DONINI, Alberto
Nato a Roma il 31 ott. 1887 da Giovanni e Marianna Facci, si trasferì fin dalla giovinezza a Bologna, dove frequentò il corso di giurisprudenza laureandosi nel 1904. La sua attività si esplicò parallelamente in due direzioni, come autore drammatico e come organizzatore sindacale.
Come autore drammatico esordì con un atto unico, Al mulino, premiato nel 1904 al concorso nazionale e che avrà nell'anno dopo ripetute rappresentazioni in Italia e all'estero ad opera di diverse compagnie (A. Chiantoni, Berti-Varinì, Alfredo e Bella Sainati). Nello stesso anno veniva rappresentata l'opera comica Re Enzo, per la musica di O. Respighi. Seguirono, nel 1908, La doppia vita, intre atti, portata al successo dalla compagnia di Teresa Mariani; nel 1909 Lo scemo, per il Grand Guignol, e nel 1911 Il contratto di nozze. Nel 1923 la compagnia A. Betrone rappresentò a Milano L'attesa dell'alba. Nel 1930 scrisse in collaborazione con G. Zorzi IlPassatore (comp. Donadio). Nel 1935, all'Eliseo di Roma, si rappresentarono due lavori in tre atti: Ilcapolavoro di Grunsk e L'orologio a cucù e, nel 1941, a Trieste al teatro Verdi Ilmandriano di Longwood (compagnia di G. Donadio). Nel periodo 1933-40 collaborò con Zorzi alla stesura del libretto dell'opera Ave Maria, per la musica di S. Allegra, e per lo stesso compositore del Medico per forza, sumotivi comici di Molière. Seguirono nel 1952 per la compagnia Picasso Malia del Tropico e nel 1953 il suo dramma giallo L'onore di lord Kelly. Di tale incessante attività gli venne fatto riconoscimento quando, nel 1956, la presidenza del Consiglio lo premiò per le sue opere.
La sua esperienza di organizzatore sindacale maturò nel primo decennio del secolo nell'ambiente agrario padano. Da qui prese infatti le mosse il tentativo di unificazione del fronte padronale, con la costituzione delle prime associazioni agrarie, nate dall'esigenza, da un lato di contrapporsi all'estendersi del movimento contadino, dall'altro di influenzare più direttamente le scelte del governo, contrastando la linea del riformismo giolittiano, fondata sull'accettazione delle organizzazioni politiche e sindacali dei lavoratori e che relegava il settore agricolo e le sue classi dominanti in posizione secondaria.
Il D., che non era legato al mondo agricolo da interessi economici - non risulta infatti fosse né proprietario né affittuario di terre -, svolse all'interno dell'associazionismo sindacale un ruolo che si potrebbe definirg di "intellettuale organico" al ceto padronale, un organizzatore capace di interpretare in un programma coerente le esigenze e le rivendicazioni degli agrari. Di fronte all'esplodere delle grandi lotte contadine dell'inizio del secolo, a partire dalle zone investite da un processo di bracciantizzazione agricola, testimonianza della capacità raggiunta dalle classi lavoratrici di organizzare gli stimoli rivendicativi, il D. vide lucidamente la crisi della capacità di mediazione del singolo agricoltore. Egli riconobbe l'importanza per gli agrari della solidarietà e di un rapporto più stretto tra dimensione politica, economica e sindacale.
Direttore dell'Associazione agraria di Carpi fino al 1910, indirizzò la sua azione per vincere la diffidenza nei confronti dell'associazionismo padronale di coloro che, affermava, "rifiutano di riconoscere l'importanza e la necessità civile dell'organizzazione nella nostra vita odierna", perché "ora non ci si batte più fra individui ma masse contro masse". Di fronte al "progressivo indebolimento e sgretolamento della proprietà" ad opera delle leghe egli delineava una strategia di resistenza: "una vera opera di pacificazione si compie infatti opponendo all'organizzazione proletaria un'organizzazione altrettanto forte ..." (Corrispondenze per gli ingenui e gli illusi, in Boll. federale agrario, 1º luglio 1910).
