MALASPINA, Alberto
Figlio di Obizzo (I) e forse di una seconda moglie di questo - e non di Maria dei signori di Vezzano -, la sua nascita è da collocarsi nei primi anni Sessanta del XII secolo, dato che nell'agosto 1180 risulta non ancora maggiorenne. Il M. era quindi molto più giovane degli altri due fratelli, Moroello e Obizzo. Per tale divario di età il M. subì politicamente e militarmente fino alla metà degli anni Novanta le conseguenze delle azioni dei fratelli maggiori, in particolare di Moroello. In seguito si trovò a portare avanti la gestione dei territori malaspiniani con i nipoti Corrado, figlio di Obizzo, e Guglielmo figlio di Moroello, ai quali fu sicuramente più legato e con i quali condivise talora residenza ed esperienze, fra cui l'ospitalità e il rapporto con i poeti provenzali, rapporto per cui il M. è soprattutto noto.
Da un documento di controversa interpretazione alcuni storici e genealogisti ritengono peraltro possibile una sua posizione neutrale o addirittura filopiacentina nella guerra fra Moroello e Obizzo, a fianco di Parma e Cremona, contro Piacenza, Pontremoli, i conti di Lavagna e altri signori appenninici. Si tratta di un trattato stipulato nel gennaio 1187 fra il Comune di Piacenza e i marchesi Guizzardo, Alberto Murrus e i fratelli (non è specificato di chi) da una parte e i signori di Petra Corva, loro vassalli, dall'altra, in base al quale i marchesi consentivano ai loro vassalli di stipulare un trattato con Piacenza e promettevano di confermare loro l'investitura sul castello al termine della guerra, mentre i signori giuravano fedeltà al Comune di Piacenza. Oltre alla presenza di un Guizzardo forse appartenente alla famiglia Malaspina (potrebbe essere il fratello minore di Obizzo [I] e Guglielmo) e in ogni caso alla discendenza Obertenga, vi è incertezza se appunto Alberto Murrus fosse il più giovane dei figli di Obizzo (I) o un altro diverso esponente del casato (fra l'altro è sulla base di questo documento e di uno del 1210 che il M. viene da alcuni genealogisti definito come Alberto Moro). Si potrebbe tuttavia ipotizzare una diversa posizione del fratello più giovane atta a inserirsi in una logica di più duttili rapporti dei Malaspina con i loro vassalli, oppure far parte di una strategia per non rompere del tutto con Piacenza.
Nel 1187, insieme con i fratelli, il M. è compreso nell'investitura da parte del monastero di S. Colombano di Bobbio del castello di Carana nella valle del Trebbia (investitura peraltro legata più al rinnovo di un rapporto e a un accordo per i diritti di passaggio nella valle, dato che le fortificazioni del castello dovevano essere già state smantellate dai Piacentini). In quello stesso anno è presente, ancora con i fratelli, in una donazione al monastero di S. Alberto di Butrio a intercessione per l'anima del padre. Allo stesso modo compare sempre al loro fianco nella pace stipulata con Piacenza nel 1189 (che il M. ratificò nell'aprile nel castello familiare di Oramala).
In ogni caso il M. non solo risulta, come già accennato, collegato a Obizzo e Moroello nel suddetto atto di pace, ma anche politicamente - seppur forse non di fatto - al loro fianco anche nel proseguimento dello stato di guerra con Piacenza, che si prolungò appunto nonostante l'atto di pacificazione. Proprio per questo anch'egli fu bandito dall'imperatore Enrico VI nel 1194 insieme con Moroello (il fratello Obizzo era morto l'anno prima) per non aver voluto prendere parte alla Dieta convocata dal legato imperiale Trussardo a Vercelli con l'intenzione di pacificare la Lombardia. Su diretta pressione dell'imperatore, infine, Moroello accettò di sottostare a una pace decisamente onerosa per i Malaspina (prevedeva infatti che i fratelli Malaspina cedessero a Piacenza tutti i loro beni feudali e allodiali nelle valli del Taro e d'Ena), e anche il M. ratificò l'accordo definitivo nell'ottobre dello stesso anno.
Con tale pace i marchesi Malaspina si impegnavano inoltre a difendere gli uomini di Piacenza e Pontremoli accordando loro libero passaggio e dimora; promettevano di non far più guerra nei loro confronti e anzi di ostacolare chi avesse avuto intenzione di attaccarli; soprattutto accettavano la distruzione del castello di Petra Corva e promettevano di non ricostruirlo, al pari del castello di Grondola; due castelli strategici ed economicamente rilevanti poiché il primo, nell'alta valle di Staffora, controllava il passaggio per i Piacentini verso l'area piemontese, il secondo, nelle vicinanze del valico della Cisa, era una minaccia costante non solo per i Pontremolesi, ma in generale per i principali itinerari di valico dell'Appennino.
