CIANDA, Alberto
Nato a Roma il 1° genn. 1984 da Francesco, ufficiale giudiziario, e da Modesta Vespasiani, ambedue di origine umbra, si formò in un ambiente familiare in cui erano vive le tradizioni garibaldine e massoniche, alimentate dal ricordo del nonno paterno, Vincenzo, che nel 1866 aveva combattuto nel Trentino agli ordini di L. Pianciani (S. Fratellini, Spoleto nel Risorgimento, Spoleto 1910, p. 222). Costretto dalla morte del padre ad interrompere gli studi universitari di giurisprudenza, si dedicò al giornalismo, percorrendovi una rapida carriera: dal 1905 al 1910 fu redattore parlamentare della Tribuna, lavorò poi, per un breve periodo, all'ufficio di corrispondenza romano del Secolo, infine, nel 1911, passò al Messaggero, di cui diventò redattore capo l'anno seguente.
Scoppiato il conflitto mondiale, il C. svolse un ruolo importante nei contrasti che divisero la redazione del Messaggero sul problema dell'intervento italiano, contribuendo decisivamente a fargli assumere quella linea che lo caratterizzò come uno degli organi più accesi dell'interventismo democratico; a questo fine non esitò, peraltro, a collegarsi con ambienti salandrini. Dopo la guerra, alla quale partecipò volontario, accrebbe il suo peso all'interno del foglio romano, fino a dirigerlo di fatto, anche perché il direttore, I. C. Falbo, eletto deputato nel novembre 1919, venne sempre più distratto dagli impegni parlamentari; ma, all'inizio del 1921, quando Giolitti indusse i Perrone, proprietari del Messaggero, a invertirne l'orientamento nittiano in senso filogovernativo, uscì dal giornale (cfr. Il Messaggero, 26-27 febbr. 1921), con un gesto che ebbe risonanza nel mondo giornalistico e politico romano (cfr. Avanti!, ed. romana, 1° marzo 1921).
Dall'aprile al settembre del 1921 diresse L'Ora, quotidiano di Palermo, vicino a Nitti da tempo, che una recente combinazione editoriale e politica intervenuta tra il proprietario, l'industriale molitorio F. Pecoraino, e G. Amendola destinava al sostegno delle forze democratiche meridionali, specialmente in vista delle elezioni del 15 maggio. Richiamato a Roma dai preparativi per l'uscita del Mondo, il C. ne fu redattore capo con funzioni direttive fin dal primo numero apparso il 26 genn. 1922, e assunse la qualifica di direttore il 22 agosto, dopo che A. Torre, accostatosi al fascismo, ebbe rinunciato alla supervisione politica del giornale, di cui era stato principale ideatore e procacciatore di finanziamenti, disapprovando che esso diventasse l'organo del Partito democratico italiano, fondato nel giugno da Amendola e Nitti.
Rimasto Amendola l'unico ispiratore dei Mondo, mentre i finanziamenti di F. Matarazzo, procurati inizialmente dal Torre, venivano surrogati da quelli di Pecoraino, il C. divenne il fedele interprete del suo pensiero e strinse con lui rapporti sempre più stretti di collaborazione politica e di amicizia, nutriti, oltre che dalle consonanze ideologiche, da affinità di temperamento, quali il moralismo intransigente e l'attitudine alle battaglie di opposizione. Dopo l'allontanamento di Aynendola dall'Italia, seguito alla aggressione fascista dei luglio 1925, e la sua morte nell'aprile 1926, il gruppo amendofiano unito intorno al C. continuò a pubblicare il giornale, nonostante i sequestri e le devastazioni della sede, costituendo uno degli ultimi centri dì resistenza al fascismo. Il Mondo fu costretto alla chiusura il 31 ott. 1926, contemporaneamente al suo confratello del mattino, Il Risorgimento, pubblicato a Roma dal 12 marzo 1925 e diretto anch'esso dal Cianca.
