DE SIMONI, Alberto
Nacque a Bormio (ora prov. di Sondrio) il 3 giugno 1740 ultimo dei cinque figli di Giovanni Battista, medico assai stimato, e di Maria Teresa Alberti.
La famiglia De Simoni, originaria della Val Malenco, era tra le più nobili e influenti del contado di Bormio allora soggetto ai Grigioni; nel 1688 era stata aggregata da Leopoldo d'Asburgo alla nobiltà d'Impero; egualmente la famiglia della madre era tra le più antiche della citta.
Dopo una fanciullezza da lui stesso definita "infelice" a causa della grettezza della madre e del pochissimo tempo che poteva dedicargli il padre, il D. iniziò gli studi presso il collegio dei gesuiti in Bormio. Passò quindi a Milano, presso il collegio gesuita di Brera, ove completò gli studi di filosofia e retorica con ottimi risultati. Dopodiché, in ossequio ai desideri paterni, ma anche seguendo le proprie inclinazioni, passò a studiare giurisprudenza, e per questo si trasferì presso l'allora rinomata facoltà giuridica di Innsbruck; dopo due anni passò all'università di Salisburgo, ove completò il ciclo di studi prima di rientrare, nel 1762, a Bormio.
Il padre meditava a questo punto di inviarlo a Milano, nello studio di qualche famoso avvocato, per completare la formazione; ma l'improvvisa morte del genitore, e le conseguenti non floride condizioni economiche di famiglia, lo costrinsero a fermarsi nella città natale. Non interessato all'amministrazione del patrimonio fondiario paterno, che dalla scarsa cura posta anche dagli altri membri della famiglia ebbe a subire non pochi danni, il D. si dedicò allora con impegno allo studio, privilegiando, secondo le tendenze del tempo, i grandi temi del diritto naturale. Nel contempo, per fare fronte a esigenze economiche (sposatosi nel 1764 con Maria Giuseppa Paravicini Bedoglio, ebbe presto una numerosa famiglia da mantenere), ma anche per precisa scelta formativa, affiancò all'occupazione di studioso quella tutta concreta di patrocinatore di cause civili e criminali.
Nel 1763 assunse la difesa di tale Gabriele Mesmer, accusato di furti semplici: la sproporzionata condanna a morte dell'imputato, comminata dai giudici in obbedienza al dettato degli statuti locali, sollecitò il D. ad approfondire lo studio del diritto criminale, con particolare attenzione alle vicende storiche del diritto comune.
L'intensa attività quale giureconsulto lo portò in breve a conquistarsi una fama non solo locale, cosicché il suo parere, in dispute importanti, fu richiesto sia in Valtellina sia in altre zone dell'Italia settentrionale. Dalle cause più importanti esaminate, il D. prese lo spunto per scrivere numerosi trattati, alcuni dei quali furono stampati. Meritano tra gli altri di essere ricordati Del diritto di scacciare da un paese persone, e famiglie che o vi sono nate, o vi hanno da molti anni trasferito il domicilio (Brescia 1769); Consultazione legale nella causa tra la veneranda Confraternita del Suffragio eretta in Tirano, ed il signor canonico d. Antonio Chinali (ibid. 1773); Della divisione di terre ossia vicinanze unite già in una sola Comunità, per istituire un nuovo e distinto Corpo Comunitativo (Como 1777); Delle donazioni tra vivi fatte in frode degli statuti (Lugano 1783).Dalla metà degli anni Sessanta ebbe anche incarichi ufficiali: fu membro del Consiglio comunale di Bormio, spesso con la carica di procuratore, e del Consiglio di sentenza, con funzioni di giudice; quindi passò alla magistratura, nel 1771 con la carica di luogotenente generale dell'ufficio pretorio di Tirano (posizione nella quale ebbe a patire parecchi fastidi) e nel 1773 con quella di luogotenente generale dell'ufficio pretorio di Morbegno. Dopo qualche anno rientrò presso la famiglia, in Bormio, ove continuò a ricoprire cariche municipali.