Nell'anno successivo Moroello e il M. dovettero vendere a Piacenza anche la corte e il poggio di Grondola e porsi verso la città in un rapporto di soggezione feudale che implicava anche un'alleanza contro Parma. Probabilmente fu il M. a portare avanti la vendita e fu lui, in ogni caso meno compromesso, che da quel momento costituì il referente malaspiniano di Piacenza. Nel 1197, insieme con i nipoti, il M. cedette al Comune di Tortona metà del feudo di Mongiardino, ponendosi per l'altra metà come vassallo del vescovo Ottone (che sembrerebbe essere stato suo zio per parte materna): anche con tale città i rapporti che erano stati paritari o addirittura in favore dei marchesi al tempo di Alberto Malaspina e di Obizzo (I) si ponevano ora in una forma di soggezione. L'anno successivo, forse proprio a seguito di un rinnovato patto con la città, il M. conduceva le truppe di Tortona nella guerra contro Genova (provocata dall'espansione della città ligure ai danni del marchese Guido di Gavi), guerra che ebbe esito sfortunato per il Comune lombardo e i signori dell'Appennino a seguito della disfatta da loro subita al castello di Tassara. Così anche il M. e i nipoti dovettero rinegoziare nel 1199 il loro vassallaggio a Genova riuscendo almeno a mantenere il reddito del pedaggio tortonese. Sotto la sempre più incisiva pressione delle città nel 1200 il M. e i nipoti sottoscrissero un trattato in cui garantivano il libero passaggio delle merci in Lunigiana. Nello stesso anno, inoltre, rinnovarono l'alleanza con Piacenza, e con Milano, che li impegnava alla guerra contro Parma e Pavia, e in più si obbligarono a rimettersi al giudizio di Piacenza per ogni discordia che avevano con gli uomini di Pontremoli e per tutto ciò che riguardava i territori in Lunigiana che avevano acquisito dagli Estensi. Una controversia, con il corollario di scontri e incursioni, nata a causa del passaggio ai Malaspina dei territori degli Estensi in Lunigiana, in ragione della comune discendenza dal ceppo Obertengo, e che vedeva non solo Pontremoli, ma anche il vescovo di Luni Gualtiero e altri signori feudali (fra cui in particolare i signori di Vezzano) ostili a un ulteriore rafforzamento dei Malaspina.
L'obiettivo dei Malaspina di subentrare in Lunigiana agli Estensi (che non avevano ormai più interesse a mantenere la loro presenza in tale area), seppur in parte frustrato, dimostra che probabilmente vi era una consapevole strategia da parte del M. e dei nipoti di cercare di ricostituire il loro potere signorile incentrandolo in un'area dove minori erano le pressioni e gli interessi delle città.
Nel maggio 1202 un arbitrato sancì l'accordo fra il M., con i nipoti Guglielmo e Corrado, e il vescovo di Luni Gualtiero. Con esso i marchesi e il vescovo si obbligavano a un aiuto reciproco nel territorio compreso nella diocesi di Luni, e i marchesi cedevano al vescovo i diritti su metà di tutto quanto era loro pervenuto in Lunigiana dai marchesi d'Este. Nel contesto del progressivo arretramento di fronte alle pressioni cittadine è forse da inquadrare pure la cessione fatta nell'aprile del 1202 dal M. e dal nipote Corrado, anche a nome di Guglielmo, a un esponente del casato dei Doria di una quota sui pedaggi riscossi dai marchesi nella valle del Trebbia e Val Borbera, cessione che seguiva quella fatta dal M. sempre nel 1190 (seppur a titolo di investitura) dei residui diritti fiscali nella città di Genova.
La morte del M. è probabilmente non molto successiva al 1210.
In tale anno i marchesi Rainaldo Malaspina (ignorato dai genealogisti), Alberto Morrus e Corrado (anche a nome del cugino Guglielmo) dichiararono di tenere in feudo dal Comune di Piacenza: Felinum, Denaurem, Cantacrava e Pizzocorno; anche in questo caso rimane il dubbio, già segnalato, se l'Alberto Morrus sia effettivamente il fratello di Obizzo (II) e Moroello.