Nel gennaio 1927 espatriò a Parigi, dove non aderì a nessuno dei partiti che si andavano riorganizzando, ma s'iscrisse alla Lega italiana diritti dell'uomo (L.I.D.U.) e la rappresentò, con A. De Ambris, nel comitato esecutivo della Concentrazione antifascista, costituita in aprile. Grazie ai finanziamenti della Concentrazione e di Nitti, poi incrementati dall'industriale italo-argentino T. Di Tella, risuscitò, il 1° ag. 1927, e diresse con A. Giannini, il settimanale satirico antifascista, Il Becco giallo, e compilò con Turati, con cui rinsaldò i legami allacciati durante l'Aventino (il C. lo ricorda nel suo, I giorni dell'esilio, nel volume di saggi di vari autori, Omaggio a Turati nel centenario della nascita. 1857-1957, Roma 1957, pp. 2124), il bollettino Italia.
Per il tramite di A. Tarchiani, nell'agosto 1929 incontrò Carlo Rosselli, appena giunto a Parigi, con E. Lussu e F. Nitti, dopo la fuga da Lipari, e convenendo sulla "necessità di porre in primo piano l'azione per e verso l'Italia" (come precisò il C. in Nascita di "Giustizia e libertà", in Mercurio, I[1944], p. 11), aderì al nucleo originario del movimento Giustizia e Libertà. Con Rosselli si legò, in un sodalizio analogo a quello contratto con Amendola: le doti diplomatiche, che attutirono spesso gli attriti all'interno di Giustizia e Libertà (G.L.) e tra questa e la Concentrazione, le capacità oratorie, rivelatesi nell'esilio, nonché "l'assenza di ambizione personale, che gli permetteva di assumere senza protestare parti apparentemente oscure" (Garosci, p. 172) fecero del C. un luogotenente prezioso per Rosselli.
Nella varietà ideologica dei fondatori di G. L. la posizione del C. appariva quella di "un liberale di sinistra, ... aperto alla necessità di riforme, ... convinto della necessità di mantenere la separazione tra Stato e Chiesa e di porre dei freni all'influenza del capitale privato" (Salvadori, p. 56). Stimolato dall'esempio di Rosselli all'attività cospirativa, ebbe parti di rilievo in clamorose vicende dell'antifascismo fuoruscito.
In seguito alla delazione di un agente provocatore, E. Menapace, il 30 dic. 1929 la polizia parigina perquisì la sua abitazione e vi trovò un pacco di cheddite che era stato depositato presso di lui da C. Berneri. Il C. fu arrestato e trascorse cento giorni di detenzione alla Santé, mentre la stampa del regime montava una violenta campagna diffamatoria contro i fuorusciti per accusarli di tramare attentati in Francia, in Belgio e in Svizzera, ma seppe trasformare il processo, celebrato il 4 giugno 1930 a Parigi, in un successo morale per sé e per il gruppo giellista, facendo risaltare l'integrità della figura propria. e dei suoi amici rispetto a quella torbida di Menapace. Benché avesse corso il rischio dell'espulsione dalla Francia, cavandosela con una condanna a sei mesi di carcere con la condizionale, continuò a cospirare: cooperò alla prepa-razione del volo di Bassanesi (11 luglio 1930), al tentativo di far espatriare la vedovaMatteotti (febbr. 1931), alla esplosione di una bomba all'ingresso di S. Pietro (25 giugno 1933). Dell'atto dimostrativo contro la politica vaticana, che appariva favoreggiatrice del regime, furono protagonisti il fratello del C., Renato, e il figlio di questo, Claudio, condannati a pene durissime dal Tribunale Speciale (20 marzo 1934).
