FIESCHI, Alberto
Figlio forse primogenito di Tedisio fratello del papa Innocenzo IV, e di Simona, con ogni probabilità della casata dei Camilla, nacque verso il 1210 dalla illustre famiglia ligure dei conti di Lavagna. Appare per la prima volta in un documento del 1232, ove viene citato come teste ad un atto di vendita di terre (Foliatium notariorum, I, c. 221v). Tuttavia non si hanno altre notizie su di lui fino all'estate del 1244, quando, insieme con il fratello Ugo ed i cugini Giacomo di Opizzo Fieschi e Macia (Matteo) di Alberto Fieschi, partecipò alla spedizione navale che portò in salvo a Genova il papa Innocenzo IV, fuggito con pochi da Sutri, ove era assediato da Federico II.
Tra i figli di Tedisio, il F. fu l'uomo d'azione, impegnato a fondo nelle scelte politiche compiute dalla famiglia e nello sforzo di sostenere i progetti temporali di Innocenzo IV.
Secondo alcuni studiosi, nel 1247 sarebbe stato podestà di Arles, capitale dell'omonimo Regno, che apparteneva a Federico II, al quale però negava obbedienza. Tuttavia, nel documento da essi addotto per suffragare tale affermazione si fa riferimento ad un "Albertus de Lavania", giudice di Arles nel 1243 e difficilmente identificabile col F. (cfr. Chartarum, II, in Monumenta historiae patriae, Augustae Taurinoruni 1853, doc. MDCCCLXX).
Sempre nel 1247. secondo gli Annali genovesi, il F. assalì col fratello Niccolò il castello di Pessina, nella Riviera di Levante, dove si erano rifugiati alcuni membri della famiglia Luxardo che avevano ucciso per motivi di faida un Gerardino da Carpena, consorte del Fieschi. Alberto e Niccolò conquistarono con le loro genti d'arme il castello e massacrarono i suoi occupanti.
Nello stesso anno contribuì ad assoldare 300 balestrieri, che furono inviati in soccorso di Parma, ribellatasi all'imperatore. Nel 1248 concesse alcune terre in feudo ad un piccolo signore rivierasco, Tignoso da Lagneto (22 febbraio); assunse il patrocinio degli uomini di Bargagli, in lite col Comune genovese (25 febbraio); si offrì come mallevadore per due mercanti, che stavano facendo costruire una nave (16 aprile). Nel 1249 ottenne il titolo di conte palatino da Guglielmo d'Olanda, eletto re dei Romani grazie all'appoggio di Innocenzo IV (diploma del 4 settembre).
Morto Federico II e tramontato il pericolo ghibellino, il F. si vide restituire dal papa le forti somme versate da lui e dalla famiglia per sostenere la causa guelfa: l'operazione finanziaria fu affidata alla Gran Tavola del Bonsignori di Siena. La disponibilità di capitale liquido spinse il F., sia pure per un breve lasso di tempo, a intervenire sul mercato genovese. Il 19 dic. 1250 fu a fianco di Pietro Doria e di Guido Spinola in una operazione di cambio monetario con la Tavola del Bonsignori; il 13 marzo 1251 finanziò Guglielmo Doria, diretto a Ceuta, con denaro suo e della moglie Argentina. In precedenza si era accordato con Corrado Malaspina circa lo sfruttamento dei pascoli posti in Val d'Aveto ed in Valle Trebbia (22 marzo 1250) ed aveva potuto restituire le somme prese a prestito da un mercante di Parma (28 sett. 1250).
In questo periodo il F., che risiedeva nel palazzo di Manuele Doria, uno dei capi della fazione ghibellina, andò consolidando la sua presenza nella città sia con l'acquisto di immobili presso il palazzo dell'arcivescovo, sia con l'impegno nella vita pubblica.
Consiliator del Comune genovese nel 1251, ratificò in tal veste, il 18 febbraio di quell'anno, la pace con Albenga e, il 19 febbraio, quella con Savona. Nel maggio accolse Innocenzo IV, giunto a Genova per un breve soggiorno. Nel 1252, con bolla in data 26 aprile, il pontefice fondò la chiesa gentilizia di S. Salvatore di Lavagna, cui furono collegate le altre istituzioni assistenziali e religiose create dai Fieschi; alla chiesa il papa concesse l'esenzione dalla giurisdizione arcivescovile ed attribuì il diritto di patronato ai membri laici della famiglia.
Morto Corrado IV a Lavello il 21 maggio 1254 e fallite le trattative con Manfredi, Innocenzo IV volle il F. vicino a se quando decise di intervenire militarmente nel Regno di Sicilia: lo nominò infatti capitano generale degli eserciti della Chiesa. Il pontefice fu affiancato, in quell'impresa, anche da un cugino del F., Guglielmo Fieschi, diacono cardinale del titolo di S. Eustachio, che il papa nominò legato apostolico.
