JACOMETTI, Alberto
Nacque il 10 marzo 1902 a San Pietro Mosezzo, in provincia di Novara, da Giuseppe, piccolo possidente di campagna, e da Anna Magni. Iscrittosi alla facoltà di agraria, cominciò a collaborare a vari fogli socialisti novaresi, tra i quali Il Lavoratore e La Parola socialista, e coltivò interessi letterari, pubblicando, nel 1923, il dramma Fango nel sole (Bologna). Nel 1924 conseguì la laurea e s'iscrisse al Partito socialista unitario (PSU), in un momento in cui questo partito, con il dilagare della violenza fascista, vedeva assottigliarsi le proprie file. Raccolto intorno a sé un gruppo di operai e studenti che pubblicavano il foglio clandestino Basta!, nell'estate 1925 fu vittima di un'aggressione da parte dei fascisti.
Dopo aver compiuto il servizio militare come ufficiale di complemento a Bologna, nel gennaio 1926 lo J. si trasferì per alcuni mesi in Spagna, a Barcellona, dove per guadagnarsi da vivere impartiva lezioni private e scriveva novelle per alcune riviste letterarie. Rientrato in Italia, subì una nuova aggressione fascista e, il 26 dicembre, scelse definitivamente la via dell'esilio, stabilendosi a Parigi.
Qui allacciò rapporti con altri fuorusciti italiani, mentre per mantenersi si adattava a svolgere i più disparati mestieri, dal meccanico al bancario, dal viaggiatore di commercio al correttore di bozze.
Ripudiato il gradualismo riformista, nel marzo 1928 lo J. fondò, insieme con l'anarchico C. Berneri e il repubblicano S. Schettini, L'Iniziativa, una rivista aperta alla collaborazione di antifascisti di varie tendenze, della quale assunse la direzione. Il 15 febbr. 1929 venne espulso dalla Francia e si rifugiò a Bruxelles, dove trovò lavoro come chimico presso i laboratori Meurice e collaborò a Le Peuple, organo del partito operaio belga.
Dal Belgio inviò articoli e corrispondenze, firmandosi Giacometti, all'Avanti! di Zurigo, al Nuovo Avanti! di Parigi, a La Libertà, organo della Concentrazione antifascista, e a I Problemi della rivoluzione italiana. Nel 1932 diede alle stampe a Marsiglia l'opuscolo Italia socialista, nel quale prefigurava, dopo la caduta del fascismo, l'instaurazione di una repubblica socialista di tipo federale.
Per sostenere con maggiore efficacia le sue convinzioni lo J. decise di non limitarsi più alla sola attività pubblicistica ma di impegnarsi direttamente nella vita di partito, partecipando, nell'aprile 1933, al congresso socialista di Marsiglia. L'anno successivo, rientrato in Italia per visitare il padre morente, fu arrestato alla stazione di Chiasso, ma dopo diciassette giorni di prigione venne rilasciato e poté ritornare in Belgio.
L'arresto e la breve detenzione attirarono sullo J. qualche malevolo sospetto e indussero la direzione socialista a infliggergli un anno di sospensione dalle cariche di partito.
Dal 1935 al 1937 fu segretario della sezione belga del Partito socialista italiano (PSI), condividendo la nuova linea d'intesa con il Partito comunista; nel 1936 divenne anche membro del comitato di coordinamento del Fronte unico socialcomunista.
Al congresso del PSI, tenutosi l'anno seguente a Parigi, sostenne che il patto d'unità d'azione sarebbe dovuto essere il primo passo verso l'unità organica tra i due partiti. Entrò quindi nel comitato dell'Unione popolare italiana, costituita a Lione il 28-29 marzo 1937 da comunisti e socialisti e rivolta a coinvolgere anche gli operai fascisti con la parola d'ordine "pane, pace, libertà". Nello stesso anno lo J. si recò in missione in Spagna; a Barcellona prese contatto con Berneri e con altri italiani della Brigata Durruti, tra i quali R. Giua, G. Bassanesi, L. Battistelli.
Nominato delegato italiano presso l'Internazionale operaia e socialista, nel maggio 1940, in seguito all'occupazione tedesca del Belgio, riparò in Francia, da dove tentò invano, insieme con altri fuorusciti, di raggiungere gli Stati Uniti. Espulso dalla Francia, dovette rientrare in Belgio, dove, il 24 novembre, su richiesta del governo fascista, venne arrestato dalla Gestapo ed estradato in Italia. Fu rinchiuso nelle carceri di Novara e il 28 febbr. 1941 condannato a cinque anni di confino, che scontò nell'isola di Ventotene fino all'agosto 1943, allorché venne liberato.