Nel 1911 il D. divenne segretario dell'Associazione agraria bolognese. Questa all'inizio del suo sviluppo organizzativo (1904) era orientata verso quella che potremmo definire una linea "moderata". Tale linea - che trova ampio riscontro tra i proprietari - richiamandosi all'ideologia liberista si proponeva di ristabilire la libera regolamentazione del mercato del lavoro. Allo Stato si chiedeva pertanto di non ostacolare tale meccanismo, limitando la politica di intervento. Nei confronti delle masse contadine l'intento era quello di contrapporre ai braccianti organizzati gli strati intermedi, in particolare i mezzadri, nella speranza di un ritorno a rapporti "pacifici" tra le classi, sotto l'egemonia dei proprietari. Fallito il tentativo di isolamento del proletariato rurale e di fronte al permanere delle agitazioni, emergeva all'interno dell'Associazione una linea "intransigente", sostenuta principalmente dagli affittuari capitalisti, artefici delle trasformazioni in senso moderno dei rapporti di produzione. Essa guidò l'Associazione verso atteggiamenti di dura resistenza durante gli scioperi del 1908, col ricorso sistematico al crumiraggio e a squadre di volontari organizzate. D'altro canto, nei confronti della politica governativa, si poneva in una posizione di critica radicale, richiedendo una totale riconsiderazione dei problemi dell'agricoltura, la repressione violenta della conflittualità nelle campagne, la regolamentazione giuridica delle relazioni sindacali e un'inversione di tendenza nei confronti della politica "industrialista" dei decenni precedenti.
La presenza di due diverse componenti si manifestò anche all'interno dell'Interprovinciale (sorta nel 1907 al primo convegno agrario di Parma) e della Confederazione generale agraria (secondo convegno agrario di Bologna, 28-29 nov. 1909). Nel 1911, anno in cui la personalità del D. si impose all'interno della Associazione agraria bolognese, il dissidio esplose apertamente al terzo congresso agrario (Bologna, 23.25 apr. 1911). Alla tesi moderata di "collaborazione di classe" e di contenimento della conflittualità, sostenuta da F. Cavazza, si oppose L. Carrara, leader dell'agraria parmense. Egli, accusando apertamente Giolitti e i moderati per la perdita di autorità, invitava gli agricoltori alla difesa della classe e degli interessi di settore, giungendo a proporre la costituzione di un partito agrario. Il D. appare, in questo contesto, allineato sostanzialmente con la posizione del Carrara, e Po.d.g. approvato al congresso rappresenta una vittoria di tale linea "oltranzista".
Dietro la guida del D. e di R. Stagni, altro esponente di punta, l'associazione bolognese abbandonò le pretese di collaborazione, adottando una politica di diretto confronto con le organizzazioni dei lavoro. A partire dal 1911 e sistematicamente nel 1912 ogni battaglia condotta contro i lavoratori e la Federterra assunse i caratteri di un'opposizione di principio al riconoscimento delle leghe e al diritto di contrattazione collettiva, per ristabilire le prerogative degli imprenditori e il controllo del mercato del lavoro. Le tensioni coinvolsero anche le autorità locali, accusate di comportamenti incerti di fronte all'azione delle leghe, conseguenza di una politica governativa opportunista e vuota di consistenza ideologica.
Il D., dotato di una non comune capacità oratoria, era sempre presente sul luogo dove la lotta si accendeva più violenta, a rappresentare gli agricoltori presso le autorità e a organizzare comizi (nel Bolognese, Ferrarese, Cremonese). Nel 1914, durante la vertenza di Molinella, punto centrale di queste vicende per la realizzazione dell'alleanza braccianti-mezzadri, che doveva ridurre notevolmente le capacità di movimento del padronato, il 5 ottobre il D. venne gravemente ferito nei violenti scontri tra la popolazione e le squadre degli agrari a Guarda.