L'azione ebbe, in un primo tempo, successo. Le truppe del F. e del legato giunsero a controllare il maggior numero delle città pugliesi. Lo stesso Manfredi si piegò a trattare con Innocenzo IV. Tuttavia l'uccisione di Borrello d'Anglona in uno scontro armato, l'improvvisa partenza da Teano di Manfredi ed il suo arrivo, il 2 novembre, a Lucera, dove si trovavano i Saraceni, già fedelissimi di Federico II, ed il tesoro regio, ridestarono le speranze dei fautori della causa sveva, facendo riardere la guerra. Il F. ed il cardinale Guglielmo, puntando coi loro uomini su Troia, avevano tentato di tagliare la strada a Manfredi, ma questi li aveva prevenuti. Era uno scacco, senza dubbio, ma riparabile. Ciò che determinò, invece, il fallimento della campagna fu il rovescio inflitto da Manfredi, presso Foggia, ai Tedeschi che, agli ordini di Ottone di Hohenburg, non avevano voluto unirsi a lui. Gli scampati alla battaglia portarono all'esercito della Chiesa, insieme con quella della disfatta, la notizia che Manfredi, padrone di Lucera e del tesoro regio, aveva con sé i Saraceni della Puglia. Costituita da mercenari in arretrato con gli stipendi (per pagarli il cardinale aveva fatto assegnamento sul tesoro custodito a Lucera), l'armata del F. si dissolse. Lo stesso F. ed il legato furono costretti a ritirarsi, ripiegando con pochi su Ariano. Innocenzo IV morì poco dopo il disastro, a Napoli, il 7 dic. 1254.
L'insuccesso dovette influire negativamente sull'immagine del F., che per alcuni anni sembra tagliato fuori dalle iniziative politiche della sua famiglia e dalla vita pubblica: le fonti note ricordano infatti, per questo periodo, solo la sua attività finanziaria.
Il successo del partito angioino in Italia non fu, in un primo tempo, visto con simpatia dal F. se, come afferma il Ferretto, ancora agli inizi del 1264 egli, insieme con Hugues de Baux, avrebbe sobillato Marsiglia alla rivolta contro Carlo d'Angiò confidando nell'aiuto aragonese. Non conosciamo i motivi di questa scelta, che, tuttavia, fu frustrata sul nascere. L'anno seguente il F. comprò dai signori di Passano il castello di Groppoli, in Lunigiana; in quella regione, attraverso i figli Manuele ed Egidio, egli controllava anche Arcola. La famiglia fu, così, più a fondo coinvolta nella lotta per il controllo della zona appenninica, di fondamentale importanza strategica per le comunicazioni tra Nord e Sud della penisola. I castelli posseduti dal F., spesso in zone inaccessibili, ma a ridosso dei borghi costieri che Genova proteggeva nella Riviera orientale, costituirono per il Comune una costante minaccia, non concretizzatasi ancora per la temporanea convergenza di interessi esistente tra Genova, il F. e la famiglia di questo. Successivamente il F. si allineò con il card. Ottobono, un altro dei suoi fratelli. nella scelta di campo in favore di Carlo d'Angiò, che il 6 marzo 1268 gli confermò il feudo di Pontremoli. L'effettivo controllo, che egli poté esercitare su questa importantissima città, fu tuttavia precario. Sempre nel 1268 un figlio del F. uccise Giovanni Luxardo, appartenente ad una consorteria da tempo in feroce lotta coi Fieschi.
L'anno seguente Oberto Pelavicino, alleato di Carlo d'Angiò, con testamento in data 23 aprile affidò i suoi figli alla protezione del F. e di altri membri della famiglia di questo. L'alleanza del F. con gli Angioini divenne col tempo sempre più stretta e coinvolse l'intera sua casata. Questo legame sempre più intenso con Carlo fu senza dubbio uno dei motivi che spinsero il populus genovese guidato dai Doria e dagli Spinola a compiere la rivolta che avrebbe, più tardi, rovesciato il regime podestarile e con il quale si volle impedire ai Fieschi ed ai Grimaldi - che con la riforma statutaria del 1264 si erano garantita la metà delle cariche pubbliche e il controllo politico del Comune - di spingere Genova verso una soffocante alleanza con l'Angioino. Nel 1270, insieme con altri membri della famiglia, il F. organizzò un piccolo esercito di 150 milites rinforzato da contingenti piacentini, per invadere la Val di Taro, ma non poté raggiungere l'obiettivo. Il suo campo infatti fu improvvisamente attaccato dagli extrinseci di Piacenza, alleati coi Luxardo, e conquistato. Il F. fu catturato e imprigionato. Anche approfittando di questi avvenimenti, a Genova prese il potere in seguito alla rivolta del 28 ottobre la diarchia Doria-Spinola che si espresse nel governo dei capitani del Popolo e obbligò i guelfi ad abbandonare la città: il palazzo del F. fu occupato proprio da uno dei capitani del Popolo, Oberto Spinola. Non sappiamo quando il F. sia stato liberato (forse nell'ottobre), né se egli sia stato espulso da Genova dopo l'avvento del nuovo regime. Toccò a lui, ad ogni modo, diventare il braccio armato della fazione sconfitta che, coagulatasi intorno al card. Ottobono, si adoperò per raggiungere uno stretto legame con Carlo d'Angiò, dal quale essa sperava di ottenere l'appoggio necessario per riprendere il controllo di Genova. Nel 1272, durante il soggiorno di Carlo a Roma, il F. partecipò in prima persona alle trattative per arrivare ad una lega col re: secondo gli Annali genovesi, anzi, egli e Pietro Grimaldi avrebbero firmato un formale trattato di alleanza, nel quale si prometteva al re la signoria di Genova per un certo periodo di tempo in cambio del suo aiuto per rovesciare il regime dei capitani del Popolo.