I continui impegni quale avvocato e giudice non compromisero la parallela attività del D. studioso. Questa fu anzi stimolata dalla sua ambizione personale, che lo spingeva a non arrestarsi alla sola attività di giureconsulto, ma lo sollecitava alla produzione di opere scientifiche, intesa come momento obbligato per uscire dall'isolamento cui lo costringeva la zona periferica di residenza. Dai tempi della sfortunata difesa del Mesmer egli si era particolarmente dedicato all'esame del diritto criminale, e ancor più lo aveva spinto all'argomento la fama internazionale che C. Beccaria aveva potuto raggiungere con l'opera Dei delitti e delle pene: fu così che nel 1776 pubblicò a Lugano Del furto e sua pena, lavoro nel quale, come risulterà ancora più evidente col successivo Dei delitti considerati nel solo affetto ed attentati (Milano 1783), egli riprendeva i temi del Beccaria, assimilando la linea di fondo del discorso di quest'ultimo, ma contrapponendo a essa una serie di obiezioni di non secondaria importanza.
Il D. non era infatti disposto a seguire gli orientamenti più avanzati dell'"illuminismo giuridico", fatti invece propri dal Beccaria, specie dove questi rifiutavano la tradizione del diritto romano e del diritto comune, e venivano a proporre una nuova certezza del diritto in linea con i principîfilosofici professati. Il D., che pure condivideva il rifiuto dei "barbari eccessi" riconoscibili in molti aspetti del diritto comune, si rifaceva invece all'esperienza del proprio concreto operare nelle aule dei tribunali per proporre un recupero, funzionale alle esigenze della legislazione contemporanea, di quegli elementi del diritto romano e del diritto comune che non fossero con essa in contrasto. Inoltre contrapponeva alla certezza del diritto un più possibilista e concreto rimando allo "spirito delle leggi", accompagnato da una conseguente moderata libertà interpretativa lasciata al giudice in base a una generale nozione di "equità". In altre parole il D., pur condividendo le critiche di fondo emerse in quegli anni contro i dettami che governavano l'amministrazione della giustizia, non riusciva a fare proprie proposte innovative che, per inseguire una costruzione politico-ideale, non fossero immediatamente traducibili in strumenti operativi da rimettere ai giudici.
La pubblicazione di Del furto e sua pena, se da alcune parti fu accolta con critiche, tuttavia contribuì a fare conoscere il D. nell'ambiente milanese, e soprattutto fece sì che egli fosse immediatamente apprezzato nei circoli moderati; cosicché, quando sul finire degli anni Settanta si recò per alcuni mesi a Milano, egli fu subito accolto da una personalità quale il plenipotenziario Carlo Firmian ed entrò in amicizia con Gian Rinaldo Carli (del quale condivideva gli interessi su problemi monetari: è del 1775 la pubblicazione a Brescia dello scritto del D. Della ragione di esigere il danaro al corso del tempo del contratto nella redenzione dei censi, nella estinzione de' capitali, e ne' ritratti convenzionali, cui farà seguito anche un Trattato sopra le monete, però mai pubblicato). Gli fu anche offerta una cattedra, peraltro rifiutata per motivi economici, nella università di Pavia.
Rientrò quindi a Bormio, ove seguitò nelle consuete occupazioni di studio e professionali. Coinvolto in una disputa giudiziaria contro i padri barnabiti (che, a seguito della soppressione dei gesuiti, avevano ottenuto nel 1782 la gestione del collegio di Bormio) ed essendosi per questo creato un clima a lui poco favorevole in questa città, preferì, nel 1785, trasferirsi presso Teglio. La ritrovata tranquillità fu però di breve durata, in quanto nel 1788 fu costretto a rifugiarsi a Milano perché inquisito dal governo dei Grigioni, avendo egli sostenuto in una disputa giudiziaria che la Valtellina, statutariamente, non era mai stata separata dal Ducato di Milano: fu necessario l'intervento del governo austriaco di Milano presso le Tre Leghe perché egli potesse rientrare in patria; cosa che fece, ristabilendosi in Bormio.
Fu a questo punto che il D., sfruttando la considerazione che aveva saputo acquistarsi presso il governo milanese (nel 1788 fu anche inviato in delegazione a Milano quale rappresentante delle province della Valtellina e Chiavenna), prese ufficialmente posizione in merito alle delicate questioni che contrapponevano il governo austriaco alle Leghe grigione sull'interpretazione del capitolato del 1639, atto che regolava il regime costituzionale della Valtellina e dei contadi di Bormio e Chiavenna. Con due opere (Ragionamento giuridico politico sulla costituzione della Valtellina e del Contado di Chiavenna e sopra i loro rispettivi diritti fissati e garantiti dal capitolato di Milano, 3 sett. 1639, stampato anonimo con la dicitura in Italia [ma Como] 1788, e Prospetto storico-politico e apologetico del governo della Valtellina e delle sue costituzioni fondamentali, Como 1791) il D. ricostruiva storicamente e giuridicamente l'autonomia della sua terra dai Grigioni. Il governo delle Tre Leghe rispose violentemente, istituendo un apposito tribunale per giudicarlo: il D. dovette così rifugiarsi a Milano, senza per questo rinunciare a difendersi (nel 1793, con la dicitura "in Europa", pubblicò L'innocenza oppressa da un incompetente, ingiusto, e dispotico tribunale stabilito da Grigioni).
