GIOVANNINI, Alberto
Nacque a Bologna il 4 nov. 1882 da Luigi e da Argia Zanetti. Il padre, impegnato con i fratelli nell'industria cartaria, aveva partecipato alla presa di Roma nel 1870 e apparteneva all'area repubblicana; in quest'ambiente ebbe luogo la prima educazione politica del Giovannini.
Precocemente impegnato nel Partito repubblicano italiano (PRI), tenne una relazione riguardante "Gli aggravi sul consumo e l'economia nazionale" al congresso di Forlì dell'ottobre 1903 e, in quello di Genova del giugno 1905, fu approvata una mozione antiprotezionistica da lui presentata. Collaborò anche alle istituzioni collegate al partito, come l'Università popolare di Bologna (cfr. Lezioni di economia politica, tenute nell'Università popolare di Bologna, precedute da un cenno sull'Università popolare stessa, Parma 1903).
L'altro elemento decisivo nella formazione del G. fu l'insegnamento di T. Martello, professore di economia politica all'Università di Bologna, di cui seguì i corsi come uditore in quanto, avendo conseguito il diploma di ragioniere, non aveva il titolo legale per un'iscrizione formale alla facoltà di giurisprudenza.
Martello, che era stato allievo diretto di F. Ferrara, ne continuava l'impostazione nettamente liberistica e la polemica contro le correnti che sostenevano l'interventismo statale nell'economia e nella questione sociale e ammettevano il ricorso al protezionismo doganale. Su di lui il G. pubblicò Il maestro, in In onore di T. Martello. Scritti di varii autori, Bari 1917, pp. 395-407; e più tardi T. Martello. Discorso pronunciato… il 18 maggio 1933, all'Istituto superiore di scienze economiche e commerciali, Bologna 1933.
Fra il solidarismo mazziniano e l'intransigente liberismo di Martello il G. non avvertiva totale incompatibilità: in due scritti - il primo Il pensiero economico di Giuseppe Mazzini (ibid. 1904), l'altro presente in Mazzini. Conferenze tenute in Genova (maggio-giugno 1905) (Genova 1905, pp. 291-362) - illustrava, infatti, la polemica mazziniana contro l'individualismo, ma sviluppava soprattutto la sua critica del socialismo marxista, del materialismo storico, dell'ateismo, della lotta di classe. Da uno scritto di A. Loria su Carlo Cattaneo economista (1901), il G. trasse poi lo spunto per scrivere un volume con lo stesso titolo (Bologna 1905), in cui sottoponeva ad analisi minuta i principali scritti economici dello storico lombardo, sottolineandone gli spunti liberistici, ma cercando soprattutto di confutare la visione loriana di un Cattaneo "precursore" del materialismo storico (pp. 12 ss., 39 s., 240 ss. e passim).
Il "repubblicanesimo" del G., pur rifacendosi alle radici risorgimentali, puntava a una modernizzazione della cultura politica del partito (con intendimenti non dissimili da quelli che, nello stesso periodo, muovevano A. Ghisleri e il suo gruppo): nel suo discorso, l'istanza liberistica si saldava a un progetto più ampio di democratizzazione dello Stato (revisione dello Statuto, suffragio universale, riforma fiscale, sistema elettorale proporzionale) e alla polemica contro il rivoluzionarismo socialista in nome di un'azione graduale e riformatrice.
Con questo programma, il 7 nov. 1903, uscì a Bologna il primo numero di La Libertà economica. Rivista quindicinale di economia, diritto pubblico, storia contemporanea, letteratura ed arte (ma il sottotitolo e il formato mutarono diverse volte, e per un anno, il 1911, essa assunse cadenza settimanale), che il G. diresse fino alla cessazione delle pubblicazioni, nel 1926: nelle prime annate appaiono contributi di alcuni dei più prestigiosi esponenti del repubblicanesimo italiano (S. Barzilai, O. Zuccarini, A. Carlini, A. Ghisleri) e del pensiero economico "liberista" (E. Giretti, V. Pareto, L. Einaudi, F. Papafava).
