BRUNO (Bruni), Alberto
Detto comunemente "d'Asti", il B. nacque tuttavia ad Acqui, più precisamente nel borgo di quella città chiamata Moirano, nel 1467. Passò la fanciullezza al castello Aqualdo e fu poi avviato agli studi di grammatica ad Alba, nel Monferrato, allora aggiornato centro di cultura. Nel 1489 si trasferiva a Torino per intraprendere presso l'università lo studio del diritto cui si sarebbe dedicato per sette anni sotto la guida di Iacopino da San Giorgio. Fin dai primi anni ebbe modo di far valere la sua particolare attitudine per le discipline giuridiche avviandosi nel contempo alla carriera forense, ancor prima di aver concluso gli studi.
Prese infatti il dottorato in utroque a Pavia dopo aver seguito nel 1496 i corsi di Giason Del Maino, Carlo Ruino e Francesco Corte il Vecchio. Rinunziava allora alla carriera universitaria e, tornato in Piemonte, nel 1498 sposava Argentina di Bernardino Colonna dei signori di Baldissero; degli undici figli che ebbe, sopravvissero Isabella, poi maritata ad Antonio Cabaloto, e Giovan Battista, che avrebbe intrapreso anche lui la carriera forense.
Il matrimonio che lo imparentava con i signori di Baldissero fu il primo tangibile segno dei brillanti sviluppi della sua carriera forense e pubblica che sempre piùlo videro legarsi con la casa di Savoia. Nel 1504 era nominato vicario del prefetto di Saluzzo e nel 1509 veniva investito del feudo di Ferrere nell'Astigiano. Nel 1520 il duca di Savoia lo nominava, avvocato fiscale, carica che tenne fino alla morte avvenuta ad Asti nel 1541.
Pur non trovandosi tracce di un suo insegnamento presso lo Studio di Torino, l'opera giuridica del B., specie quella in materia feudale, risente fortemente dell'influenza della trattatistica piemontese, che proprio a Torino, nella prima metà del sec. XVI, prendeva le mosse dal magistero del Seyssel e che avrebbe raggiunto poi espressioni dottrinali proprie ed evolute nella generazione successiva di giuristi, con i Balbo e i Cacherano d'Osasco.
I Feudalia consilia ac responsa, editi postumi a Venezia nel 1548 e poi a Francoforte nel 1578, sono forse l'opera più significativa del Bruno. I centoventuno consilia ivi raccolti costituiscono una silloge completa di tutti i settori del diritto feudale: dalle controversie su alienazioni, concessioni, donazioni, divisioni di feudi e di beni feudali alla definizione del rapporto personale e reale tra il principe e il feudatario, dalle potestà degli abitanti del feudo ai diritti dei feudatari, dai pareri in materia penale a quelli sul regolamento delle successioni.
Il favore incontrato dall'opera del B. si spiega essenzialmente per il taglio marcatamente regalistico della sua attività consulente; il mutamento dei rapporti di forza tra il feudatario, da un lato, il princeps e gli abitanti del feudo, dall'altro, viene illustrato con una minuziosa regolamentazione giuridica, che fa riferimento puntuale alla tradizione consuetudinaria soprattutto lombarda e piemontese, a cui i Consilia del B. sono più frequentemente rivolti, e che mira a fissare una serie di limitazioni agli abusi feudali e di controlli sulla condotta dei feudatari, avvalendosi anche di una ricca casistica circa la "violazione normativa", fattispecie che automaticamente dava adito al ricorso al principe.
Opera di rilievo è anche il Tractatus de statutibus a successionibus foeminas escludentibus, edito anch'esso postumo a Venezia nel 1549 e poi raccolto nel secondo volume del Tractatus universi iuris, in cui il B. tratta sistematicamente in quindici "articoli" una materia assai dibattuta e controversa in tema di successioni ereditarie, con un esame minuzioso circa l'origine delle norme che escludono dalla successione le donne, e circa la motivazione di tale normativa e la sua interpretazione generale e straordinaria nonché l'enunciazione di varie casistiche relative alla esatta individuazione de iure dei chiamati a succedere.
Con il De monetarum augmento,variatione et diminutione (Colonia 1591, Torino 1609 e nel XII volume dei Tractatus universi iuris) il B. affronta invece un tema classico della tematica contrattuale cinquecentesca, quello cioè dell'accettabilità o meno della consuetudine quale canone interpretativo, circa il valore da attribuirsi alla moneta oggetto di obbligazione.
Problema più che rilevante data la notevole diversità di soluzione che poteva derivare, in caso di soddisfazione di un'obbligazione pecuniaria, dal propendere per la "bonitas intrinseca" o per la "bonitas extrinseca" della moneta stessa. Il diritto comune, con le sue rigidissime strutture, concepiva il valore nominale della moneta come oggetto specifico della obbligazione; tale normativa si risolveva spesso, nella pratica quotidiana, in un danno o per il creditore o per il debitore, dando luogo a situazioni d'ingiustizia. La preoccupazione degli interpreti trovò nel riferimento alla consuetudine la possibilità di ovviare al troppo rigore. Il B. fu tra gli interpreti che precisarono i limiti e l'efficacia della "consuetudo solvendi", cui si ricorreva appunto, quando, mancando una più esatta determinazione della volontà delle parti, interveniva la consuetudine a svolgere la sua funzione integratrice, con conseguente prevalenza del valore reale della moneta su quello legale. La "consuetudo loci" in tal modo permetteva un pagamento che, per il diritto comune, non sarebbe stato ammesso, giungendo anche a riconoscere valore al pagamento in moneta diversa da quella originariamente consegnata al creditore.
Accanto a queste maggiori opere vanno ancora ricordati del B. il De constitutionibus,decretis,statutis,consuetudinibus (Asti 1518) e il Repertorium in materia statutorum (Asti 1518 e Venezia 1548 e 1549). Opere minori sono anche il trattatello De feudis (Lione 1562) e il De forma et solemnitate iurium (Venezia 1549).
Nel Tractatus universi iuris (Venezia 1583-86) trovansi raccolti i seguenti suoi scritti: De augmento rebus additis (XIV), De diminutione et deterioratione,De interitu et peremptione,De refectione,De mutatione et transformatione,De permanentibus in eodem statu (tutti nel XVII), De rebus seu dispositionibus dubiis (XVIII).
Tra le opere del B. il Besta colloca erroneamente un trattato De iudiciis et tortura che va invece riferito con tutta probabilità al giureconsulto Francesco Bruno, autore di un trattato omonimo edito a Siena nel 1495.
Bibl.: A. Fontana, Bibl. legalis, I, Panormi 1688, col. 150; A. Lipenius, Bibl. realis iuridica, Francofurti 1679, passim; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, p. 2178; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., III, Milano 1833, p. 582; G. M. De Rolandis, Notizie sugli scrittori astigiani, Asti 1839, p. 52; F. Gabotto, Lo Stato sabaudo da Amedeo VII ad Emanuele Filiberto, III, Torino 1895, p. 217; E. Besta, Storia del diritto ital., Milano 1925, I, 2, p. 867; P. Grossi, Ricerche sulle obblig. pecuniarie nel diritto comune, Milano 1960, pp. 380, 473; Nuovo Dig. Ital., II, ad vocem; Encicl. Ital., VII, pp. 979 s.