Egli restò a Milano finché, nel 1797, la Valtellina venne riunita alla Repubblica Cisalpina. Nel 1799 si trasferì in Ardenno, cittadina di provenienza della moglie, ove ebbe degli incarichi giudiziari. Poi, con la proclamazione nel 1802 della Repubblica Italiana, il D. fece il vero ingresso agli alti livelli della vita pubblica, con la nomina a segretario del gran giudice ministro della Giustizia, Buonaventura Spannocchi. In quello stesso anno, avviato il progetto di codificazione generale per la nuova Repubblica, per il D. ebbe inizio un periodo di grande attività: chiamato nel maggio alla revisione del progetto di codice penale appena preparato, tra giugno e luglio gli fu affidato l'impegno di redigere il progetto di codice civile.
Con questo incarico di altissima responsabilità il D. vedeva riconosciuta e premiata, oltre all'indiscutibile competenza, la propria moderazione politica e di pensiero giuridico; egli era infatti persona in grado di garantire al governo del vicepresidente Melzi una redazione del codice che, senza rompere con la tradizione poggiante sul diritto romano, sapesse introdurre, con misurato compromesso, quegli elementi innovativi mediati dal pensiero giuridico del secondo Settecento, capaci di segnare definitivamente il passaggio dal diritto comune alla codificazione.Negli anni a seguire ricoprì ancora importanti incarichi: il 6 marzo 1803fu nominato membro dell'Istituto nazionale di scienze, lettere ed arti di Bologna, e successivamente fu confermato nel Regio Istituto italiano di Milano (e la Restaurazione lo vedrà ancora membro del Cesareo regio Istituto); con la riorganizzazione giudiziaria del Regno d'Italia fu fatto giudice, e poi presidente, del tribunale d'appello del dipartimento del Lario (Como); dal 1807divenne giudice e consigliere della Suprema Corte di cassazione. Il 23genn. 1811, ormai vecchio e quasi sordo, fu messo a riposo, ma col privilegio di conservare titolo e rango di giudice di Cassazione. Si ritirò allora nella casa di Ardenno (prov. Sondrio), ove si spense il 30genn. 1822.
Negli ultimi anni non aveva rinunciato allo studio, e a conferma di ciò furono pubblicate ancora due sue opere di rilievo: Del diritto pubblico di convenienza politica (Como 1807), dedicato al viceré Eugenio di Beauharnais, e il Saggio critico storico e filosofico sul diritto di natura e delle genti (Milano 1822), stampato qualche mese dopo la morte dell'autore.
Opere: presso la Biblioteca civica Pio Rajna di Sondrio è conservato il manoscritto delle Memorie intorno la propria vita e scritti compilate a istruzione e avvertimento dei suoi figlie discendenti da Alberto De Simoni (ms. Valtellina 682), scritte probabilmente tra 1794 e 1796, il cui racconto si interrompe nel 1795. Si conservano i vari documenti lasciati dal D. in merito ai progetti di codificazione; P. Peruzzi (Progetto e vicende di un codice civile della Repubblica Italiana (1802-1805), Milano 1971) ha pubblicato il Discorso preliminare del codice civile per la Repubblica Italiana e la prima e seconda redazione del Progetto di codice civile (della prima redazione una copia ms. per mano del D. è conservato nella Bibl. civ. Pio Rajna di Sondrio, segn. D. V. 15); il Parere del D. sul progetto di codice penale è in Arch. di Stato di Milano, Giustizia punitiva, p.m., b.9, f. 2; Osservazioni e Ragionamenti in merito alle questioni del codice civile sono in Arch. di Stato di Sondrio, Fondo Mss. della Biblioteca, Atti sciolti, c. D. 1. 3. 31; Ibid., c. D. 1. 2. 27; Ibid., cc. D. 1. 2. 45, 46, 47 vi sono alcuni fascicoli per mano del Lavizzari di un Trattato sopra le monete che potrebbe essere quello mai dato alle stampe dal De Simoni. Tra le opere a stampa, oltre a quelle citate nel testo, si ricordano: Ragionamento giuridico in difesa del nobile sig. don Giovanni Enrico de Stoppani, Poschiavo 1786, Dei caratteri distintivi del Codice Napoleone (traduzione dal francese), Milano 1811; Ragionamento in difesa di un inquisito di omicidio, ibid. 1834.
