Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Intorno alla metà del XIII secolo Alberto Magno fonda a Colonia lo Studium Generale dei Domenicani. Si apre così in Germania un dibattito filosofico apparentemente periferico (o provinciale), a cui partecipano le migliori personalità dell’ordine. Questo gruppo di intellettuali condivide l’interesse per temi e testi non in voga a Parigi, Oxford o Bologna: felicità mentale, visione beatifica, deificazione dell’uomo, statuto dell’immagine divina nell’uomo sono questioni che da Alberto Magno a Bertoldo di Moosburg dominano il panorama culturale tedesco, grazie anche alla riscoperta del pensiero islamico e greco, in particolare di Proclo.
Alberto Magno
Solo l’uomo è il nesso fra Dio e uomo, perché ha l’intelletto divino, e attraverso questo talvolta si eleva tanto sopra il mondo, che anche la materia del mondo segue i suoi pensieri, come vediamo negli uomini di temperamento ottimo, i quali con le loro anime operano trasformazioni dei corpi del mondo, così che vengon detti fare miracoli.
Alberto Magno, Sugli animali, a cura di H. Stadler, 1916-1920
Teodorico di Freiberg
L’intelletto
De intellectu et intelligibili
L’intelletto di cui si parla non procedette all’essere come gli altri enti, ma procedendo intellettualmente secondo un certo deflusso formale della sua essenza da quell’essenza somma e formalissima che è Dio, e traendo la sua essenza dal fatto che pensa quella somma essenza. E così è ciò che è essenzialmente nella sua sostanza pensando se stesso come un pensiero di se medesimo in virtù della sua essenza, ciò che originalmente e principalmente deriva dal fatto che pensa il suo principio. E così emana in modo intellettuale da ques’ultimo così che la sua sostanza non è altro che una certa concezione con cui concepisce e pensa il suo principio, senza il quale non potrebbe pensare la propria essenza.
Corpus philosophorum teutonicorum Medii Aevi, II, 1, a cura di B. Mojsisch, Hamburg, Meiner, 1977
Alberto Magno nasce intorno al 1200 a Lauingen in Svevia. Nel 1223 è studente della Facoltà delle Arti a Padova. Rientrato in Germania comincia una rapida carriera nell’ordine dei Domenicani. Agli inizi degli anni Quaranta viene inviato per studi di perfezionamento a Parigi, dove, dopo aver letto le Sentenze di Pietro Lombardo, nel 1245 conquista i gradi di maestro di teologia e insegna per tre anni sulla cattedra destinata ai Domenicani non francesi. In questo periodo compone il commento alle Sentenze e la cosiddetta Summa de creaturis. Nel 1248 Alberto si trasferisce a Colonia, incaricato di fondare nella metropoli renana lo Studium generale, un istituto superiore di studi, che in Germania svolge il ruolo di un’università sino alla fondazione della prima università tedesca (Praga, 1348). Lo accompagna il giovane Tommaso d’Aquino che nel 1249 ascolterà le sue lezioni sul corpus di scritti dello Pseudo Dionigi Aeropagita. Il 1250 segna una svolta nell’attività intellettuale di Alberto: a Colonia infatti tiene una serie di lezioni sull’Etica Nicomachea di Aristotele, che il francescano Roberto Grossatesta traduce interamente in quegli anni. Alberto inizia contemporaneamente l’esposizione sistematica di tutti gli scritti di Aristotele, attività che dura sino al 1263, anno in cui commenta la Metafisica.
