Alberto Fortis
La storiografia più aggiornata ha riconosciuto ad Alberto Fortis quella statura scientifica e intellettuale che già i contemporanei gli riconobbero e che consente di annoverarlo a pieno titolo tra i protagonisti dell’Illuminismo italiano. La sua fisionomia di studioso è tipica di quanti, nel Settecento, considerarono la storia naturale come asse portante delle proprie iniziative, pur frequentando con successo altri settori della cultura, dalla ricerca storico-antiquaria alla poesia, dal dibattito economico a quello antropologico. Le traduzioni delle sue opere geologiche e di viaggio, l’originalità e la maturità di pensiero che esse rivelano, gli conferirono una solida reputazione a livello europeo.
Alberto Fortis nacque a Padova nella notte tra il 9 e il 10 novembre 1741 e fu battezzato con il nome di Giovanni Battista. Dal 1754 al 1757, in seguito alla morte del padre e alle nuove nozze della madre, frequentò il seminario vescovile di Padova per poi entrare nell’ordine degli eremitani di s. Agostino. Dal 1760 al 1765 soggiornò in vari conventi dell’ordine: Vicenza, Bologna, Roma. I suoi interessi per la storia naturale si rafforzarono attraverso i contatti con Giovanni Arduino, Antonio Vallisneri Jr, Guido Vio e Giuseppe Toaldo. Nel 1766 fu a Roma per condurvi studi teologici avanzati. L’anno successivo abbandonò l’ordine e ottenne la riduzione allo stato di abate secolare. Rientrato a Venezia nel 1767, sviluppò un’intensa collaborazione con «L’Europa letteraria», uno dei periodici più vivaci di quegli anni. Dal 1765 al 1770 pubblicò le prime memorie geologico-naturalistiche sul «Giornale d’Italia», diretto da Arduino e Francesco Griselini.
Nel 1770 compì un importante viaggio in Dalmazia in compagnia di John Symonds, Domenico Cirillo e il vescovo irlandese Frederick Augustus Hervey. A questo seguirono numerosi altri viaggi che egli effettuò anche per conto del governo veneziano, deciso a favorire lo sviluppo economico dei territori dalmati. È del 1774 la sua opera più nota, il Viaggio in Dalmazia, che fu prontamente tradotta nelle principali lingue europee. Nel 1777 la morte di Vallisneri Jr sembrò aprirgli la via alla cattedra di storia naturale dell’Università di Padova, ma le sue posizioni di ispirazione galileiana in materia di rapporti tra scienza e fede gli attirarono l’opposizione intransigente del patriziato più conservatore. Per quasi quattro decenni quella cattedra sarebbe rimasta vacante. Tra il 1778 e il 1783 pubblicò vari saggi scientifici negli «Opuscoli scelti» di Carlo Amoretti e Francesco Soave, nel «Nuovo giornale d’Italia» e nel «Giornale enciclopedico», periodico che egli diresse con Elisabetta Caminer Turra.
Nel 1785, ottenuto l’incarico di mineralogista presso la corte di Napoli, diede inizio alla battaglia per riformare l’industria del salnitro, sostanza di cui aveva individuato un ricco giacimento all’interno del Pulo di Molfetta. Si legò ai maggiori illuministi napoletani, tra cui Gaetano Filangieri e Melchiorre Delfico. Nel 1790, nonostante l’appoggio dei sovrani, l’impresa della nitriera di Molfetta si arenò definitivamente. Rientrò in Veneto e si stabilì a S. Pietro d’Arzignano (Vicenza), dove aveva acquistato una casa e un podere. Tornò a occuparsi della geologia del Veneto, di valorizzazione delle risorse naturali locali e di giornalismo.
Nel 1796 si trasferì a Parigi, dove rimase per cinque anni acquistando prestigio e influenza anche al di fuori della comunità dei naturalisti. Rientrò in Italia nel 1801 con l’incarico di prefetto della Biblioteca dell’Istituto nazionale italiano con sede a Bologna. L’anno successivo fu eletto segretario dell’Istituto stesso e si dedicò alla riorganizzazione della cultura scientifica dell’Italia napoleonica. Morì a Bologna il 21 ottobre 1803.
