubblica, che rivendicò l'ispezione al patriarca di Venezia, secondo la tradizione, e rifiutò di dare al B. ogni informazione sui beni dei monasteri, degli ospedali e degli altri istituti religiosi, impedendogli in definitiva di attuare la visita. Il B. ritenne di poter trattare con il da Ponte un soddisfacente compromesso concedendo che la visita fosse fatta da uno dei due vescovi designati da Roma come suoi collaboratori, il Valier. L'accordo tuttavia fu aspramente disapprovato dalla Curia; il segretario di Stato Tolomeo Galli scriveva al B. nel febbraio 1581 dolendosi "che altri habbi potuto tanto appresso di V. E., che l'habbi fatta scordare et tener così poco conto di tanti ordini, che le sono dati da Natale in qua in questa materia di visita" (A. B., Epistolae et acta, p. XLI): l'allusione all'amicizia col da Ponte era chiara e la disapprovazione ancora più esplicita. In effetti il B. fu bruscamente richiamato dalla nunziatura il 14 marzo successivo. Non migliorò certo la sua posizione agli occhi del governo pontificio il fatto che, prendendo congedo dalla Signoria veneziana, questa "lo presentò di mille scudi né per anco si è potuto sapere a che effetto" (ibid.). Non c'è dubbio che in questa occasione l'atteggiamento assunto dal B. fosse largamente discutibile dal punto di vista della Curia: occorre tuttavia considerare il peso che potettero avere, nell'indurlo a ricercare un compromesso, le esplicite minacce del doge di una separazione dalla Chiesa romana e di una adesione al rito greco, nel caso che il contrasto fosse arrivato al livello di rottura. In ogni modo questa fu la giustificazione che egli addusse al suo ritorno a Roma, dove non gli costò poca fatica recuperare la fiducia del pontefice e del segretario di Stato: pare anzi che egli non ci sarebbe comunque riuscito se non fossero intervenuti in suo favore presso Gregorio XIII i due nipoti del pontefice, i cardinali Filippo Guastavillani e Filippo Boncompagni, nonché il figlio del papa, il duca di Sora Giacomo Boncompagni.
Tutte queste protezioni, se evitarono che il B. subisse un danno troppo rilevante dalla vicenda veneziana, impedendo che egli fosse esonerato, come pure era parso possibile in Curia, da ulteriori incarichi diplomatici, non riuscirono tuttavia ad evitare che il B. pagasse in qualche modo il prezzo dei sospetti e dello scontento suscitati nel pontefice e nel Galli: la sua aspirazione alla nunziatura di Madrid, una delle tre principali, non fu esaudita per quanto egli vi si prodigasse. Ma il risentimento dell'accomodante pontefice bolognese non durò a lungo: già il 4 aprile del 1581 il B. fu infatti designato alla nunziatura di Polonia, la quale, date le circostanze, era tutt'altro che di secondo piano.
Il pontefice, infatti, non aveva rinunziato al grande progetto di ricostituire una grande alleanza degli Stati cattolici contro il Turco, per conseguire quei risultati risolutivi che il particolarismo delle potenze impegnate nella lega di Lepanto aveva reso impossibili un decennio prima. Ora quel disegno si alimentava di nuove speranze, poiché il sultano Murād III era impegnato in una guerra estenuante contro i Persiani, che nella Curia romana era interpretata come una occasione irripetibile. Al centro del nuovo progetto di crociata era ora la speranza di un intervento concentrico dei Russi e dei Polacchi contro i Turchi che, già duramente impegnati in Asia con lo scià e assaliti per mare dalle flotte cristiane, se la Spagna e Venezia avessero aderito alla lega, non avrebbero potuto evidentemente resistere. Peraltro alla realizzazione di questo progetto era condizione essenziale la pace tra il re di Polonia Stefano Báthory e lo zar moscovita Ivan IV: a questo fine aveva lavorato negli ultimi anni, sebbene senza alcun risultato, il nunzio in Polonia Giovanni Andrea Caligari, che il B. era chiamato a sostituire, mentre a Mosca era stato inviato il gesuita Antonio Possevino.