Le esposizioni albertine, condotte in forma di parafrasi, sono caratterizzate da ampie digressioni, che servono, nell’intenzione dell’autore, a colmare o chiarire alcuni luoghi oscuri del testo aristotelico. In queste digressioni Alberto utilizza ampiamente posizioni della tradizione filosofica islamica e greca, non soltanto aristotelica, ma anche platonica, convinto che la formazione del filosofo non è completa se non con la conoscenza delle filosofie di Aristotele e Platone. Dal 1254 al 1257 Alberto è priore provinciale dei Domenicani di Germania, nel 1256-1257 dimora presso la curia papale, nel 1260 è eletto vescovo di Regensburg. Dimessosi due anni dopo da questa carica e terminata una lunga serie di viaggi di predicazione in Germania, si stabilisce nel 1264 a Würzburg. Al periodo immediatamente successivo risale la maggior parte dei suoi commenti alla Bibbia. Nel 1268 a Strasburgo conclude il ciclo delle sue esposizioni delle opere aristoteliche con l’importante commento al Libro delle cause (Liber de causis), considerato ancora come il testo teologico di Aristotele. Dal 1270 alla morte, avvenuta nel 1280, risiede a Colonia, dove si dedica alla stesura della sua ultima opera, la Summa de mirabili scientia dei.
Alberto deve la sua fama soprattutto all’ampia produzione filosofico-scientifica, svolta quasi per intero in forma di esposizioni di testi aristotelici o pseudo-aristotelici. Questo ampio e sistematico progetto, che impegna Alberto per ben 15 anni, libera per la prima volta le Facoltà delle Arti dalla sudditanza alle parafrasi di Avicenna e Averroè, e costituisce la premessa per l’adozione dei testi aristotelici nel programma degli studi dell’ordine domenicano (Capitolo di Valenciennes, 1259). La fondamentale apertura culturale che caratterizza i commenti di Alberto mira più a comprendere ed esplicare le ragioni delle diverse posizioni espresse dalle varie tradizioni filosofiche, che a esprimere giudizi sulla base della teologia cristiana. La posizione di Alberto è chiara: il metodo utilizzato negli scritti di Aristotele è a suo parere l’unico strumento valido per un’investigazione scientifica della natura e dell’uomo. Nel procedere secondo le sue deduzioni scientifiche la filosofia può e deve prescindere totalmente dalla rivelazione, cioè dalle certezze del discorso teologico.
Alberto è convinto che i conflitti tra ragione filosofica e ragione teologica siano causati da deroghe alla necessità naturale dovute al libero intervento di Dio sul corso della natura. Al di là del suo valore epistemologico, la posizione di Alberto ha un dirompente rilievo politico-culturale, perché, nonostante riconosca come ultima istanza di verità la rivelazione del teologo, ne delegittima di fatto la presunzione di competenza filosofica legalizzando in blocco la teologia pagana. Alla base della speculazione di Alberto sta una solida e articolata filosofia della natura, assai lontana dalla tradizionale interpretazione simbolica allora diffusa tra i suoi colleghi della Facoltà di Teologia. L’universo è, secondo Alberto, governato da leggi naturali dipendenti dagli influssi esercitati dagli astri sul mondo terreno attraverso i loro movimenti. In questo cosmo governato da un tipo di necessità astrologico-ermetizzante, compete all’uomo una posizione particolare in virtù dell’intelletto che lo fa libero e lo rende nesso tra Dio e mondo. Alberto argomenta la libertà e la dignità dell’uomo sia attraverso un’analisi teologica, che mediante un’analisi filosofica dell’universalità della ragione condotta sotto l’influsso di Averroè. L’uomo, infatti, in quanto immagine di Dio, è un essere dotato di intelletto e in questo risiede la sua peculiarità. Nell’esercizio della ragione, l’uomo comprende che il suo intelletto in quanto tale, ovvero a prescindere dal fatto di essere l’intelletto di un uomo determinato, ha un’origine divina, nella cui scoperta consiste, secondo Alberto, la vera felicità dell’uomo. Si tratta però di un tipo di perfezione intellettuale a cui tutti gli uomini possono aspirare in quanto esseri dotati di ragione, ma che non tutti possono raggiungere a causa di impedimenti fisici o morali. Destinatario del messaggio albertino non è dunque l’uomo in quanto tale, ma piuttosto lo scienziato e il filosofo.