Ma l'apporto fondamentale dei C.. alla espansione di G. L. derivò dal suo valore professionale di giornalista "uso a buttar giù i suoi articoli senza una cancellatura, senza un pentimento di pensiero o di stile" (Modigliani, p. 88). Nel marzo del 1930 fece del Becco giallo l'organo semiufficiale di G. L. mentre Rosselli subentrava ai finanziatori precedenti, ma i dissidi tra quest'ultimo e Giannini, proprietario della testata, condussero alla fine del giornale nell'agosto seguente. In forza dell'accordo del novembre 1931, che, sanciva l'ingresso di G. L. nella Concentrazione, il C. divenne condirettore, con C. Treves, della Libertà, l'organo concentrazionista, al quale aveva assiduamente collaborato anche in precedenza. Sciolta la Concentrazione e cessata la Libertà, furedattore, capo del settimanale Giustizia e Libertà, organo ufficiale del movimento omonimo, che cominciò a uscire a Parigi il 18 maggio 1934, finanziato e animato da Rosselli, e lo diresse, firmando quasi sempre gli articoli di fondo, durante il periodo in cui Rosselli combattè. in Spagna (agosto 1936-gennaio 1937) e dopo il suo assassinio (9 giugno 1937), fino alla chiusura seguita allo scoppio della seconda guerra mondiale.
Nella crisi determinata tra le diverse componenti di G. L. dalla scomparsa del suo capo - che secondo il pronto giudizio dei C. "devait être encadré dans le programme de guerre de Mussolini" (L'Ovra, in Conférenceeuropéenne pour la défense du droit, de la liberté et de la paix en Italie. Paris 1937..., s. l. 1938, p. 38) - egli si schierò con A. Garosci, F. Venturi, U. Calosso, a difesa della istanza revisionista, in direzione liberale, dei socialismo rosselliano, in una posizione mediana tra il moderatismo di Tarchiani e le inclinazioni classiste di Lussu; ma, presto, il gruppo dei C. arrivò a un compromesso con il secondo, mentre il primo si allontanava da Giustizia e Libertà.
Il 13 giugno 1940, il giorno prima che le avanguardie tedesche vi entrassero, il C. lasciò. Parigi con gli altri giellisti e si rifugiò a Tolosa.. Imbarcatosi a Marsiglia con Garosci, L. Valiani, N. Chiaromonte ed altri antifascisti, tutti muniti da Lussu di documenti falsi, dopo un viaggio avventuroso, nell'agosto 1941 giunse a New York. Qui fu membro influente della Mazzini Society, l'organizzazione, promossa da Salvemini, che riuniva gli antifascisti democratici esuli negli Stati Uniti, e ne diresse il giornale, Nazioni Unite.
Da Salvemini venne accomunato ai più prestigiosi esponenti dell'associazione, Sforza Tarchiani, M. Ascoli, nell'accusa, dettata più da moralismo che da valutazioni realistiche, di eccessiva arrendevolezza alla politica angloamericana.
La crisi provocata nella Mazzini Society da questo contrasto e dall'altro insorto sulla ammissibilità dei comunisti, proposta da R. Pacciardi e avversata con particolare fermezza proprio dal C., indusse quest'ultimo e Tarchiani a trasferirsi in Gran Bretagna, dove speravano di svolgere unazione più incisiva.
Dall'Inghilterra Tarchiani e il C. seguirono le truppe britanniche ad Algeri, in Sicilia, e a Paestum, dove sbarcarono il 12 sett. 1943, scortati da alcuni ufficiali dello Special Operations Executive, che li condussero a Capri e lì misero in contatto con Croce. Nel regno del Sud il C. si affermò come uno degli uomini di maggior rilievo del Partito d'azione - anche se continuò a dichiararsi appartenente a G. L. fino all'aprile 1944 - grazie all'"immenso fascino personale" (Colapietra, p. 137), che gli conferiva soprattutto la sua calda eloquenza ispirata a una generica "elaborazione populistica" della democrazia amendoliana (ibid.).