L’approccio autoptico ai fenomeni geomorfologici, teorizzato nelle opere principali e coerentemente applicato nella ricerca sul campo, non poteva prescindere dalla formulazione di un quadro teorico unitario. Tale quadro si ispirò inizialmente soprattutto alle idee di Antonio Vallisneri Senior e Arduino, ma in seguito si arricchì di apporti tratti dal pensiero di Anton Lazzaro Moro, Nicolas-Antoine Boulanger, Georges-Louis Leclerc conte di Buffon e James Hutton. Fortis fece conoscere i principali elementi del suo sistema pubblicando un poema allegorico, Dei cataclismi sofferti dal nostro pianeta, apparso nel 1768 su «L’Europa letteraria» e ripubblicato in edizione bilingue a Londra nel 1786.
Rielaborando spunti teorici già presenti in alcune cosmologie rinascimentali, Fortis ipotizzò il verificarsi di una lenta modificazione dell’inclinazione dell’asse terrestre tale da portare gradualmente ogni punto della superficie terrestre a latitudini sempre diverse; e poiché la forza centrifuga tende a disporre le acque dei mari lungo la fascia equatoriale del pianeta, ciò produrrebbe una continua traslocazione dei bacini oceanici tale da coprire gli antichi continenti e portare all’asciutto i fondali. Secondo Fortis, a queste ‘rivoluzioni’ lente e graduali, opera delle forze gravitazionali, si sarebbero aggiunti non solo gli effetti catastrofici di terremoti ed eruzioni vulcaniche, ma anche le conseguenze delle collisioni con corpi celesti quali comete o satelliti. Egli riteneva che, periodicamente, tali eventi avessero determinato la scomparsa di intere civiltà, come lasciava intendere il ritrovamento delle città di Ercolano e Pompei.
Dopo aver esplorato il territorio veneto, Fortis effettuò nel 1775 un lungo tour italiano sotto la supervisione scientifica del naturalista e antiquario britannico John Strange. Il viaggio mirava soprattutto a ottenere osservazioni attendibili sui vulcani estinti dell’Italia centrale, al fine di completare gli studi sulla controversa questione dell’origine del basalto, iniziati nel 1771. Il risultato scientifico più rilevante a tale riguardo è la memoria Della valle vulcanico-marina di Roncà (1778), nella quale Fortis sostiene l’origine vulcanica, ma non eruttiva, dei basalti colonnari. A giudizio del naturalista padovano, infatti, si trattava di strati argillacei preesistenti – dunque di origine sedimentaria – invasi dal fuoco vulcanico sotterraneo e da esso trasformati in basalti, e non di correnti laviche emesse da crateri simili a quello del Vesuvio. In tal modo, pur differenziandosi dai vulcanisti francesi che erano convinti dell’origine eruttiva dei basalti, Fortis si associava a una tendenza generale che portò al riconoscimento del fondamentale ruolo svolto dalle forze endogene nella costruzione, trasformazione e sollevamento delle rocce, un ruolo che soltanto le teorie di Charles Lyell, negli anni Trenta dell’Ottocento, avrebbero saputo riproporre autorevolmente.
Nel 1768 l’ingresso di Fortis nella redazione veneziana del periodico «L’Europa letteraria» di Domenico ed Elisabetta Caminer diede inizio a un periodo di intensa attività giornalistica, che lo vide promotore entusiasta della cultura più avanzata dell’Illuminismo europeo. Nonostante le interruzioni dovute ai frequenti viaggi, tale attività rimase fino agli anni Novanta un veicolo privilegiato della sua battaglia culturale. In qualità di redattore o di collaboratore, Fortis fornì recensioni, traduzioni, estratti e interventi originali ad alcune fra le più note testate del giornalismo culturale, non soltanto veneto, dell’ultimo quarto del 18° secolo. Recensioni ed estratti, talora non firmati, apparvero su periodici quali il «Magazzino italiano» (Venezia, 1767-68), il «Giornale enciclopedico» (Venezia, 1774-77; Vicenza, 1777-82), il «Nuovo giornale d’Italia» (Venezia, 1776-77), le «Notizie politiche» (Cesena, 1788-93), le «Notizie letterarie» (Cesena, 1791-93), gli «Annalen der Geographie und Statistik» (Brunswick, 1790-92), «Il genio letterario d’Europa» (Padova, 1793-94), le «Memorie per servire alla storia letteraria e civile» (Venezia, 1793-1800). La severità di alcuni interventi apparsi sulle pagine di «L’Europa letteraria» gli guadagnarono fama di recensore rigoroso e temibile. Ciò nonostante, i contemporanei ne apprezzarono l’arguzia, la profondità di pensiero e le doti di scrittore. In effetti, il vigore argomentativo, la vivacità dello stile e la nitida eleganza della lingua fanno della sua prosa uno dei vertici del giornalismo culturale italiano della seconda metà del Settecento.