Nelle Memorie intorno la propria vita, il D. parla di un suo lavoro giovanile, relativo al 1765 e poi ripudiato, nel quale prendeva le parti di un decreto emanato dal governo dei Grigioni, che sarebbe stato più tardi pubblicato negli stessi Grigioni: opera che non ho però rinvenuto.
Fonti e Bibl.: Nell'Arch. di Stato di Sondrio, Fondo Mss. della Biblioteca, Atti sciolti, è ora conservato quasi tutto il materiale del D. precedentemente presso la Biblioteca civica Pio Rajna. Il fondo viene attualmente inventariato e ordinato in cartelle numerate progressivamente (pur conservandosi anche l'antica segnatura della Biblioteca): le cc. dalla 1 alla 9 conservano materiale attinente al D. (carteggi, dispacci, documenti, nomine, carte professionali, consultazioni giuridiche ecc.). La parte per la quale i lavori di inventariazione non sono ancora conclusi (per la quale resta valida la sola segnatura della Biblioteca) contiene materiale attinente al D. nelle seguenti cc.: D. 1. 2. 12 (pareri giuridici); D. 1. 2. 27, 45, 46, 47 (cit.); D. 1. 3. 18 (trattato); D. 1. 3. 21 (Prospetto storico, cit.); D: 1.3.27 (consulti giovanili); D. 1.3.31 (cit.). Arch. di Stato di Milano, Vicepresidenza Melzi, b. 9, ff. 14 s.; Giustizia civile, p.m., bb. 10, 14, 15; Giustizia punitiva, p.m.b. 8; Autografi, b. 155; Studi, p.m. b.242. Tre significative lettere del D. a C. Beccaria sono nella Biblioteca Ambrosiana di Milano, Raccolta Beccaria, b.231; Della vita di A. D. giureconsulto, in Gazzetta di Milano, 1822, n.77; Notizie biogr. sopra A. D., prefaz. anonima in A. De Simoni, Saggio stor. critico e filosofico, cit.; G. Carmignani, Teoria delle leggi della sicurezza sociale, Pisa 1831, II, p. 386; G. Romegialli, Storia della Valtellina e delle contee di Bormio e Chiavenna, Sondrio 1834, IV, p. 183; C. Cantù, in E. De Tipaldo, Biografia degli Italiani illustri, Venezia 1834, I, pp. 258 ss.; F. Turotti, La mente di A. D. giureconsulto, Milano 1854; G. D. Romagnosi, recensione di Dei delitti considerati nel solo affetto ed attentati del D. riprod. in appendice a Id., Genesi del diritto penale ... arricchita coi suoi scritti in materia criminale …, Milano 1857; F. Cavalli, La scienza politica in Italia, Venezia 1865, IV, pp. 159-63; La vita di A. D. scritta da lui medesimo, in La Valtellina, 8 febbr. 1868; Elenco delle opere …, ibid., 13 marzo 1868; L. Gondola, Albo storico-biografico degli uomini illustri valtellinesi …, Sondrio 1879, p. 30 ss.; C. Cantù, Storia della città e diocesi di Como, Como 1900, XI, p. 405; T. Urongio Tazzoli, La contea di Bormio, IV, La storia, Bergamo 1934, pp. 229 ss.; A. Schena, A. D. 1740-1822. Vita, opere, pensi ero giuridico, tesi di laurea, Milano, Università cattolica del Sacro Cuore, a.a. 1939-40; M. Roberti, Milano capitale napoleonica. La formaz. di uno Stato moderno 1796-1814, Milano 1947, II, pp. 23-27, 74 s.; P. Pedrotti, Le vicende della prima Repubblica italiana nei giudizi di un diplomatico austriaco, Milano 1953, p. 37; S. Rota Ghibaudi, La fortuna di Rousseau in Italia, Torino 1961, pp. 134-37; P. Peruzzi, Progetto e vicende di un Codice civile, cit., passim, e in particolare pp. 53-139; C. von Wurzbach, Biographisches Lexicon, III, ad vocem.