In seguito, durante tutto il periodo bellico, il D. si impegnò in una campagna. pubblicistica per un'immediata attuazione da parte del governo del decreto di mobilitazione agraria e per rafforzare l'organizzazione degli agricoltori. Nel dicembre 1916 l'Associazione agraria bolognese presentò al ministro G. Raineri un progetto di mobilitazione perché, come affermava il D., "tutti i mezzi - uomini e cose - che costituiscono la ricchezza nazionale dovevano essere considerati come rinchiusi in un unico, intangibile serbatoio, e ... un unico principio di disciplina e di giustizia doveva presiedere alla loro distribuzione, agli effetti della massima economia nel consumo e della più intensa valorizzazione della energia per la produzione ..." (LaLibertà economica, 10 febbr. 1918).
L'idea espressa dal D. era che la guerra aveva finalmente obbligato lo Stato a mutare politica nei confronti del settore agricolo, poiché "ha dimostrato quale imponente ragione di forza sia la produzione agricola e come in essa soprattutto riposi la ragione prima dell'indipendenza e autonomia di una nazione" (Il Congresso della Società degli agricoltori italiani, in Agraria, gennaio-aprile 1917).
Allo Stato si richiedeva una salda disciplina della manodopera, la fissazione delle tariffe, l'impiego dei prigionieri di guerra e della milizia territoriale, con lo scopo di calmierare i salari considerati proibitivi. Molti dei provvedimenti presi per la guerra potevano poi sopravvivere "per essere perfezionati e adattati alle immancabili e formidabili necessità future" (Gli agrari, in Agraria, luglio 1917), come embrione di nuove istituzioni e base di una solida politica agraria. Tale programma futuro non poteva prescindere, secondo il D., da alcuni punti fondamentali. La difesa dell'istituto mezzadrile, "cellula generatrice del nuovo assetto... . Il progresso si può ottenere difendendo la mezzadria e ogni altra forma di controllo che, cointeressando il lavoratore alla produzione, gli dia tranquillità di esistenza e possibilità di risparmio". "Lo stesso progresso della mezzadria, della piccola affittanza e della piccola proprietà non sarebbe possibile se le organizzazioni operaie non fossero ricondotte entro i limiti della legalità"; egli invocava quindi "una nuova legislazione che stabilisca una salda disciplina del contratto di lavoro, sia in materia economica, sia in materia giuridica di diritti e doveri delle parti in causa". Indispensabili risultano inoltre lo sviluppo del credito agricolo e l'"industrializzazione dell'agricoltura". Di questi rinnovamenti la borghesia produttrice doveva farsi interprete in prima persona: essa "deve giustificare la sua ragione d'essere come classe intellettualmente e materialmente superiore ... dando della sua superiorità la prova tangibile con tutte quelle iniziative che additano e facilitano agli umili la via dell'ascesa sociale" (Il Resto del carlino, 27 luglio 1917).Un così vasto programma, che spostava l'attenzione delle Agrarie dalla resistenza di classe a questioni di interesse generale, richiedeva l'"unificazione delle energie agricole" in una organizzazione che svolgesse funzioni di rappresentanza e di collegamento per tutti gli agricoltori, e che intervenisse presso il governo in difesa degli interessi agricoli. Il D. si impegnò per la creazione di tale organismo, il Segretariato agricolo nazionale (SAN), e dalla data della sua costituzione (12 marzo 1919) ne dirigerà l'ufficio politico- sociale.