Nel 1770 egli accolse con entusiasmo l’opportunità offertagli da John Stuart conte di Bute di aggregarsi a una missione diretta in Dalmazia composta da personaggi quali il vescovo di Derry Hervey, l’agronomo Symonds e il medico napoletano Cirillo. Da questo e dai successivi viaggi nella regione scaturì quella scoperta del mondo slavo che è all’origine della vasta notorietà di Fortis nella repubblica delle lettere. I primi risultati furono presentati nel giovanile Saggio d’osservazioni sopra l’isola di Cherso e Osero (1771), un apprezzato resoconto di viaggio ricco di osservazioni naturalistiche, di erudizione antiquaria, ma anche delle prime disincantate riflessioni sullo stato dell’economia e della società dalmate.
Una successiva missione, affidatagli dal Senato di Venezia per interessamento del patrizio Andrea Memmo, lo riportò in Dalmazia nell’estate del 1773 con il compito di studiare la situazione di degrado dell’arte della pesca. Ne ricavò alcune relazioni per la Deputazione straordinaria alle arti e una più approfondita conoscenza del mondo slavo. Tali esperienze gli consentirono di perfezionare e dare alle stampe l’opera sua più nota e apprezzata, quel Viaggio in Dalmazia che contribuì in misura significativa al grande moto romantico di valorizzazione delle culture folkloriche nazionali. L’opera, costituita da una serie di lettere itinerarie indirizzate a committenti aristocratici e a colleghi scienziati, descrive la morfologia, i fenomeni naturali, i siti archeologici, ma anche la realtà economica, gli usi e i costumi delle popolazioni che abitavano la Dalmazia veneta. I canti popolari raccolti e trascritti da Fortis – in particolare la Canzone della sposa di Asan, in seguito tradotta da Johann Wolfgang von Goethe e inserita nei Volkslieder di Johann Gottfried von Herder – ma anche i resoconti attenti e rispettosi che egli fornì della cultura locale portarono alla scoperta dell’antica popolazione dei Morlacchi. Quel popolo, considerato fino allora selvaggio, violento e arretrato, per merito di Fortis poté apparire agli intellettuali europei più prossimo ai greci di Omero e ai guerrieri dell’Ossian di James Macpherson. Al di là del resoconto etnografico e dell’evocazione poetica, l’analisi di Fortis mirava a evidenziare le potenzialità e i bisogni di una regione che il governo della Serenissima non aveva amministrato con sufficiente sollecitudine e lungimiranza. Nell’itinerario personale di Fortis, il confronto con una realtà economicamente arretrata eppure così vitale fu essenziale per la sua maturazione intellettuale e fu la premessa di scelte più decisamente orientate alle riforme economiche e civili.
Alla fine degli anni Settanta, superata la delusione prodotta dalla mancata assegnazione della cattedra di storia naturale dell’Università di Padova, Fortis avviò una fase nuova, ricca di coraggiose iniziative culturali. Nel gennaio 1780, a Spalato, aprì la sessione inaugurale della locale Accademia d’agricoltura con un discorso Della coltura del castagno da introdursi nella Dalmazia marittima, e mediterranea, un tema agronomico legato al dibattito in corso sul degrado ambientale causato dal diboscamento. Da Spalato, attraversato l’Adriatico, passò in Puglia e giunse in marzo a Napoli dove gli amici Giuseppe Rosa Vairo e Cirillo lo introdussero nel circolo di Antonio Di Gennaro duca di Belforte. Qui ebbe modo di frequentare tutti gli illuministi napoletani della generazione postgenovesiana, compresa quella Eleonora Fonseca Pimentel che sarà protagonista e vittima degli eventi rivoluzionari del 1799. Egli si legò di profonda amicizia con Filangieri e Delfico, dei quali condivideva gli ideali di riforma.