I temi dei numerosi articoli del G. apparsi in quegli anni (un'ampia scelta è in Fatti e principii del mondo economico, ibid. 1936) sono quelli consueti della scuola liberista: la polemica contro i settori protetti (zuccherieri, siderurgici, latifondisti cerealicoli), l'anglofilia politico-culturale e la diffidenza per il modello tedesco, la concezione del libero scambio come frutto di una secolare vicenda scaturita dalla crisi del mercantilismo e, al tempo stesso, di un'opzione morale, prima che politico-economica.
Il G. prese parte anche alle principali iniziative di carattere organizzativo di questo gruppo: nel marzo 1904, fu uno dei sette professori e pubblicisti che costituirono la prima, effimera Lega antiprotezionista, basata su un'alleanza fra "economisti" e socialisti rivoluzionari (cfr. Carlo Cattaneo economista, pp. 128-131); più tardi, nel 1913, aderì a un nuovo tentativo, questa volta promosso da G. Salvemini, L. Einaudi e A. De Viti De Marco (Per la costituzione di una "lega antiprotezionista", in La Libertà economica, 20 ag. 1913, pp. 123-127).
Quest'originario connubio fra "repubblicanesimo" e liberismo venne meno piuttosto presto. Dopo il 1905 il G., in seguito a una serie di polemiche sulla politica religiosa del partito, si allontanò dal PRI: cattolico, come apertamente si dichiarava, provava un disagio crescente per le posizioni anticattoliche e antireligiose che vi si stavano affermando (Per la libertà religiosa, ibid., 25 ott. 1905, pp. 527 ss.), anche se fino al 1910-11 collaborò saltuariamente al quotidiano repubblicano La Ragione (M. Tesoro, I repubblicani nell'età giolittiana, Firenze 1978, pp. 30 n., 52). Sulla Libertà economica lo spazio lasciato vuoto dagli antichi compagni venne occupato da intellettuali di diversa provenienza, come A. Caroncini, del movimento dei Giovani Liberali di G. Borelli, liberista intransigente e vicino al nazionalismo, dallo stesso Borelli, dai radicali F.S. Nitti, A. De Viti De Marco e N.M. Fovel: al partito radicale si avvicinò lo stesso G., che vide in esso l'ala sinistra del "partito liberale", più che un interlocutore di quello socialista, e fu quindi "ministerialista", favorevole cioè all'impegno governativo dei radicali, specialmente nel quarto ministero Giolitti (1911-14).
Il G. era divenuto con gli anni una personalità di rilievo dell'ambiente bolognese: nel 1904 aveva conseguito la libera docenza in economia politica (d.m. 28 nov. 1904), nonostante non avesse la laurea, in quanto il Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, secondo l'art. 50 del regolamento universitario, considerò equipollenti alla laurea i titoli presentati, e prese a insegnare prima nella locale scuola media di commercio (La scuola media di commercio in Bologna, Forlì 1907), fondata nel 1905 per iniziativa della Camera di commercio, poi nell'istituto tecnico Pier Crescenzi (Al Pier Crescenzi: studente e poi insegnante, in Istituto tecnico Pier Crescenzi. Primo centenario 1863-1963, Rocca San Casciano 1963, pp. 119-122).
Nel 1914, allo scoppio della guerra, si schierò a favore dell'intervento (così come era stato favorevole alla guerra di Libia); alla fine delle ostilità venne elaborando un programma politico che cercava di avere un respiro, al tempo stesso, nazionale e locale.
Su un piano più generale - in sintonia con molti degli economisti "liberisti" - affermò ripetutamente l'esigenza di smantellare le "bardature" di guerra e di evitare ogni ritorno al protezionismo prebellico (attaccò quindi vivacemente la nuova tariffa introdotta il 9 giugno 1921). In tale prospettiva protestò da subito contro la pace "cartaginese" imposta alla Germania, che l'avrebbe tenuta lontana dalla ripresa postbellica, aggravandone la crisi politica (Fatti e principii…, pp. 179-219, 518-533). Sul piano locale espresse più volte l'esigenza che le forze sociali, a cui ormai da anni faceva riferimento, si munissero di nuove forme organizzative e di programmi adeguati.
Così, quando, il 19 marzo 1919, fu fondato a Bologna il Fascio delle forze economiche, promosso dagli elementi attivi della borghesia agraria, industriale e commerciale, nonché dai ceti medi delle libere professioni e dell'impiego pubblico e privato, il G. ne elaborò il programma e la sua rivista ne divenne l'organo (Il Fascio delle forze economiche, in La Libertà economica, 30 marzo 1919).