Nella imminenza delle elezioni politiche era intanto ripresa la discussione sull'opportunità della costituzione di un partito agrario. Il D., consapevole del fatto che i nuovi tempi esigevano nuovi sistemi, e che lo stesso partito liberale, "che ha vissuto fino ad ora di eredità e di formule sorpassate..., deve adattarsi ai nuovi tempi e rinvigorire il suo vuoto scheletro di sostanza sociale ed economica", era favorevole alla linea che venne sintetizzata nella formula di "agrarizzare i candidati" (Agraria, luglio 1917).
Nella relazione programma che egli presentò a nome del SAN al convegno agrario nazionale (Roma, 14 sett. 1919) sosteneva che non era ancora possibile presentarsi agli elettori con propri candidati "per la principale ragione che la coscienza politica degli agricoltori ... non è ancora giunta al grado di evoluzione desiderato"; essi hanno tuttavia il diritto di chiedere la tutela della "proprietà come elemento di progresso" (Il Giornale d'Italia agricolo, 5 ott. 1919).
La costituzione di un gruppo agrario alla Camera fu l'esito di questo processo di autonoma identificazione degli agrari, sia pure ancora all'interno del quadro liberale. Di fronte alla sconfitta elettorale del blocco moderato che assisté impotente all'ascesa dei partiti popolari, alla delusione per il governo Nitti, aperto al riformismo socialista e decisamente propenso al protezionismo industriale, e alla violentissima ripresa delle agitazioni agrarie nel 1920, l'ipotesi del partito agrario riacquistò vigore.
Quando si costituì la Confederazione nazionale dell'agricoltura (22 apr. 1920) il D., che ne fu nominato direttore, appoggiò apertamente la costituzione del partito.
Solo due mezzi, sosteneva, "possono portare a benefici risultati: l'organizzazione nazionale e l'azione politica... Lo stesso governo non è che la risultante delle forze organizzate e se gli agricoltori rinunciano a farsi politicamente valere, non possono sperare che loro legittime aspirazioni siano tenute nel dovuto conto ..." (Il Giornale agrario, 22 apr. 1920).
L'o.d.g. approvato in quell'occasione, sottolineando ancora una volta l'importanza di un'azione sindacale centralizzata, e che quindi nei conflitti agrari la Confederazione nazionale determinasse le direttive generali, ispirate al concetto di difesa della funzione sociale della proprietà e degli interessi della produzione, stabiliva di promuovere la costituzione di un Partito agrario nazionale. Ma, se per alcuni il rifiuto del liberalismo convergeva con l'ipotesi della creazione del Partito agrario, l'offensiva dello squadrismo e i successi che ottenne contro le leghe portavano la parte più aggressiva del padronato rurale ad aderire al fascismo.
A Bologna, dopo i fatti di palazzo d'Accursio, la linea favorevole alla reazione squadrista avanzò all'interno dell'Associazione agraria. Nell'estate del 1921 la saldatura tra Agraria e fascismo poteva dirsi compiuta. Veniva costituita un'organizzazione alternativa: la Federazione provinciale dei sindacati fascisti degli agricoltori. Il D. si oppose alla nuova federazione, manifestando il timore che essa avrebbe annullato in un'organizzazione interclassista la rappresentanza sindacale degli agricoltori e accusandola di metodi illiberali. Le organizzazioni agrarie, "che in tutti i Congressi hanno sempre proclamato la libertà di organizzazione e di lavoro, non possono rendersi corresponsabili di attentati contro tali intangibili libertà" (Il Giornale agrario, 9 apr. 1922).
La Confederazione nazionale sopravvisse fino al 1924, ma, già alla vigilia della marcia su Roma, le possibilità di un'azione sindacale al di fuori del fascismo erano state liquidate. Il 20 febbr. 1924 si fuse con la Federazione italiana sindacati agricoltori fascisti (FISAF) e nel '26 ebbe origine la Confederazione fascista degli agricoltori. Nel '24, non condividendo i principi che ispiravano la nuova organizzazione, il D. si dimise dalla carica di direttore. Durante il periodo 1924-1944 fu segretario dell'organo internazionale di collegamento degli agricoltori.
