CACCIANEMICI, Alberto
Personaggio di non comune importanza politica nel mondo comunale bolognese ed emiliano del sec. XIII, ma noto per lo più, indirettamente, come padre di Venedico e di Ghisolabella, la cui sinistra fama è stata tramandata ai posteri dall'Alighieri nella Divina Commedia (Inf., XVIII, 55-57). Meglio di ogni altro congiunto il C. rappresentò quella generazione operosa che riuscì ad ambientare nella vita comunale bolognese le fortune del suo casato di origini comitali.
Nacque presumibilmente agli inizi del Duecento da Caccianemico de' Caccianemici "de Ursis" (o "Grandi") e da una Gisla, non meglio conosciuta. Nulla ci è stato tramandato dei primi decenni della sua esistenza, se non che in un tempo probabilmente non molto anteriore al 1228 si unì in matrimonio con Pellegrina Baccilieri, discendente da un'illustre famiglia bolognese, dalla quale ebbe almeno tre figli: Caccianemico, Ghisolabella e Venedico. Rimasto vedovo, si risposò in un tempo imprecisato con un'altra bolognese di ragguardevole casato: Galeana di Filippo Asinelli.
Discendente da una famiglia di chiare tradizioni filopapali (un suo congiunto di nome Gerardo fu papa Lucio II nel 1144-1145), il C. perseguì coerentemente, sia nell'ambito domestico, sia in quello comunale bolognese una politica guelfa così intransigente e faziosa da meritarsi, persino fuori della sua città, l'appellativo di "Alberto dell'iniquità". Anche se la sua partecipazione alla vita pubblica è testimoniata solo a partire dalla metà circa del Duecento, ogni indizio - e in particolare la rapidità ed intensità della sua carriera politica negli anni immediatamente seguenti - lascia ritenere che il C. avesse già attivamente operato nell'ambito della seconda Lega lombarda per organizzare la solidarietà guelfa padana e prepararla a fronteggiare le rinnovate iniziative militari dell'imperatore Federico II. Ma la crescita del suo prestigio di uomo politico risoluto viene attestata soprattutto dalla frequenza con cui venne designato e riconfermato alla podesteria di vari importanti Comuni padani.
Iniziò probabilmente la carriera podestarile a Ravenna nel 1249, mentre stavano cadendo le ultime resistenze imperiali e le città guelfe, per eliminare le residue forze ghibelline, avevano dato maggiore respiro alle loro relazioni, anche mediante lo scambio di podestà di provata fede politica. L'opera del C. si realizzò così da un lato, rinnovando l'intesa con le città già alleate, dall'altro, cercando di disciplinare e coagulare le diverse tendenze guelfe bolognesi nella parte geremea, tentativo questo che lo impegnò soprattutto dopo la morte del capo guelfo Guglielmo Galluzzi. Fu proprio il C. a dare, in tal modo, un contributo notevole non solo al movimento di penetrazione del Comune bolognese in Romagna, ma anche al processo di recupero alla S. Sede di questa regione e di altre terre operato dalla metà del sec. XIII dai legati apostolici. A tal fine il C. mantenne contatti ufficiali, come rappresentante del Comune di Bologna, cogli inviati papali e soprattutto col pontefice Innocenzo IV.
Proseguì, intanto, la sua carriera podestarile: nel 1251 fu chiamato a reggere la podesteria a Todi; l'anno successivo a Milano; nel 1254 venne designato a Modena podestà di parte guelfa, assieme a Fabro de' Lambertazzi che rappresentava la fazione ghibellina, e restò in tale funzione anche l'anno seguente; la podesteria gli fu conferita anche dal Comune imolese nel 1258 e nel 1261. L'anno seguente fu ancora podestà di Modena, dove venne richiamato pure nel 1266; nel frattempo, durante il 1264, aveva ricoperto la stessa carica a Mantova.
In seguito il ritmo del suo cursus podestarile cominciò ad attenuarsi: risulta, infatti, ancora podestà a Pistoia nel 1270 e, infine, a Piacenza nel 1275. Ciò si deve presumibilmente attribuire anche ad un grave fatto di sangue che sembra l'avesse avuto come ispiratore e principale responsabile: l'uccisione, cioè, compiuta dietro istigazione dei figli Caccianemico e Venedico, nel 1268, del nipote Guido di Gruamonte, detto Paltena. Era la tragica conclusione di accese rivalità domestiche che metteva in luce anche nella vita privata, come già in precedenza nella lotta politica, lo spirito violento del Caccianemici. Le conseguenze giudiziarie di tale delitto abbastanza gravi per il figlio Caccianemico, condannato all'esilio, furono assai più lievi per il C. al quale fu inflitta una multa di 2.000 lire di bolognini. Già l'anno seguente fu ristabilita almeno formalmente la concordia nel casato dei Caccianemici, ma non sembra che ciò permettesse al C. di riguadagnare il prestigio di cui godeva una volta entro e fuori della sua città. Pur tuttavia la sua presenza si rivelò ancora incisiva e in qualche caso determinante nelle vicende bolognesi che videro i Geremei prendere il sopravvento sui Lambertazzi fino a cacciarli dalla città nella primavera del 1274: rivelò spirito fazioso nel risolvere con mano pesante una controversia fra guelfi e ghibellini di Bologna e di Modena nel corso degli anni 1271-1272; militò pure nel 1273 nelle formazioni di guerra del Comune bolognese inviate all'assedio della ghibellina Forlì, che si era ribellata alla supremazia della sua città.
Contrariamente all'opinione della maggior parte degli scrittori bolognesi, che hanno attribuito al C. un'esistenza pressocché centenaria, facendolo morire nel 1297, lo Zaccagnini poté stabilire che la morte avvenne nell'ottobre 1277: infatti una carta in tale data ricorda il figlio Venedico per la prima volta come orfano del padre ("Veneticus quondam Alberti de Caçanimicis"). Tutte le imprese del ventennio seguente, già attribuite indiscriminatamente al C., devono, pertanto, essere riferite a suoi parenti omonimi e contemporanei: o ad Alberto Novello figlio di Giacomino, o ad Alberto figlio del fratello Caccianemico o ad altro discendente omonimo del suo casato.
Fonti e Bibl.: Petri Cantinelli Chronicon, in Rer. Ital. Script., 2 ediz., XXVIII, 2, a cura di F. Torraca, pp. 10-12, 15; Relatio translationis corporis s. Geminiani..., ibid., VI, 1, a cura di G. Bertoni, App. III, 2, p. 18; G. Boccaccio, Decameron, a cura di V. Branca, II, Firenze 1952, p. 551; L. V. Savioli, Annali bolognesi, Bassano 1795, III, 1, pp. 214, 223, 241, 260, 262, 266 s., 323, 335, 435, 461; G. Gozzadini, Delle torri gentilizie di Bologna, Bologna 1875, pp. 212 s.; M. Sarti-M. Fattorini, De claris ArchigymnasiiBononiensis professorib us, Bononiae 1888-1896, II, pp. 42, 44, 60 s., 63 s., 222; Q. Santoli, Iconsoli e i podestà di Pistoia sino al 1297, Pistoia 1904, p. 16; E. P. Vicini, I podestà di Modena, I, Roma 1913, pp. 106 s.; G. Zaccagnini, Personaggi danteschi a Bologna e in Romagna, in Atti e memorie d. R. Deput. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 43 XXIV (1933-1934), pp. 19-71; G. Dall'Occa dell'Orso, Venedico Caccianemici e la sua gente. Nuove ricerche, in L'Archiginnasio, XXXVI (1941), pp. 212-225.