Punti qualificanti di questo programma erano il rigetto del modello conflittuale prebellico, la collaborazione di classe, un'impostazione produttivistica e l'industrializzazione modernizzatrice dell'agricoltura, la difesa della mezzadria e della piccola proprietà, un liberismo di fondo (cfr. P. Nello, Dino Grandi. La formazione di un leader fascista, Bologna 1987, pp. 48-53). Quindi, in vista delle elezioni del 16 nov. 1919, il Fascio delle forze economiche cercò di promuovere una lista comune fra l'Unione liberale bolognese e i partiti socialriformista, radicale e repubblicano, a cui poi si aggiunsero i nazionalisti e i rappresentanti delle forze economiche (commercianti, agrari e industriali), ma per contrasti insorti fra l'Associazione nazionale combattenti e i liberali, queste componenti si presentarono poi divise, andando incontro a una clamorosa sconfitta (A.L. Cardoza, Agrarian elites and Italian fascism. The province of Bologna 1901-1926, Princeton 1982, pp. 269-273).
Alle elezioni il G. si presentò candidato nella lista liberale, che non ottenne neanche un seggio. Il suo programma di rinnovamento borghese non resse alla prova del grande scontro che si svolse nelle campagne del Bolognese fra il gennaio e l'ottobre 1920 e che ebbe - coi successivi fatti di palazzo d'Accursio (21 nov. 1920) - un effetto decisivo sulla storia italiana di quegli anni. Di fronte al carattere ultimativo dato alla lotta dalla dirigenza socialista e sindacale, il G. pose al primo posto l'esigenza di resistenza e di riscossa "borghese", e in questa prospettiva giudicò positivamente anche l'inizio dell'azione fascista, iniziativa privata sostitutiva di uno Stato che non si era mostrato capace di tutelare adeguatamente l'ordine pubblico, ma auspicò anche che essa rientrasse quanto prima nella legalità (Fatti e principii…, pp. 582-587, 634-650). Non ricercò tuttavia l'appoggio fascista la lista liberale della circoscrizione Verona-Vicenza, in cui il G. si presentò alle politiche del 15 maggio 1921, anche questa volta senza successo. Nell'inverno successivo, dall'11 dic. 1921 al 25 febbr. 1922, ebbe la sua prima esperienza alla testa di un quotidiano, dirigendo e portando alla liquidazione Il Progresso, quotidiano degli agrari bolognesi (N.S. Onofri, I giornali bolognesi nel ventennio fascista, Bologna 1972, pp. 83 ss.).
Le vicende degli ultimi anni avevano convinto il G. della necessità urgente di dare una forma organizzativa di tipo partitico alle disperse forze liberali: dal coordinamento di analoghe iniziative prese da vari organismi cittadini o regionali si giunse alla convocazione di un congresso a Bologna (8-10 ott. 1922), dove fu presentato il programma elaborato dal G., da C. Gay e da G. Mascagni, e in cui il G. venne eletto segretario del neonato Partito liberale italiano (PLI).
Il problema fondamentale di fronte al quale si trovò la nuova formazione politica fu quello dell'atteggiamento da assumere rispetto al governo Mussolini: alle vicende degli anni successivi il G. doveva dedicare il suo ultimo libro, Il rifiuto dell'Aventino (Bologna 1966), una puntigliosa difesa del proprio operato e di quello del suo partito, da subito ferocemente criticato dalle forze antifasciste per il suo atteggiamento "fiancheggiatore", durato fino allo scorcio del 1924 (sul G., in particolare, cfr. P. Gobetti, Scritti politici, Torino 1960, pp. 582-585), e per il rifiuto di seguire i principali partiti dell'opposizione nel ritiro dall'aula dopo il delitto Matteotti.