Nel corso della sua vita egli si dedicò anche all'assistenza sociale, dapprima con le Colonie dei giovani lavoratori e, dal 1948, collaborando all'intemo dell'Ente nazionale di assistenza per gli orfani dei lavoratori. Dal 1952 fu inoltre presidente della Cassa nazionale di assistenza e previdenza degli autori drammatici. Morì a Roma il 24 nov. 1961.
Tra i suoi interventi in tema di politica agraria si segnalano: Ciòche emerge dai fatti di Minerbio, Bologna 1913; in coll. con F. Cavazza, Produzione agricola e manodopera, Bologna 1918. Inoltre si ricordano i suoi articoli: Conferenza agraria, in Boll. feder. agrario, 15 nov.-1º dic. 1910; L'Associazione agraria bolognese nell'anno 1916-17, in La Libertà economica, 10 marzo 1918; Il Congresso nazionale agrario, ibid., 30 apr. 1918; Questioni agricole d'attualità. La manodopera, ibid., 23 nov. 1918; La forza è nell'unione, in Il Giornale d'Italia agricolo, 4 maggio 1919; In cammino!, in Boll. dell'Associazione agraria parmense, 19 marzo 1921; Iltestamento morale di A. D., in Mondo agricolo, dic. 1961. Numerosi i suoi interventi in occasione di congressi agrari. Si ricordano tra gli altri quello sulla relazione Patrizi, La manodopera e la nuova politica agraria nazionale, al Congresso della Società degli agricoltori italiani (Roma 21 marzo 1917); la relazione sulle direttive confederali al congresso agrario nazionale, in IlGiornale agrario, 10 luglio 1921; il discorso al terzo convegno di propaganda per la costituzione del Partito agrario nazionale, ibid., 19 nov. 1921; Confederazione nazionale dell'agricoltura, Relazione confederale (luglio 1921-marzo 1922) esposta all'assemblea dei delegati del 23 marzo 1922, Roma 1922.
Fonti e Bibl.: Utili notizie biografiche possono essere desunte dai suoi scritti politici. Sull'attività sindacale del D. cfr. Arch. di Stato di Bologna, C. 6, F. 2: Lettere del prefetto al ministro dell'Interno, 21 e 22 giugno 1912, 9 ott. 1914. Si vedano anche gli articoli in: La Libertà economica, 15 febbr. 1919; Il Giornale agrario, 22 apr. 1920, 19 ag. 1922; Il Resto del carlino, 18febbr. 1921; Portabandiera degli agricoltori. A. D., in Giornale di agricoltura, 3 dic. 1961. Alcune informazioni si possono inoltre trovare in: Enc. agr. ital., Roma 1954, sub voce Confederazione; F. Socrate, L'organizzazione padronale agraria nel periodo giolittiano, in Quaderni stor., XII (1977), pp.661-682 passim; A. L. Cardoza, Agrarian élites and Italian Fascism. The province of Bologna, 1901-1926, Princeton 1982, passim; P. P. D'Attorre, Gli agrari bolognesi dal liberalismo al fascismo, in Bologna 1920. Le origini del fascismo, Bologna 1982; Id., Non di solo pane. Gli agrari bolognesi e la battaglia del grano, in Le campagne emiliane in periodo fascista. Materiali e ricerche sulla battaglia del grano, Annale dell'Ist. regionale per la storia della resistenza e della guerra di liberazione in Emilia Romagna, II (1981-1982), pp. 203-242 passim; Id., Conservatorismo agrario e fascismo. Gli anni '20 in Val padana, in Italia contemporanea, 1983, n. 151-52, pp. 41-64 passim; D. Donati, Aspetti della organizzazzone agraria bolognese tra guerra e dopoguerra (1913-1919), in Studi storici, XIV (1983), pp. 404-420 passim. Come autore di teatro cfr. Enc. d. spett., IV, coll. 856 s.