ALBERTO Magno
Alberto di Bollstädt, che i suoi contemporanei chiamavano Alberto di Colonia, nacque, secondo alcuni, nel 1193, secondo altri, nel 1206 o 1207. Entrò nell'ordine domenicano nel 1223. Dal 1228 al 1245 insegnò successivamente a Colonia, Hildesheim, Friburgo, Ratisbona, Strasburgo, Parigi, e poi di nuovo a Colonia, dove ebbe come scolaro Tomaso d'Aquino. Dal 1254 al 1257 tenne l'ufficio di provinciale, e dal 1260 al 1262 l'altro di vescovo di Ratisbona, che lo distrassero dagli studî. Dopo il 1262 si ritirò, rinunziando alle cariche, a Colonia, dove riprese il suo insegnamento. Nel 1277 si recò a Parigi per difendere le dottrine del suo grande discepolo Tomaso d'Aquino, condannate dal vescovo di Parigi, Stefano Templare (Étienne Templier, o di Senlis). Morì a Colonia il 15 novembre 1280.
L'influenza esercitata da Alberto Magno sulla filosofia fu straordinaria. La vasta e profonda dottrina di lui era riconosciuta perfino da Ruggero Bacone, che per il suo indirizzo di pensiero gli era ostile. Anzi, contrariamente alla regola che vigeva nel Medioevo, egli, benché vivente, era citato per nome negli scritti scientifici.
Il programma filosofico che Alberto prefisse a sé stesso fu questo: rifare Aristotele ad uso dei Latini (Nostra intentio est omnes dictas partes - physicam, metaphysicam et mathematicam - facere Latinin intelligibiles, Phys. l. I, tract. I, c. 1). Per rendere intelligibile Aristotele, egli, come ha giustamente osservato il Mandonnet, si serve di tutti i materiali d'Aristotele e dei suoi commentatori; e riesce a fare una parafrasi ampia e minuta della dottrina dello Stagirita. Ma la stessa immensa erudizione che Alberto aveva saputo acquistare appesantiva e affievoliva il suo spirito critico, in guisa da farlo cadere in gravi errori. Conoscitore degli scrittori giudaici e arabi, A. mescola spesso senza coscienza storica le loro dottrine con quelle aristoteliche, agostiniane e anche neoplatoniche. Si direbbe che nell'intento di volgarizzare Aristotele egli non avesse altra mira che quella di preparare tutti i materiali per una riscossa aristotelica; epperò, mentre da un lato cerca a suo modo di liberare il pensiero aristotelico dalle dottrine dei commentatori ebrei ed arabi, e segnatamente da quelle di Avicebronio e di Averroè, dall'altro lato lo ha trasformato in senso scolastico; e così appare come un complesso di dottrine improntate ad Aristotele, ma in cui spesso inavvertiti entrano forti residui neoplatonici, agostiniani e arabi. Perciò Alberto, sebbene abbia saputo creare ai suoi tempi una nuova e poderosa direzione filosofica destinata a trionfare nel seno della scolastica, pure è apparso un filosofo non originale. Ma senza di lui non sarebbe stata possibile l'opera filosofica e teologica di Tomaso d'Aquino il quale, in fondo, non fece altro che chiarire, scegliere e ordinare, soltanto in parte, il materiale che il suo maestro aveva preparato. Difatti le tesi tomistiche sono facilmente riconoscibili in quelle albertine. come p. es. la conoscenza umana fondata sulla esperienza sensibile e la conseguente impossibilità della prova ontologica dell'esistenza di Dio; l'indimostrabilità della creazione del mondo nel tempo, l'individualità dell'intelletto agente, la distinzione netta del creatore e della creatura, l'unità dell'anima, ecc. Ma, benché la filosofia di Alberto dia l'impressione d'un che d'incomposto e d'indifferenziato, dove talvolta alcune tesi contraddicono ad altre, pure è da parlare d'una originalità di esse, la quale non consiste nella delineazione di dottrine determinate, bensì nell'atteggiamento nuovo che condusse ad una direzione rigorosamente speculativa. Il fatto che lo stesso ordine domenicano, a cui Alberto apparteneva, combatté l'indirizzo peripatetico come un avversario formidabile della teologia, è assai significativo. Contro questi suoi confratelli Alberto, che