LEONI, Alberto
Nacque l'8 sett. 1563 a Revere, un piccolo centro vicino a Mantova, da "honesti parenti" di cui non conosciamo l'identità. Nell'ultimo quadrimestre del 1580 vestì l'abito dei carmelitani della congregazione mantovana dell'osservanza presso il locale convento, dove presumibilmente aveva appreso i primi rudimenti di grammatica. Dopo avere compiuto un anno di noviziato a Mantova, nel corso del 1581 chiese e ottenne di essere inviato a Firenze, presso S. Maria delle Selve, dove fu affidato a un maestro: con ogni probabilità qui ricevette la tonsura e gli ordini minori. Successivamente si recò nel convento di S. Giovanni in Conca a studiare in preparazione del sacerdozio, che ottenne al termine del 1588. Nei due anni successivi svolse un primo periodo di apostolato nelle Marche, in particolare presso Macerata e a Monterubbiano, presso Fermo.
Il L., che nel frattempo conobbe Giovan Battista Vitelli, fondatore dell'Oratorio del Buon Gesù a Foligno e promotore di varie iniziative assistenziali, esercitò anch'egli un'intensa attività di istruzione religiosa e di recupero sociale nei confronti di prostitute ed emarginati. Dopo un esame del vescovo Galeazzo Moroni, si dedicò anche all'attività di esorcista, che avrebbe esercitato regolarmente negli anni successivi. Dalla metà circa del 1590 attese al proprio ministero sacerdotale risiedendo a Roma, nel convento di S. Crisogono. Nei mesi successivi, soprattutto in occasione di una grave epidemia che colpì la città in conseguenza di un periodo di carestia, si dedicò prevalentemente all'assistenza degli infermi. Nell'Urbe il L., secondo le fonti biografiche, incontrò forse Filippo Neri, ma soprattutto si rese noto presso la corte di Clemente VIII come esorcista e guaritore di ossessi. In particolare destò clamore la notizia che fosse riuscito a sanare un figlio di Veit von Dornberg, ambasciatore imperiale a Roma. Verosimilmente nella seconda metà del 1593 il L. tornò a Firenze, dove sarebbe rimasto ininterrottamente per circa cinquant'anni.
Per lo scorcio del Cinquecento e l'alba del secolo successivo le notizie puntuali sul L. sono scarse: da alcuni documenti risulta che dall'estate del 1596 rivestisse la carica di procuratore presso il convento di S. Maria Maggiore. Di sicuro, comunque, il L. iniziò a svolgere in modo assiduo una serie di attività che nel volgere di pochi anni lo avrebbero fatto divenire uno dei protagonisti della vita religiosa della città. Oltre alla pratica esorcistica, il L. continuò infatti ad assistere malati e infermi, specializzandosi in particolar modo nel conforto dei moribondi. Come confessore e direttore spirituale frequentò i monasteri femminili delle carmelitane di S. Maria degli Angeli, delle domenicane della Crocetta e soprattutto delle carmelitane della sua congregazione, a S. Barnaba, ma già in questa prima fase del periodo fiorentino non mancò di ricevere anche membri del clero regolare e soprattutto laici di diversa estrazione sociale, compresi vari membri del patriziato.
Lungo e significativo fu il rapporto con il figlio spirituale Ippolito Galantini, fondatore della Congregazione di S. Francesco della Dottrina cristiana, che egli frequentò a partire dal 1600 e fino alla morte di quest'ultimo, avvenuta il 20 marzo 1620. Nel corso del successivo processo di beatificazione il L., nella sua testimonianza del 23 luglio 1622, rievocò soprattutto una denuncia senza esito raccolta sei anni prima dall'inquisitore di Firenze nei confronti del Galantini, in seguito alla quale il rapporto di direzione spirituale si era intensificato. Grazie a un biglietto autografo del Galantini, risalente alla fine del 1639, conosciamo il contenuto dei consigli impartiti dal L. al proprio figlio spirituale in un momento di profondo scoramento, poco prima che questi fosse costretto definitivamente a letto da una malattia che lo condusse a morte.
Il 23 apr. 1604 il L. fu ufficialmente affiliato al convento di S. Maria Maggiore e circa tre mesi più tardi richiese di ritirarsi in una cella particolarmente isolata, per coltivare le proprie attitudini contemplative e dedicarsi alla penitenza. In questo torno di anni, nei quali probabilmente conobbe anche Maria Maddalena de' Pazzi, la considerazione di cui godette all'interno del convento crebbe considerevolmente, tanto che il 21 apr. 1610 fu scelto come compagno del priore per il capitolo generale e nel maggio 1616 divenne priore a sua volta. All'inizio del settembre 1614 il L. ebbe modo di avvicinare il granduca Cosimo II, assistendolo in occasione di una malattia che faceva temere per la sua stessa vita. Fu l'inizio di uno stretto rapporto con la casa de' Medici che avrebbe segnato tutta la parte restante della sua esistenza.