Tornato a Novara, assunto il nome di battaglia di Andrea, si impegnò nella ricostruzione del partito socialista, di cui divenne segretario provinciale, e curò la pubblicazione del foglio clandestino Bandiera rossa. Il 21 settembre ad Arona fu tra i promotori del Comitato di liberazione nazionale (CLN) della provincia di Novara, del quale continuò a far parte come delegato socialista. Dopo la Liberazione fu confermato alla guida della federazione socialista di Novara, assunse la direzione dell'organo locale del partito, Il Lavoratore, e fu eletto nel Consiglio comunale. Chiamato a far parte della direzione nazionale del partito, il 2 giugno 1946 lo J. fu eletto all'Assemblea costituente nella circoscrizione Torino-Novara-Vercelli. In vista delle elezioni politiche del 18 apr. 1948, pur essendo fautore dell'unità d'azione con il Partito comunista italiano (PCI), si dichiarò contrario alla formazione di liste comuni tra socialisti e comunisti. La sconfitta del Fronte democratico popolare in quelle consultazioni, che impedì allo J. di essere eletto alla Camera, produsse una grave crisi in seno al partito socialista. Al congresso nazionale straordinario, convocato a Genova dal 27 giugno al 1° luglio 1948, la segreteria di L. Basso finì sotto accusa e la maggioranza fu conquistata dalla corrente di Riscossa socialista, alla quale lo J. aderiva.
Questa propugnava l'opposizione intransigente al governo, la neutralità in politica estera, l'accettazione del Piano Marshall e, per quanto riguardava i rapporti con il PCI, riconfermava la politica unitaria ma in un quadro di maggiore autonomia del PSI.
Lo J. apparve allora come la persona più indicata a perseguire tale linea politica e fu pertanto eletto segretario del partito.
La segreteria Jacometti manifestò subito la propria debolezza politica, che rese vano il tentativo di collocare il PSI in una posizione intermedia tra il neofrontismo di P. Nenni e la via socialdemocratica, intrapresa un anno e mezzo prima da G. Saragat e alla quale guardava la destra interna di G. Romita.
Al XXIII Congresso nazionale del PSI (Firenze, 11-15 maggio 1949) prevalse la mozione della sinistra, firmata da Nenni, Basso, S. Pertini, e R. Morandi, che portò alla segreteria lo stesso Nenni. Il 7 giugno 1953 lo J. fu eletto deputato nella circoscrizione Torino-Novara-Vercelli e venne riconfermato, nella medesima circoscrizione, nelle successive elezioni del 1958 e del 1963. Membro del comitato centrale e della direzione del PSI e presidente del collegio nazionale dei probiviri, nel 1968 fu ricandidato alla Camera ma non riuscì eletto. Da allora lo J. si dedicò prevalentemente all'attività pubblicistica e divise il suo impegno tra l'Associazione ricreativa culturale italiana (ARCI), di cui nel 1957 era stato uno dei fondatori divenendone presidente, l'Associazione nazionale partigiani italiani e l'Istituto storico della Resistenza di Novara. In forte dissenso con la linea politica impressa da B. Craxi, nel 1984 abbandonò il partito socialista.
Lo J. morì a Novara il 10 genn. 1985.
Delle opere dello J. si ricordano ancora: Le origini del fascismo, Nancy 1938; La riforma agraria, Milano-Roma 1945; Ventotene, Milano 1946; Il diavolo stanco, Roma 1949; Gli scoiattoli, Novara 1952; Quando la storia macina. Quindici anni di esilio, ibid. 1952; Uomini (e donne) al bivio, Roma 1954; Temporale in risaia, Novara 1956; L'Enal, una bandita chiusa, Milano-Roma 1956; Il filo di Arianna. Ricordi di un uomo politico, Firenze 1957; L'ARCI, il circolo, il tempo libero, Roma 1959; Mia madre, Milano-Roma 1960; Il tempo libero ed i lavoratori, Firenze 1960; Donna in piedi, Roma 1964; L'uomo e il bosco, ibid. 1965; Edesanyam, Budapest 1966; Dio se ne frega, Roma 1967; Centenario della nascita di Giuseppe Masserenti (1867-1967), Bologna 1967; La fata Morgana e il pinguino, Milano 1981.
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