Come molti altri appartenenti al medesimo ambiente politico, il G. e il suo partito sostennero il governo Mussolini anche nelle scelte più impegnative (la legge Acerbo e la competizione elettorale del 6 apr. 1924, in cui finalmente il G. fu eletto nel "listone" per la circoscrizione del Veneto), a condizione che si proponesse come espressione di un più incisivo "liberalismo", avente per scopo la "restaurazione dello Stato" e il liberismo economico (il G. guardava soprattutto al ministro A. De Stefani), e non pretendesse di costituire uno "strappo" rispetto alla precedente vicenda politica italiana: egli fu perciò polemico contro tutti i tentativi di dare al nuovo movimento un consapevole orizzonte teorico antiliberale, come quello elaborato da A. Rocco e dall'ala nazionalistica confluita nel fascismo ai primi del 1923 (Fatti e principii…, pp. 242-249).
Dopo il delitto Matteotti, una svolta significativa fu costituita dal congresso liberale di Livorno (4-6 ott. 1924), che fu il preludio del progressivo passaggio all'opposizione di una parte dei deputati (anche eletti nel "listone") che si riconoscevano nel PLI. Se ne ebbe una prima manifestazione nelle votazioni del novembre 1924 sul bilancio dei ministeri degli Esteri e dell'Interno, in cui il G. scelse l'astensione. Dopo il discorso di Mussolini del 3 genn. 1925, il G. passò più decisamente all'opposizione: fra l'altro, intervenne contro il disegno di legge che dava al potere esecutivo la facoltà di emanare norme giuridiche (20 giugno 1925). Egli fece quindi parte dell'"opposizione in aula", la sparuta pattuglia di deputati (di cui G. Giolitti fu, fino alla morte, il più autorevole), che, non avendo partecipato all'Aventino, non furono dichiarati decaduti nel novembre 1926 e rimasero perciò in Parlamento, anche dopo lo scioglimento del PLI, fino alla scadenza della XXVII legislatura, alla fine del 1928.
Negli anni successivi, il G. si dedicò soprattutto all'insegnamento universitario.
Già prima della guerra, valendosi della libera docenza (confermata poi con d.m. 16 luglio 1929), aveva tenuto corsi "liberi" all'Università di Bologna; nell'a.a. 1918-19, aveva ottenuto un incarico di statistica e una supplenza di economia politica nella facoltà di giurisprudenza dell'Università di Ferrara. Dieci anni dopo, nel 1928-29, insegnò economia politica all'Università degli studi economici e commerciali di Trieste; infine, dopo l'istituzione (r.d.l. 10 ott. 1929, n. 1859) dell'Istituto superiore di scienze economiche e commerciali di Bologna, patrocinata dall'ex Camera di commercio, ormai diventata Consiglio provinciale dell'economia, vi tenne per incarico fino al 1943 l'insegnamento di economia politica e politica economica e finanziaria (nel 1937 l'istituto si trasformò in facoltà di economia e commercio).
L'insegnamento universitario e le attività economiche in cui era impegnato gli evitarono una totale emarginazione: chiese e ottenne - dopo ripetuti tentativi andati a vuoto per l'opposizione del fascio bolognese - la tessera del Partito nazionale fascista (PNF) ed evitò ogni atteggiamento polemico contro il regime, anche nei confronti della politica "corporativa", che pur si presentava in piena opposizione al suo credo liberistico; anzi negò in più occasioni che essa segnasse un reale abbandono dell'economia di mercato (Saggi critici, I, Bologna 1936, pp. 46-66). Il suo ralliement alla politica mussoliniana fu pubblicamente dichiarato il 9 dic. 1935, in un discorso sulle sanzioni imposte dalla Società delle nazioni per la guerra italiana in Etiopia (Le sanzioni economiche, ibid., pp. 157-183).
Ma più che di un'adesione ideologica al regime, si trattò, per il G., come per parecchi altri esponenti del mondo politico prefascista (egli ricordava esplicitamente l'esempio di V.E. Orlando), del dovere, da loro avvertito, di stringersi intorno al governo del proprio paese e al suo capo, in un frangente che sembrava richiedere una totale solidarietà nazionale. Nello stesso periodo, tuttavia, polemizzava contro quanti volevano trasformare l'emergenza dell'"assedio" economico in un'organica politica di autarchia, e auspicava, invece, la ripresa prossima della tradizionale amicizia con l'Inghilterra e degli scambi internazionali (ibid., pp. 152 s.).