La dottrina albertina dell’intelletto e della felicità mentale, nella quale confluiscono motivi averroistici, aristotelici, neoplatonici ed ermetici viene ripresa e sviluppata dalla cosiddetta Scuola di Colonia, ovvero da alcuni Domenicani tedeschi che a vario titolo frequentano lo Studium generale. Di questo gruppo di intellettuali fanno parte Nicola di Strasburgo, Giovanni Picardi di Lichtenberg, Enrico di Lubecca, Ulrico di Strasburgo, Teodorico di Freiberg, Meister Eckhart e Bertoldo di Moosburg, le cui opere sono in massima parte ancora inedite o poco conosciute.
Il primo dei discepoli di Alberto Magno è Ulrico di Strasburgo, che segue le sue lezioni a Colonia. Ulrico è autore di un’imponente opera in sei libri Sul Bene sommo (De summo bono), che rivela un influsso notevole del testo dello Pseudo Dionigi Aeropagita Sui nomi divini (De divinis nominibus) e soprattutto delle opere di Alberto. A lungo considerato un semplice epigone del maestro domenicano, Ulrico è un importante anello di congiunzione tra l’originale pensiero albertino e il suo successivo sviluppo. La differenza tra provvidenza naturale e provvidenza volontaria, che fonda la differenza tra il metodo teologico e quello filosofico, l’intelletto come primo nome di Dio, la tecnicizzazione del concetto di causalità essenziale, sono temi presenti in nuce nella produzione albertina, ma che con Ulrico divengono i temi di una filosofia che si suole indicare come “tedesca”.
A Ulrico e non ad Alberto si rifà, ad esempio, Teodorico di Freiberg per fondare su nuove basi la differenza tra metodo teologico e metodo filosofico. Nato a Freiberg in Sassonia, nel 1275-1276 è studente di teologia a Parigi, dove insegna successivamente come lettore. Dal 1293 al 1296 è priore provinciale di Germania, e dal 1294 al 1296 anche vicario generale dei Domenicani. Nel 1296 è nuovamente a Parigi, come maestro di teologia e insegna per due anni sulla cattedra riservata ai domenicani non francesi. L’ultima data sicura della sua biografia è il 1310, anno in cui gli viene affidato il vicariato della provincia tedesca. Gli antichi cataloghi degli scrittori domenicani attribuiscono a Teodorico 33 opere, delle quali 26 sono state ritrovate. Si tratta nel complesso di saggi monografici dedicati prevalentemente a questioni di attualità filosofica, concentrati sui due grandi temi dell’autonomia dell’intelletto e della fondazione della necessità della natura, cui si aggiungono studi specifici di ottica e chimica. Teodorico riprende da Alberto il Grande e Ulrico di Strasburgo la necessità di distinguere nettamente teologia e filosofia, ma è da Ulrico che egli trae l’interpretazione dell’importante passo di Agostino sulla differenza tra provvidenza naturale e provvidenza volontaria. La prima governa il mondo della natura fisica, che per Teodorico come per Ulrico consiste in una connessione di cause, oggetto della scienza divina dei filosofi, la seconda rappresenta il mondo della volontà e dei valori, oggetto della scienza divina dei santi. La natura è, infatti, secondo Teodorico, governata da leggi, la cui regolarità e necessità è garantita dalla cosiddetta causalità essenziale: la molteplicità dell’universo si fonda su un unico principio di natura intellettuale, che precontiene in sé in modo semplice e unitario gli effetti che si osservano nel mondo. Secondo una formula divenuta canonica causa ed effetto sono diversi quanto all’essere, ovvero alla loro determinazione specifica, ma identici quanto all’essenza, ovvero al loro principio.