aveva coscienza d'iniziare un movimento razionalistico, diceva: "Vi sono degl'ignoranti che vogliono combattere con tutti i mezzi l'uso della filosofia, e specialmente presso i Predicatori, dove nessuno resiste loro; animali bruti che bestemmiano ciò che ignorano (tamquam bruta animalia blasphemantes in iis quae ignorant)". Il razionalismo, che in alcuni scolastici minacciava di compromettere lo stesso contenuto teologico, in Alberto assume una fisionomia caratteristica, la quale è data da una separazione netta fra la filosofia e la teologia. Questa separazione importava l'autonomia della filosofia, la quale aveva l'ufficio di dimostrare ciò che è dimostrabile, servendosi unicamente della ragione. Onde non può stupire che il pensiero aristotelico sia apparso ad Alberto come l'espressione della ragione naturale, e in quanto tale da rivendicare. Sono di lui queste parole a proposito del contrasto fra filosofi e teologi su alcune verità: "Quando essi sono in disaccordo, bisogna credere ad Agostino piuttosto che ai filosofi in ciò che concerne la fede e i costumi. Ma se si tratta di medicina, io crederei piuttosto ad Ippocrate o Galeno; e se si tratta di fisica, credo ad Aristotele, perché è lui che conosce ottimamente la natura". Ma l'autorità filosofica o scientifica in tanto ha valore in quanto essa è, senz'altro, razionalità (philosophi enim est, id quod dicit, dicere cum ratione). Il caldo amore e il senso vivo della potenza e insieme dei limiti della ragione lo avevano indotto a studiare le scienze della natura: la zoologia, la botanica, la geografia, l'astronomia, la mineralogia, l'alchimia, la medicina. Così egli non proclamò soltanto il valore della deduzione, ma anche dell'induzione (oportet experimentum non in uno modo, sed secundum omnes circumstantias probare). Di gran lunga superiore in questo a Tomaso d'Aquino, egli, dando valore all'empirismo aristotelico, intuisce chiaramente che nel particolare il sillogismo è infecondo, perché experimentum solum certificat in talibus. Sicché in Alberto Magno s'incontrano, mantenendosi però nettamente distinti, l'indirizzo razionalistico e quello empiristico.
Delle numerose opere di Alberto Magno segnaliamo solo le seguenti: De praedicabilibus, De praedicamentis, De sex principiis Gilberti Porretani, Super duos libros Aristotelis perihermenias e gli altri commenti alle opere aristoteliche (Analytica, Topica, Elenchi e alle varie parti della Fisica aristotelica), De coelo et mundo, De natura locorum, De proprietatibus elementorum, De generatione et corruptione, De meteoris, De mineralibus, De anima, De sensu et sensato, De memoria et reminiscentia, De intellectu et intelligibili, De somno et vigilia, De spiritu et respiratione, Metaphysica, Ethica, Politica, De unitate intellectus contra Averroem, Quindecim problemata contra Averroistas.
Scritti teologici: Summa theologiae, e Summa de creaturis, commenti ai libri dello pseudo Dionigi Aeropagita e alle Sententiae di Pier Lombardo. Ricordiamo ancora i commenti ai Vangeli, all'Apocalisse, libri dell'Antico Testamento, e i sermoni. Gli Opera Omnia furono pubblicati a Parigi (1890-1899) in 38 voll. in edizione non critica ed incompleta. La paternità albertina dei 32 sermoni sull'eucaristia, oggetto di controversie tra protestanti e cattolici, è contestata dal Mandonnet.
Bibl.: Sighart, Albertus Magnus, Ratisbona 1857; G. von Hettling, Albertus Magnus, Festschrift, Bonn 1880; Van Weddingen, A. le Grand maître de Thomas d'Aquin, Bruxelles 1881; P. Mandonnet, Siger de Brabant et l'averroïsme latin, 2ª ed., Lovanio 1911, I, cap. 1 e 2; id., in Diction. de Théologie catholique, 3ª ed., I, Parigi 1923, s. v.; M. De Wulf, Histoire de la philosophie médiévale, Lovanio-Parigi 1912; Gilson, La philosophie au Moyen Âge, Parigi 1922; F. Pelster, Kritische Studien z. Leben u. z. Schriften Alberts d. Grossen, Friburgo in B. 1920.