Se infatti da questo momento sia Cosimo II sia poi il figlio di questo Ferdinando II tennero in grande considerazione il L., furono soprattutto varie donne della famiglia a subirne profondamente l'influenza. In particolare la granduchessa Cristina di Lorena e la principessa Maria Maddalena de' Medici, rispettivamente madre e sorella di Cosimo II, divennero sue figlie spirituali; la seconda, in seguito ai consigli del L., concepì addirittura il proposito, poi realizzato, di abbracciare la vita claustrale. Il L. fu consigliere spirituale anche di altre donne appartenenti alle famiglie più influenti di Firenze: ricordiamo in particolare Costanza Magalotti Barberini, cognata di Urbano VIII, e, a partire dall'inizio del 1634, Camilla Strozzi, che sarebbe poi entrata nel monastero carmelitano di S. Maria degli Angeli.
Negli anni successivi il L. concepì il progetto di realizzare una riforma dei conventi carmelitani secondo una perfetta vita comune e una più rigorosa osservanza del voto di povertà: è probabile che in questo senso influissero anche le suggestioni tratte dalla Vita di Caterina de' Ricci, scritta dal domenicano fiorentino Serafino Razzi, che risulta essere stata l'unica sua lettura certa. Nel maggio 1618, in occasione del capitolo generale del suo Ordine, si recò a Bologna e, forte degli aiuti finanziari e delle lettere di approvazione dei Medici, ottenne di poter attuare i suoi propositi nel piccolo convento quasi deserto di S. Lucia alla Castellina, vicino a Firenze. Esattamente due anni dopo si svolse il primo capitolo alla Castellina, che ne sancì l'autonomia da S. Maria Maggiore, proclamando il vicariato a vita del Leoni. Il 5 luglio 1622 Gregorio XV confermò questo stato di cose con un breve: da questo momento il convento di S. Lucia fu sempre più interessato dallo sviluppo concreto delle istanze riformatrici, i cui effetti si sarebbero conservati per circa un secolo, ma anche dalla ristrutturazione materiale e soprattutto dall'edificazione di una nuova chiesa, terminata nel 1629. Il L. in questi anni tentò di estendere le innovazioni anche al convento di S. Maria Maggiore, senza successo, e a S. Maria delle Selve, con esito positivo. A questo fine, infatti, prima conquistò il consenso dei frati delle Selve e poi, in occasione del capitolo generale che si svolse a Parma nella primavera 1632 - dove tra l'altro il L. era stato anche abilitato per essere eletto vicario generale della congregazione mantovana -, si procurò l'approvazione dei superiori. Poco dopo fu redatto il decreto di aggregazione con la Castellina, connesso in modo inderogabile con il vincolo delle riforme, cui seguì in breve tempo l'istituzione del noviziato; nel secondo cenobio, del quale il L. fu eletto priore nel 1634, gli influssi dell'innovazione si sarebbero però esauriti dopo nemmeno cinquant'anni.
All'inizio degli anni Trenta la considerazione generale e il prestigio del L. presso la corte granducale erano cresciuti tanto che Urbano VIII ritenne di potergli affidare il vescovato di Colle, ma egli, restio ad assumersi questo genere di responsabilità e sempre più afflitto dalla perdita della vista e da gravi disturbi di salute, si defilò: verosimilmente in questo stesso periodo ricusò anche la presidenza dell'arcispedale di S. Maria Nova e il priorato del brefotrofio di S. Maria. Nel 1636 il L. fondò invece una casa dei catecumeni, divisa in due sezioni per ricevere ospiti di entrambi i sessi, la cui attività sarebbe stata rivolta soprattutto alla conversione, all'assistenza e all'istruzione di ebrei, ma anche di altri infedeli, che affidò a una confraternita costituita da autorevoli cittadini.
Nell'ultima parte della vita il L. concepì il proposito decisamente innovativo di istituire un ospedale specializzato nella custodia dei pazzi, proprio quando si stava cercando di varare un ospizio per i mendicanti e il granduca Ferdinando II aveva da poco fondato l'ospedale di S. Paolo, per i malati convalescenti.