Il B. seppe subito stabilire i migliori rapporti con il sovrano e con la corte di Polonia e lavorò con ogni diligenza alla realizzazione dell'armistizio decennale tra lo zar ed il Báthory, stipulato il 15 genn. 1582: ma sostanzialmente il suo contributo rimase marginale rispetto a quello del Possevino. Maggior peso ebbe il B. nella risoluzione di un altro contrasto che pure pesava notevolmente sulle possibilità di realizzazione della lega cristiana, quello tra il Báthory e Rodolfo II, nato dall'occupazione imperiale di alcune importanti piazzeforti ungheresi rivendicate dal Báthory. Il B., coadiuvato anche dal Possevino e dal nunzio a Vienna, riuscì a stabilire un compromesso accettabile tra le due parti. Ciononostante la realizzazione della lega, per quanto concerneva lo zar e lo stesso Báthory, continuò ad essere rinviata, dapprima per l'esecuzione delle condizioni dell'armistizio, poi per i perduranti sospetti reciproci, tanto più giustificati da parte di Stefano in quanto lo zar mostrò, una volta ottenuto dalla mediazione pontificia il risultato che gli premeva, le sue scarse disposizioni ad impegnarsi in una guerra contro l'impero turco. Il progetto di lega ricevette un nuovo impulso dal favorevole atteggiamento spagnolo testimoniato al papa nell'estate del 1583 dall'ambasciatore duca d'Olivares, e dalla nuova minaccia turca contro Creta. Il B. fu impegnato dal pontefice a rinnovare le pressioni sul sovrano polacco e tutto il resto di quell'anno ed i primi mesi del successivo trascorsero in discussioni tutt'altro che concludenti tra il nunzio apostolico e la corte polacca, fino a che la morte di Ivan il Terribile, il 18 marzo 1584, venne a modificare nuovamente la situazione.
Nel corso di queste trattative la posizione personale del B. si era largamente rafforzata: eletto alla porpora cardinalizia nel concistoro dell'11 dic. 1583, egli approfittò del suo nuovo prestigio sia alla corte polacca, sia a quella romana per esautorare il Possevino che in teoria avrebbe dovuto essere il suo principale collaboratore, ma che in effetti limitava con le sue iniziative autonome, con i contatti personali alla corte, con l'arte sapiente dell'intrigo la stessa autorità del nunzio. Il contrasto peraltro non era tanto di natura personale, come ritennero alcuni biografi del diplomatico gesuita, ma nasceva soprattutto dall'opposto giudizio dei due sui nuovi orientamenti della corte polacca dopo la morte di Ivan il Terribile. Le condizioni di instabilità politica dello Stato moscovita lusingavano troppo le ambizioni del Báthory e l'odio nazionale della nobiltà contro i Russi, perché la tregua decennale mantenesse il suo significato alla corte di Cracovia. Il progetto di una spedizione contro Mosca, per strappare nuovi territori agli eterni nemici, e addirittura la pretesa del Báthory di impadronirsi con la forza della corona moscovita presero a dominare la scena dei rapporti diplomatici tra Roma e la Polonia, poiché Stefano proponeva ora la cattolicizzazione dello Stato moscovita, resa possibile a suo credere dalla nuova situazione, come la migliore garanzia del comune impegno dei Russi e dei Polacchi contro l'impero ottomano. Il Possevino, lusingato dall'idea grandiosa di riconquistare alla Chiesa il favoloso impero degli zar, aderì sostanzialmente a questo progetto, in base al quale la Curia avrebbe dovuto sostenere finanziariamente la spedizione moscovita; il B. invece fu ben lontano, e con lui la segreteria di Stato, dal partecipare agli entusiasmi del Possevino: anzi egli ritenne il gesuita responsabile, per l'ascendente di cui innegabilmente godeva presso Stefano, di un disegno che rendeva sempre più remota e problematica la possibilità della lega contro i Turchi: di qui soprattutto la sua ostilità al Possevino e la insistenza presso la Curia perché egli fosse privato delle prerogative di iniziativa diplomatica sino allora godute, cosa che finalmente avvenne, ad opera del Galli, con l'allontanamento del gesuita dalla corte. Però anche il B. usciva sconfitto in quello che era il suo compito principale, le trattative con il Báthory, ma le ragioni di questo insuccesso andavano ben al di là delle specifiche qualità diplomatiche del cardinale bolognese.