Tornato nel Regno di Napoli nel novembre 1783, vi compì una scoperta che avrebbe condizionato in misura rilevante il suo destino di studioso e di riformatore. Nelle grotte del Pulo di Molfetta – una grande cavità carsica oggi riscoperta quale importante sito storico-culturale – rinvenne notevoli quantità di salnitro prodotto spontaneamente dalla roccia tufacea e calcarea della regione. La scoperta di tale sostanza, essenziale per la produzione della polvere pirica, gli consentì di ottenere, anche per interessamento di Delfico e Filangieri, l’incarico di consulente mineralogico della Corona. L’amministrazione borbonica gli affidò il compito di riorganizzare un settore strategico, quello della produzione del salnitro. Le nuove direttive da lui emanate per la lavorazione della sostanza, ma soprattutto il tentativo di abolire il sistema detto dell’arrendamento, suscitarono le veementi reazioni degli imprenditori privati che detenevano lucrosi appalti nel settore. Forse su istigazione di costoro, alcuni studiosi napoletani, tra cui Angelo Fasano, Nicola Andria e Saverio Ramondini, negarono il valore della scoperta costringendo Fortis a una polemica serrata a tutela della propria credibilità scientifica. Alla fine, nonostante la stima dei sovrani e l’appoggio di numerosi prestigiosi colleghi stranieri, il tentativo di riformare il regime di produzione del salnitro si arenò definitivamente. Nel dicembre 1790 la morte della madre gli fornì il pretesto per fare rientro in patria e, in seguito, di sciogliere consensualmente gli impegni con la corte napoletana.
Se la vicenda della nitriera finì per assestare un colpo definitivo alla sua fiducia nella riformabilità del Regno meridionale, non diminuì la sua curiosità per i dibattiti culturali che vi si svolgevano. Dalla riflessione sugli effetti della feudalità ai contrasti con la Santa Sede, dai problemi dell’economia rurale alle discussioni sulle credenze popolari, Fortis mantenne una vigile attenzione verso i temi più rilevanti della cultura meridionale degli anni Ottanta e ne diede conto sui periodici con i quali collaborava. Tra i sudditi di Ferdinando IV preferì l’amicizia di intellettuali originari delle province quali i fratelli Delfico, Giuseppe Maria Giovene, Vincenzo Comi, Ciro Saverio Minervino, Giuseppe Capecelatro, o tecnici al servizio della monarchia come il geologo Scipione Breislak.
Stabilitosi nuovamente in patria nel 1791, riprese lo studio del territorio veneto dando particolare risalto ai temi paleontologici. In questa luce va intesa la collaborazione sia con Giuseppe Olivi, il quale stava ultimando la sua Zoologia adriatica (1792), sia con il giovane Giambattista Brocchi. Interessanti implicazioni teoriche ebbe la disputa con l’abate Domenico Testa a proposito dell’interpretazione dei pesci fossili di Bolca. Nel confutare le opinioni di Testa, Fortis aveva presenti le tesi di Ermenegildo Pini che, tra il 1790 e il 1792, aveva assunto posizioni di chiara impostazione nettunista e diluvialista con l’intenzione di difendere la cronologia biblica tradizionale. L’idea che l’azione delle forze ignee fosse indispensabile per spiegare la genesi e la trasformazione del pianeta e che tale processo avesse richiesto tempi estremamente lunghi rimase una salda convinzione di Fortis. Egli ribadì con fermezza tali acquisizioni proprio negli anni in cui le ipotesi contrarie, per opera di Abraham Gottlob Werner, diventavano egemoni nella comunità scientifica internazionale.