Da questo punto di vista gli oggetti extramentali non hanno in sé la ragione della loro conoscibilità. Questa viene piuttosto “costituita” dall’intelletto umano, il quale coglie l’oggetto tramite le predicazioni categoriali (relazione, quiddità, tempo ecc.), che sono per così dire “imposte” all’oggetto stesso. La formazione dell’universale è dunque per Teodorico un atto della spontaneità dell’intelletto, che il domenicano definisce come un’emanazione essenziale dal primo principio, ovvero di Dio. Tale processo di emanazione è chiamato da Teodorico procedere al modo dell’immagine: ciò che emana (l’intelletto umano) è un’immagine perfetta del principio da cui deriva (Dio), ne condivide cioè la stessa pura e semplice essenza intellettuale. In questo senso l’intelletto agente non può essere una semplice facoltà dell’anima, ma deve essere piuttosto l’attività di una sostanza intellettuale, che in quanto conosce se stessa conosce anche il suo principio, ovvero Dio. Benché la condizione appena descritta (ovvero pensiero come autocoscienza) rappresenti la vera essenza dell’uomo, essa è però conosciuta solo tramite i suoi effetti. L’uomo vive così in uno stato di perenne estraneità rispetto al suo principio intellettuale, che secondo Teodorico può essere veramente compreso solo nell’altra vita.
Questa posizione è di fatto superata da Eckhart, il quale, pur partendo dai medesimi presupposti dei suoi confratelli, renderà la conoscenza del divino un’esperienza personale, accessibile a ogni uomo di buona volontà, proponendo così un nuovo modo di considerare la dignità e l’essenza dell’uomo. Ultimo erede di questa tradizione è Bertoldo di Moosburg. Poche le notizie sul suo conto: nel 1316 studia a Oxford, nel 1327 è a Regensburg come lettore e tra il 1335 e il 1361 lavora a Colonia nello Studium generale. È autore di un imponente commento, l’unico sino ad ora conosciuto, agli Elementi di Teologia (Elementatio theologica) di Proclo, che Gugliemo di Moerbeke, domenicano, traduce nel 1268. L’imponente commento di Bertoldo rappresenta un importante documento del neoplatonismo, in cui il domenicano ripensa alcuni temi caratteristici della Scuola di Colonia (differenza tra provvidenza naturale e provvidenza volontaria, spontaneità dell’intelletto, divinizzazione dell’uomo) alla luce della filosofia procliana, che descrive l’universo come totalità delle cose divine, nel loro processo di emanazione e ritorno al Primo Principio, che Bertoldo chiama, forse influenzato da Ulrico di Strasburgo, “Sommo bene”. In questo senso la filosofia di Proclo è, secondo il domenicano, teologia, intendendo con questo termine, la scienza divina dei filosofi, che Teodorico di Freiberg descrive nella sua opera dal titolo Sul soggetto della teologia (De subiecto theologiae). Si tratta di un sapere che investiga l’universo dal punto di vista della provvidenza naturale, ovvero come concatenazione di cause, che conducono l’uomo alla scoperta del primo principio del tutto. Benché non tenda alla definizione dell’oggetto investigato (come la filosofia aristotelica), il pensiero di Proclo non è tuttavia, secondo Bertoldo, meno scientifico. Esso tende piuttosto al superamento della contrapposizione tra soggetto che conosce e oggetto conosciuto, per approdare a una filosofia dell’unità. L’uomo che nel suo processo conoscitivo ripercorre a ritroso il processo di emanazione, si assimila al principio stesso che conosce, ovvero il Bene spmmo. La beatitudine, secondo Bertoldo, consiste così nella conquista di una prospettiva filosofica del mondo, ovvero nella scoperta del divino in sé e nel cosmo. Si tratta di un sapere che trasforma completamente l’uomo che ne fa esperienza, perché conoscere il divino, significa essere divini. Bertoldo si richiama così all’idea di uomo divino (homo divinus), che egli trova in Alberto Magno, ma soprattutto in Eckhart. La metafisica dell’unità diventa così il presupposto per una nuova etica. In questo contesto molto importante è il tema dell’uno dell’anima nell’uomo (unum animae in nobis), che Bertoldo trova nel trattato Sulla Provvidenza di Proclo tradotto nel 1278. Si tratta di un principio transrazionale, che da un lato costituisce l’essenza dell’anima e ne fonda la funzione razionale, dall’altro rappresenta la condizione di possibilità per un’intuizione intellettuale del sommo Bene, da cui deriva tutto l’universo.