Furono perciò la svolta "antiborghese" impressa da Mussolini negli anni successivi, la politica autarchica, l'alleanza tedesca e la politica razziale ad allontanare di nuovo il G. dal regime: con lo scoppio della seconda guerra mondiale, rinnovò i contatti con ambienti fascisti in odore di dissidenza, in particolare con D. Grandi, che conosceva da quasi trent'anni e che nel 1919-20 aveva collaborato alla Libertà economica. Quando, dopo complesse vicende, Il Resto del carlino passò in proprietà di Grandi (18 apr. 1940) e prese a essere diretto da G. Telesio (17 nov. 1940), vi tornò a comparire la firma del G. (Onofri, I giornali bolognesi nel ventennio fascista, pp. 121 s.).
Nel 1942, al profilarsi della sconfitta militare, il G. fece discrete avances ancora presso Grandi in vista di un accordo fra antifascisti e fascisti moderati, per liquidare Mussolini e rompere l'alleanza con la Germania (R. De Felice, Mussolini l'alleato 1940-1945, I, L'Italia in guerra 1940-1943, Torino 1990, p. 1157). Si spiega così come, dopo la caduta di Mussolini, Grandi, che si preoccupava di mantenere il controllo politico del Resto del carlino, pensasse proprio al G. come direttore.
Egli ne assunse la guida il 28 luglio 1943, con una linea inizialmente "patriottica" e badogliana, ma che, col precisarsi della situazione, assunse sempre più un contenuto antifascista (i suoi articoli di allora furono ristampati in Travaglio per la libertà 1943-1947, Bologna 1962, pp. 41-130, preceduti da una circostanziata presentazione).
La sua direzione ebbe termine l'8 settembre: condannato a trent'anni da un tribunale della Repubblica sociale italiana, il G. lasciò Bologna e si rifugiò con la famiglia nelle Marche, dove visse in una situazione di semiclandestinità prima a Pioraco, presso Camerino, poi nel convento dei frati minori di Camerino, infine nel piccolo paese di Capolapiaggia. Nel vicino borgo di Lategge, durante un rastrellamento tedesco, fu ucciso il figlio Luigi ed egli stesso venne ferito (24 giugno 1944).
Dopo la liberazione della regione, il G. riprese i contatti col PLI, che intanto si era ricostituito; non vi occupò, però, il ruolo eminente che aveva ricoperto precedentemente, per il bisogno, che il partito avvertì, di una rifondazione rispetto alla prima fase della sua storia. Fu tuttavia designato a far parte della Consulta nazionale, riunitasi per la prima volta il 25 sett. 1945, mentre, nel giugno successivo, non fu eletto all'Assemblea costituente. Il 24 ott. 1945 iniziavano a Firenze le pubblicazioni del quotidiano liberale La Patria, che il G. diresse fino al 20 apr. 1947.
Il giornale si impegnò in difesa dell'istituto monarchico in vista del referendum istituzionale, in polemica continua contro i socialcomunisti e a favore dell'impegno occidentale in politica estera, e salutò con favore la formazione del quarto governo De Gasperi (31 maggio 1947), che escludeva definitivamente le sinistre, e in cui L. Einaudi fu ministro delle Finanze e Tesoro e vicepresidente del Consiglio (un'ampia scelta degli articoli della Patria in Travaglio per la libertà 1943-1947, pp. 167-513).
Eletto deputato il 18 apr. 1948, il G. entrò come ministro senza portafoglio nel sesto governo De Gasperi (14 maggio 1948 - 14 genn. 1950): fece parte della commissione ministeriale che seguì l'applicazione del Piano Marshall e ne difese l'operato in Senato il 31 luglio 1948 (Il Piano Marshall, il commercio e la pace, Roma 1948); come pure (discorso in Senato del 15 dic. 1949) si adoperò per un aumento generalizzato del trattamento economico, falcidiato dall'inflazione, dei dipendenti statali (Miglioramenti economici per gli statali, ibid. 1950). Nel luglio 1949, il G. fu chiamato a far parte della delegazione italiana all'assemblea del Consiglio d'Europa, che si riunì a Strasburgo il 10 agosto successivo.