Nell'agosto dello stesso anno i guelfi iniziarono le ostilità. Il F., insieme col figlio Manuele, organizzò dai suoi castelli appenninici della Riviera orientale una serie di incursioni, soprattutto contro il borgo di Sestri Levante. Oberto Doria, l'altro capitano del Popolo, reagì con decisione agli attacchi del F., investendo nel settembre Castelnuovo, che strinse d'assedio sino a quando i difensori non lo diedero alle fiamme e si ritirarono. Successivamente anche i castelli di Groppo e di Caranza preferirono arrendersi al Doria, per cui la resistenza proseguì nell'unico centro rimasto al F., Godano. La ribellione costò al F. l'esilio e la confisca dei beni.
Allora l'autorità del F. su Pontremoli era così ridotta che il 28 genn. 1273 Carlo d'Angiò dovette intimare agli abitanti di quel borgo di non molestarlo. Una nuova spedizione genovese, condotta da Oberto Spinola, portò, il 19 agosto, alla caduta di Godano. La decisione di Carlo di arrivare ad una pace separata con Genova e le conseguenti gravi difficoltà in cui vennero a trovarsi i fuorusciti e i ribelli genovesi obbligarono questi ultimi a trattare.
Già nel 1274 il F. aveva provveduto a nominare un suo procuratore per i colloqui informali che si svolgevano a Roma; il 13 marzo del 1276 il Comune genovese nominò i suoi plenipotenziari presso il papa Innocenzo V, che si stava adoperando per arrivare ad una intesa. Il 16 giugno si giunse alla firma dell'accordo di pace.
Genova e il governo dei capitani del Popolo si impegnavano a restituire al F. - così come agli altri membri della sua famiglia - i beni che gli avevano confiscato o di cui erano entrati comunque in possesso con la forza. Consentivano inoltre a che egli - così come gli altri fuorusciti - rimanesse nella città.
Tuttavia, seppure tra il giugno ed il novembre del 1277 il sindaco del Comune e dei mercanti di Piacenza consegnasse a diversi cittadini genovesi, tra cui il F., le somme loro dovute per il pagamento del pedaggio percepito sulle strade colleganti la città padana ed il centro ligure, l'accordo coi Fieschi non fu interamente rispettato dal Comune genovese, che si guardò dal restituire al F. ed alla sua famiglia quei castelli che costituivano una costante minaccia per la Riviera orientale. Ciò spinse il F. e gli altri suoi parenti a stringere di più i loro legami con i Malaspina, per tentare un estremo colpo di mano su Genova. Nel 1278 Moroello Malaspina ed i suoi fratelli, il F., coi figli Manuele ed Egidio, e suo fratello Federico riuscirono ad organizzare un esercito di 1.200 fanti e 300 cavalieri, con cui il 26 marzo assalirono Chiavari. Il Comune genovese reagi: Oberto Doria riprese il borgo e portò poi l'attacco nel cuore dei possessi fliscani, assediando e conquistando Arcola, dove dopo la conquista fu lasciato come vicario Manuele Di Negro.
La netta sconfitta sul campo spinse il F. a interessare la Curia romana, perché costringesse il Comune genovese al rispetto degli accordi sottoscritti in precedenza. Il 13 ag. 1278, da Viterbo, Niccolò III accolse le sue richieste ed intimò ai capitani del Popolo di dare attuazione alle clausole previste dalla pace firmata due anni prima. La risposta negativa provocò l'interdetto lanciato dal pontefice sulla città. Concretamente, tuttavia, il F. non ottenne alcun vantaggio, tanto che i suoi beni immobili a Genova continuarono a rimanere confiscati (nel suo palazzo in città si riuniva abitualmente il Consiglio degli anziani).
Il F. morì nel 1278 o nel corso dell'anno seguente (in un documento dell'11 dic. 1279 si ricorda il palazzo degli eredi del Fieschi).
Aveva sposato una Argentina, di cui ignoriamo il casato. Da lei ebbe sette maschi - Manuele, Egidio, che fu canonico di Parigi; Leonardo, che fu arcidiacono della cattedrale di Genova e poi vescovo di Catania; Andriolo, Guglielmo, Bernabò e Moroello - ed una figlia, Caterina, che sposò nel 1261 Giacomo Grimaldi.
Il F. si preoccupò di organizzare il controllo delle vallate appenniniche, erigendo il castello nuovo di Varese Ligure, che il 16 dic. 1295 Andriolo, proprietario di una metà, e Guglielmo, Bernabò e Moroello, credi per l'altra metà, furono condannati a consegnare a Genova, in quanto sorto su un territorio sotto la giurisdizione di quel Comune.
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