L’accelerazione impressa dalle campagne napoleoniche alla crisi dell’antico regime gli suggerì di tentare la fortuna nella capitale francese, dove si trasferì nell’autunno 1796. Fin dal suo arrivo, Fortis seppe introdursi attivamente nella vita scientifica parigina assimilando alcune rilevanti novità teoriche e metodologiche. Ottenuto l’accesso alle straordinarie collezioni del Museum d’histoire naturelle, poté effettuare studi innovativi sulle faune marine fossili collaborando soprattutto con Barthélemy Faujas de Saint-Fond, ma instaurando ottimi rapporti anche con l’emergente Georges Cuvier. I risultati delle sue ricerche apparvero a più riprese nel «Journal de physique» diretto da Jean-Claude de La Mètherie. Molte energie egli dedicò alla preparazione di una serie di volumi in cui intendeva far conoscere, in traduzione francese, i migliori contributi scientifici prodotti da naturalisti e geologi italiani della sua generazione. Dell’ambizioso progetto iniziale videro la luce solo i due volumi dei Mémoires pour servir à l’histoire naturelle de l’Italie (1802). L’opera si apriva con un lungo Essai de géologie du Vicentin in cui Fortis, attraverso l’illustrazione delle particolarità geologiche di quel territorio, riproponeva il plutonismo di James Hutton, ribadendo la propria opposizione alle teorie nettuniste e catastrofiste dominanti. Nei Mémoires, inoltre, affrontò il tema scottante della variabilità delle specie. A tale riguardo egli assunse posizioni vicine al trasformismo di Jean-Baptiste-Pierre-Antoine de Monet chevalier de Lamarck; dichiarandosi poco propenso ad accettare l’ipotesi dell’estinzione di alcune specie, avanzò la tesi di una loro trasformazione dovuta a mutamenti ambientali. Per quanto riguarda la specie umana, egli sostenne apertamente l’ipotesi che essa sia il prodotto recente del perfezionamento di una specie antropomorfa.
Saggio d’osservazioni sopra l’isola di Cherso e Osero, Venezia 1771.
Viaggio in Dalmazia, 2 voll., Venezia 1774.
Della valle vulcanico-marina di Roncà nel territorio veronese, Venezia 1778.
Della coltura del castagno da introdursi nella Dalmazia marittima, e mediterranea, Napoli 1780.
Lettere geografico-fisiche sopra la Calabria e la Puglia, Napoli 1784.
A poetical sketch of the revolutions that have happened in the natural history of our planet / Dei cataclismi sofferti dal nostro pianeta, London 1786.
Delle ossa d’elefanti e d’altre curiosità naturali de’ monti di Romagnano nel Veronese, Vicenza 1786.
Del nitro minerale, Napoli 1787.
Tre lettere […] intorno alle produzioni fossili dei monti Euganei, Cesena 1791.
Tre lettere sopra i pesci fossili di Bolca, Venezia 1793.
Della torba che trovasi appié de’ Colli Euganei, Venezia 1795.
Mémoires pour servir à l’histoire naturelle de l’Italie, 2 voll., Paris 1802.
Lettere di Alberto Fortis (1741-1803) a Giovanni Fabbroni (1752-1822), a cura di L. Ciancio, Chioggia 2010.
G. Torcellan, Profilo di Alberto Fortis, in Settecento veneto e altri scritti storici, Torino 1969, pp. 273-301 (con bibl. prec.).
G. Pizzamiglio, introduzione ad A. Fortis, Viaggio in Dalmazia, Venezia 1987, pp. IX-XXXI.
F. Venturi, Settecento riformatore, 2° vol., La Repubblica di Venezia (1761-1797), Torino 1990.
L. Ciancio, Autopsie della Terra. Illuminismo e geologia in Alberto Fortis (1741-1803), Firenze 1995.
A calendar of the correspondence of John Strange F.R.S (1732-1799), ed. L. Ciancio, London 1995.
Ž. Muljačić, Putovanja Alberta Fortisa po Hrvatskoj i Sloveniji (1765-1791) (Il viaggio di Alberto Fortis in Croazia e Slovenia), Split 1996.
L. Ciancio, Fortis Alberto, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 49° vol., Roma 1997, ad vocem.
L. Wolff, Venice and the Slavs. The discovery of Dalmatia in the age of Enlightenment, Stanford (Ca) 2001.
M. Toscano, Alberto Fortis nel Regno di Napoli: naturalismo e antiquaria 1783-1791, Bari 2004.
L. De Frenza, I sonnambuli delle miniere. Amoretti, Fortis, Spallanzani e il dibattito sull’elettrometria organica e minerale in Italia (1790-1816), Firenze 2005.
M.J.S. Rudwick, Bursting the limits of time. The reconstruction of geohistory in the age of revolution, Chicago-London 2005.
M. Toscano, Gli archivi del mondo. Antiquaria, storia naturale e collezionismo nell’Europa del Settecento, Firenze 2009.
L. Ciancio, La fucina segreta di Vulcano. Naturalisti veneti e aristocratici britannici del Settecento alla scoperta del territorio veronese, Soave 2010.