Con ogni probabilità il L. si rese conto di questa necessità svolgendo l'ufficio di cappellano nel carcere fiorentino delle Stinche, dove tra tutti gli altri detenuti si trovavano segregati anche vari folli, ed è praticamente certo che si ispirasse all'esempio di S. Maria della Pietà di Roma, primo istituto di questo tipo in Italia sorto circa un secolo prima, i cui statuti erano ampiamente conosciuti nella città medicea.
Il L. all'inizio del 1642 ottenne l'approvazione di Piero Niccolini, arcivescovo di Firenze, e sempre a questo fine ricevette un'ingente donazione da parte di un ignoto personaggio. In questi mesi stilò anche una Istruzione per ereggere un hospitale de pazzi e alcune Volontà di padre Alberto, nelle quali articolava un modello preciso di ospedale.
Le concezioni del L. si configurano in senso tradizionale e sembrano basarsi esclusivamente su esigenze caritatevoli; in esse non si ha alcuna traccia dell'enunciazione di precisi principî curativi né tanto meno si delinea un criterio per individuare la pazzia. L'opera secondo il L. avrebbe dovuto essere gestita da un gruppo di dodici governatori secolari, in maniera indipendente dalla Chiesa locale ma anche dal potere secolare. Non avrebbe dovuto possedere immobili e, in base a una certificazione spettante non ai medici, bensì ai parroci e a "gentiluomini" degni di fede, avrebbe dovuto accogliere sia pazzi poveri, accettati solo per carità, sia benestanti, che in questo caso avrebbero pagato un canone proporzionato alle loro sostanze, proprio come accadeva nell'ospedale romano. Le istruzioni del L. si diffondono, infine, sull'organizzazione materiale, sul personale della casa, e sull'ubicazione più idonea.
L'iniziativa personale del L. indispettì Alessandro Vettori, auditore della Regia Giurisdizione, il quale, temendo che il mantenimento dell'ospedale gravasse sull'Erario e soprattutto che la Chiesa locale si intromettesse nella sua gestione, sottopose la questione al segretario di Stato Giovan Battista Gondi.
Il L. d'altra parte, caduto infermo alla fine di marzo, morì a Firenze il 16 apr. 1642, senza poter vedere realizzato il suo coraggioso progetto. La salma fu inumata in S. Maria Maggiore a Firenze; nel giugno 1648 fu traslata nel convento della Castellina, dove sarebbe rimasta definitivamente.
L'impresa fu continuata dai confratelli Angelo Sivioli e soprattutto Giovanni Antonio Diciotto, affiancati da alcuni patrizi fiorentini, resisi disponibili per svolgere l'ufficio di governatori. In ogni caso, giunta l'approvazione granducale il 20 genn. 1643, l'ospedale fu ufficialmente istituito il 6 febbraio successivo con il nome di Pia Casa di S. Dorotea de' Pazzerelli, e i suoi capitoli iniziali ricalcarono le istruzioni del Leoni. Tuttavia, a causa soprattutto dell'insufficienza dei legati e delle elemosine ricevute nel periodo successivo, il camerlengo Francesco Quaratesi elaborò già nell'agosto 1646 delle nuove norme che disattendevano sensibilmente i dettami del L., escludendo tra l'altro dalla Casa tutti coloro che non potevano pagare la retta. L'ospedale fu però pronto a ricevere degenti solo nella primavera del 1647, a cinque anni dalla morte del Leoni.
Fonti e Bibl.: G.M. Quilici, La memoria di un giusto, ravvivata nella vita esemplare del venerabile servo d'Iddio p. A. L. carmelitano, Lucca 1685, pp. XVI-76; M.E. Luti, Il ven. padre A. L. da Revere, carmelitano della congregazione mantovana, Firenze 1960; V. Biotti, Il folle nella società fiorentina e toscana del XVI e XVII secolo e la nascita di S. Dorotea de' Pazzerelli, in Follia, psichiatria, società. Istituzioni manicomiali, scienza psichiatrica e classi sociali nell'Italia moderna e contemporanea, a cura di A. De Bernardi, Milano 1982, pp. 171, 194-197, 199; G. Aranci, Formazione religiosa e santità laicale a Firenze tra Cinque e Seicento…, Firenze 1997, ad ind.; "Un luogo della città per custodia de' pazzi". S. Dorotea dei Pazzerelli di Firenze nelle delibere della sua Congregazione (1642-1754), a cura di G. Magherini - V. Biotti, Firenze 1997, pp. 12 s.; E. Stumpo, I bambini innocenti. Storia della malattia mentale nell'Italia moderna (secoli XVI-XVIII), Firenze 2000, ad ind.; L. Roscioni, Il governo della follia. Ospedali, medici e pazzi nell'Italia moderna, Milano 2003, ad indicem.