Avendo presieduto il congresso dei Comitati di liberazione nazionale, tenuto a Bari il 28 e il 29 genn. 1944 (le cui vicende egli rievocò in Ilcongresso di Bari, in Ilsecondo Risorgimento d'Italia, s. l.1955, pp. 77-80), intervenne, come invitato, alle sedute della Giunta esecutiva dei partiti antifascisti nel Sud, espressa dal congresso, e si mostrò il più intransigente, nella riunione del 15 aprile contro la proposta avanzata da Togliatti di collaborazione con la monarchia e con Badoglio. Però, il giorno successivo, D. Gentili, ottenuta udienza dal re, gli chiedeva per il C., cui era legatissimo, l'incarico di formare il nuovo governo, assicurandogli: "Vostra Maestà e Cianca potrebbero giovare molto alla dinastia" T. Puntoni, Parla Vittorio Emanuele III, Milano 1958, p. 222).
Questa sorprendente iniziativa viene spiegata con il disorientamento di quei giorni da memorialisti di parte azionista (Caracciolo, pp. 149 s.; Lussu, 1968, pp. 92, 242), ma documenti dell'O.S.S. (Organisation of Stràtegic Service), relativi alle vicende di questo periodo, recentemente resi pubblici, sembrano coinvolgere il C., con Gentili, in quell'ambiguo estremismo meridionale fiorito tra la fine del 1943 e l'inizio del 1944 dietro il quale si intravvedono manovre dei servizi segreti britannici (R. Faenza-M. Fini, pp. 21, 39, 44 e passim).
Dopo la liberazione di Roma, fu tra i sette ministri senza portafoglio che costituirono quasi un direttorio politico nel primo governo Bonomi, alla cui crisi, nel novembre 1944, non fu estranea la sua insistente richiesta di rigore nell'epurazione.
Restituito interamente al giornalismo dal mancato ingresso dei Partito d'azione nel secondo governo Bonomi, diresse L'Italia libera, dal gennaio al settembre del 1945, e Il Mondo, che fece rivivere dal novembre 1945 al gennaio 1946. Nominato consultore nazionale e succeduto a Lussu, il 20 febbr. 1946, nella carica di ministro senza portafoglio per la Consulta, iàpirò la sua azione in questa assemblea alla denuncia della "democrazia incompleta, timida, incerta" del prefascismo e alla sollecitazione di un "rinnovamento integrale degli istituti politici, degli ordinamenti sociali, del costume morale" (cfr. Atti della Consulta nazionale, Discussioni, seduta del 29 sett. 1945 p. 84).
Nelle elezioni del 2 giugno 1946 fu tra i nove azionisti che, scampando al crollo elettorale del loro partito, riuscirono a entrare nell'Assemblea costituente, dove egli si batté a difesa della laicità dello Stato e contro le reviviscenze fasciste.
Intanto la dissoluzione del Partito d'azione si concludeva, nell'ottobre 1947, con la confluenza della sua maggioranza nel P.S.I., dopo difficili trattative alle quali il C. partecipò come uno dei più convinti fautori di questa scelta. Ma il fallito conseguimento-di un ruolo primario nel nuovo partito e del mandato parlamentare nelle elezioni del 1948 lo sottrasse alla ribalta politica nazionale ed anche alle posizioni di primo piano nel giornalismo, dove ripiegò sull'incarico di responsabile dell'ufficio romano di Milano sera, quotidiano fiancheggiatore del P.C.I. Eletto senatore nel 1953 e rieletto nel 1958, si occupò prevalentemente, in ambedue le legislatqre, di problemi internazionali, accusando di, oltranzismo atlantico i governi di quegli anni. Una grave malattia gli impedì la attività politica a partire dal 1963.
Il C. morì a Roma l'8 genn. 1966. Nella cortunemorazione tenuta in Senato (cfr. Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, legislatura IV, 19 genn. 1966, pp. 20657-20662), tracciarono di lui un persuasivo profilo A. Alberti e F. Schiavetti.
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