Nella prospettiva forse del superamento di una tradizionale rivalità con il casato dei marchesi di Monferrato, il M. sposò Beatrice, figlia del marchese Guglielmo V, dalla quale ebbe solo una figlia, Caracosa, che andò in sposa ad Alberto marchese di Gavi. Suoi eredi furono quindi il nipote Corrado e il pronipote Obizzino figlio di Guglielmo.
Il M. si distinse per l'ospitalità accordata, soprattutto nella residenza favorita del castello di Oramala nella valle di Staffora, ai trovatori provenzali, che ne celebrarono la moglie, Beatrice, e successivamente anche alcune figlie di Guglielmo e Corrado. Uno di questi ne tratteggiò una breve nota biografica in provenzale: "Albert marques si fo dels marques de Malespina. Valenz hom fo e larcs e cortes et einsegnatz, e saub ben far coblas e sirventes e cansos", segnalandolo quindi come capace lui stesso di comporre testi poetici in provenzale (cfr. I trovatori d'Italia, p. 211). Presso di lui e i nipoti soggiornarono Peire Vidal, Girald de Borneihl, Albertet de Sisteron, Aimeric de Peguilham, Uc de Saint Cir, dai quali dovette apprendere e con i quali forse si misurò. Il M. è noto soprattutto per una tenzone in lingua provenzale con il trovatore Raimbaut de Vaqueiras, tenzone che, con le dovute cautele, può essere presa come una fonte stessa per la vita del Malaspina. Nella tenzone, tenutasi presumibilmente alla corte dei marchesi di Monferrato, il M. e Raimbaut si offendono l'un l'altro. Raimbaut non solo rinfaccia al M. il rapimento di una giovane di cui si era invaghito, per la cui liberazione si impegnarono cavallerescamente Bosone di Anguillara, che amava la giovane, lo stesso Raimbaut e il marchese Bonifacio I di Monferrato, ma lo sbeffeggia per la perdita della valle del Taro e del castello di Petra Corva e chiude la tenzone sostenendo che il M. è tanto poco rispettato dai suoi guerrieri da venir da loro chiamato puttaniere, senza fede, sleale, diseredato: "Albert marques, tuich li vostre guerrier / ant tal paor de vos e tal doptansa / qu'il vos clamon lo marques putanier / deseretat, desleal, sens fiansa" (ibid., pp. 211-215). Anche il M., nella sua risposta, non risparmia certo le frecciate contro il trovatore provenzale, tuttavia il tono di quest'ultimo, sebbene il componimento dovesse essere inteso come ironico e burlesco, appare sicuramente aspro. Probabilmente Raimbaut, che compose la sua tenzone con il M. quando già da tempo era un ospite fisso e uno dei principali protetti di Bonifacio I di Monferrato, si fece scudo di tale protezione e, sebbene dovesse avere una qualche ragione di puntiglio contro il M. (non soltanto per l'episodio della giovane rapita, avvenuto almeno dodici anni prima), nella tenzone si fece forse anche interprete dei sentimenti del marchese Bonifacio (di cui peraltro il M. aveva sposato una sorella) riproponendo una rivalità fra casate marchionali che risaliva almeno alla precedente generazione.
Fonti e Bibl.: Il Registrum magnum del Comune di Piacenza, a cura di E. Falconi - R. Peveri, I, Milano 1984, p. 538; E. Gerini, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana, II, Massa 1829, pp. 17-20; E. Branchi, Storia della Lunigiana feudale, I, Pistoia 1897, pp. 78 s., 106, 115-124; F.L. Mannucci, I marchesi Malaspina e i poeti provenzali, in Dante e la Lunigiana nel sesto centenario della venuta del poeta in Val di Magra, 1306-1906, Milano 1909, pp. 45 s., 51-55; I trovatori d'Italia, a cura di G. Bertoni, Modena 1915, pp. 45-51, 211-215; G. Volpe, Lunigiana medievale, in Toscana medievale, Firenze 1964, pp. 362-366; G. Guagnini, I Malaspina. Origini, fasti, tramonto di una dinastia, Milano 1973, pp. 81-87; R. Pavoni, Genova e i Malaspina nei secoli XII e XIII, in La storia dei Genovesi. Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti nelle istituzioni della Repubblica di Genova, 1986, VII, Genova 1987, pp. 290, 294, 302 s., 306, 311 s.; U. Burla, Malaspina di Lunigiana. Dalle origini sino alla fine dei feudi imperiali, La Spezia 2001, p. 21; P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s.v. Malaspina, tav. II.