Migliori risultati il B. ottenne nei suoi compiti propriamente religiosi, stabilendo con il clero polacco quelle buone relazioni che erano mancate al suo predecessore aligari: sin dall'inizio egli godette dell'appoggio dell'influente primate di Polonia Stanislao Karnkowski; anche i vescovi di Cracovia, Chelmno, Erndand, Vilna e Leopoli sostennero lo zelo riformatore del nunzio, che, a differenza del Caligari, seppe tener conto delle specifiche situazioni locali e promosse l'osservanza dei deliberati tridentini con un notevole spirito di moderazione: le visite diocesane, l'osservanza dell'obbligo della residenza, la diffusione dell'istruzione religiosa ricevettero comunque durante la sua nunziatura un impulso senza precedenti. All'occasione il B. seppe tuttavia dimostrarsi fermo nella difesa delle trattative tridentine: la lunga vertenza per l'elezione del Tugowski all'episcopato di Přemyśl, che Gregorio XIII si rifiutò di convalidare, lo impegnò con successo ad ottenere dal Báthory l'impegno a consultarlo ogni qual volta si trattasse di attribuire uffici ecclesiastici di rilievo. Ottenne anche dal sovrano la limitazione degli eretici nelle cariche di corte ed in generale, con il valido appoggio dei gesuiti che, nonostante il contrasto con il Possevino, sullo specifico terreno della riforma religiosa non gli mancò mai, si spinse tanto avanti nella limitazione e nella repressione dei calvinisti e degli unitari quanto le condizioni politiche della Polonia consentivano; e ancora opera sua e dei gesuiti fu l'unione dei Ruteni polacchi alla Chiesa cattolica, così come la restaurazione del culto cattolico in Livonia, dopo che questa provincia fu strappata dal Báthory ad Ivan il Terribile.
L'introduzione nel regno del calendario gregoriano fu tra i compiti felicemente assolti dal B., anche se il provvedimento incontrò vivaci resistenze in molte città polacche e in Lettonia addirittura dei moti sanguinosamente repressi. Lo zelo cattolico della regina Anna Iagellona fu accortamente impiegato dal nunzio nella promozione di varie istituzioni religiose, tra le quali, a Varsavia, una confraternita del SS. Sacramento, sull'esempio di quella omonima costituita a Roma per accompagnare processionalmente il Santissimo nella città. In generale il B. fu sempre presente presso il sovrano, sfruttando sapientemente il privilegio secondo il quale era consentito al solo nunzio apostolico tra tutti i rappresentanti diplomatici di conferire con il re senza testimoni. Egli seguì il Báthory in tutti i suoi interminabili itinerari da una all'altra città del regno, astenendosene soltanto quando il re era al campo presso l'esercito. Dovette quindi affrontare disagi notevoli, aumentati dall'austerità che si era imposto per rendere più agevole con l'esempio la riforma morale e disciplinare del clero polacco.
Così il B. dimostrava di non demeritare l'alto riconoscimento tributatogli da Gregorio XIII quando lo aveva chiamato a far parte del collegio cardinalizio, decisione questa che era stata vista a Roma, secondo un contemporaneo, con "qualche meraviglia di quelli, che sanno i disgusti, ch'egli ha dato al Papa nel suo primo carico, ma non già di quelli che sanno, che gli è bolognese" (Pastor, IX, p. 890). Quando giunse in Polonia la notizia della morte di Gregorio XIII, il B. intraprese il viaggio per recarsi a Roma e partecipare al conclave, ma la morte lo colse a Villach, in Carinzia, il 9 maggio (non il 23, come vuole il Pastor) del 1585. La sua salma fu traslata a Bologna.
Fonti e Bibl.: F. Amadi d'Agostino, Della nobiltà di Bologna, Cremona 1588, pp. 33 s.; B. Galeotti, Trattato degli uomini illustri di Bologna, Ferrara 1590, pp. 22 s.; G. A. Petramellari, Ad librum Onuphrii Panviniide Summis Pontificibuset S. R. E.cardinalibus... continuatio, Bononiae 1599, pp. 295 s.; A. B.nuntii apost. in Polonia epistolae et acta, in Monumenta PoloniaeVaticana V, Cracoviae 1923-1933; S. Ciampi, Bibliografia critica, Firenze 1834, p. 26, Il card. A. B. e la sua nunziatura diPolonia, a cura di F. Calori Cesis, Modena 1861; R. Ludwig, Quae Bolognettuscard. papae nunciusapostolicus in Polonia... perfecerit, Breslau 1864; P. Pierling, Papes et tsars, Paris 1890, passim; L. Boratyński, Studia nadnuncyaturâ polskâ Bolognettiego(1581-1586) (Studi sulla nunziatura Polacca del B.), Kraków 1907; L. von Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1929, passim; IX, ibid., passim; X, ibid. 1928, pp. 16, 390, 396, 506.