Nelle polemiche interne del suo partito, egli assunse una posizione di centrodestra, fondamentalmente ostile alla vivace sinistra liberale, che finì per abbandonare in più riprese il PLI; dal IV congresso (dicembre 1947), che decise di stretta misura l'alleanza elettorale coi qualunquisti, il G. fu eletto vicepresidente del partito (A. Ciani, Il partito liberale da Croce a Malagodi, Napoli 1968, pp. 60-67).
Non rieletto deputato il 7 giugno 1953, si ritirò dalla politica attiva, dedicandosi a una frequente attività pubblicistica e giornalistica, che continuò fino alla vigilia della morte.
Morì a Bologna il 20 apr. 1969.
Non esiste una compiuta bibliografia dei suoi scritti, dispersi su riviste: a numerosi equivoci ha dato origine, poi, l'omonimia col giornalista di estrema destra Alberto Giovannini. Oltre ai saggi già ricordati, segnaliamo: G. Modena. Commemorazione del I centenario della sua nascita, tenuta in Bologna…, Parma 1903; R. Cobden e la Lega di Manchester, Jesi 1905; Per l'inaugurazione della bandiera del r. istituto commerciale di Bologna…, Bologna 1914; Sulle critiche fatte dalle Camere di commercio di Brescia e di Firenze ai nuovi programmi d'insegnamento nelle r. scuole medie di commercio, ibid. 1914; Prefazione a U. Trevisanato, Libertà di commercio e politica annonaria nel dopoguerra, ibid. 1924; Il piano del produttore privato, ibid. 1942; Vecchie e nuove teorie economiche, ibid. 1943; Da solo a solo con Lui!, in Roma, la guerra, il papa, a cura di L. Gessi, Roma 1945, pp. 45 ss.; I problemi della libertà, ibid. [1946]; Economia liberale, in Saggi storici sul liberalismo italiano, Perugia [1953], pp. 341-372; Il Partito liberale italiano, Milano 1958; La Chiesa, lo Stato e i partiti, Firenze 1963; una testimonianza in Vittorio Fossombroni, 3 sett. 1882 - 6 ag. 1963, ibid. 1964, pp. 7-11; I precedenti della Conciliazione da Cavour a Orlando, in I cattolici italiani dall'800 ad oggi, Brescia 1964, pp. 221-240; una testimonianza anche in L. Bergonzini - L. Arbizzani, La Resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti. La stampa periodica clandestina, II, Bologna 1969, pp. 151-157.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Direz. gen. dell'Istruz. superiore, 1896-1910, b. 158, fasc. G. A. (esame di libera docenza); Ibid., Ministero dell'Interno, Direz. gen. di Pubblica Sicurezza, A.1, 1943, b. 41, fasc. G. A. (lettera anonima, Bologna 18 ag. 1943, sull'attività del G. durante il fascismo); Torino, Fondazione Luigi Einaudi, Archivio Einaudi, 14 lettere, 1906-60; Ibid., Archivio Michels, una lettera, 1907; Pisa, Domus Mazziniana, Fondo O. Zuccarini, F.II e 17/1-29, 9 lettere e 20 cartoline postali (16 genn. 1904 - 19 apr. 1906); Fondo A. Ghisleri, A.VI.g 17/1-5, 3 lettere e 2 cartoline postali (3 ag. 1905 - 25 ott. 1907); Verbali del Consiglio dei ministri. Luglio 1943 - maggio 1948, a cura di A.G. Ricci, V, 1-2, Roma 1995, pp. 402, 417, 432, 595, 767.
Necr. in Il Resto del carlino, 21 apr. 1969 (molto impreciso); G. Pollorini, Ricordo di A. Giovannini. Parole commemorative… nella sede della sezione veronese del PLI, il 4 maggio 1969, Verona 1970. Vedi anche: A. Pellicani, Il filo nero, Milano 1968, pp. 113-120; R. Colapietra, B. Croce e la politica italiana, I-II, Bari 1969-70, ad indicem; N.S. Onofri, La strage di palazzo d'Accursio. Origine e nascita del fascismo bolognese, Milano 1980, ad indicem; A. Cardini, La cultura economica italiana e l'età dell'imperialismo (1900-1914), Milano 1981, pp. 32 ss.; D. Grandi, Il mio paese. Ricordi autobiografici, a cura di R. De Felice, Bologna 1985, p. 108.