MENARINI, Alberto
– Nacque a Bologna l’8 apr. 1904 da Giovanni e da Elvira Zucchi.
Frequentò l’istituto tecnico Pier Crescenzi e, dopo il diploma, iniziò l’attività lavorativa come corrispondente commerciale con l’estero presso un’importante ditta bolognese del comparto meccanico, la Riva Calzoni, dove sarebbe rimasto fino al pensionamento. Tuttavia specifico e costante interesse del M. fu da sempre la linguistica, con particolare riguardo ai gerghi e ai dialetti.
La notevole capacità nell’apprendimento delle lingue straniere, favorita anche dalla pratica lavorativa, la costanza nel registrare e nell’archiviare i fenomeni e la lucidità delle analisi, unite a un metodo sempre rigoroso, fecero del M., che pure non frequentò mai l’Università, uno dei linguisti più particolari nel panorama italiano del secolo scorso, con una bibliografia di ben 893 titoli.
Il primo saggio importante del M. linguista, Voci zingare nel gergo bolognese (in Archivum Romanicum, XXII [1938], pp. 242-280), fu scritto a quattro mani con il glottologo C. Tagliavini.
Nel saggio vengono discusse 19 voci di etimo zingarico penetrate nel gergo bolognese; si tratta del primo atto di una lunga collaborazione che avvicinò il M. al mondo accademico, il quale riconobbe sempre in lui un interlocutore di primo livello, come testimoniano i contatti con R.A. Hall jr., M.L. Wagner, B. Migliorini e molti altri.
Da allora il M. cominciò a collaborare con numerose riviste specializzate, tra cui Lingua nostra, Le Lingue estere, Vie et langage. Nel 1941, sotto gli auspici del glottologo G. Bertoni, uscì nella collana Studi e testi dell’istituto di filologia romanza dell’Università di Roma il volume I gerghi bolognesi (Modena), che raccoglie l’attività di anni di ricerca sul campo. Il libro diede al M. notorietà internazionale e lo consacrò come massimo esperto di gerghi e di lingue furbesche.
Tagliavini presentò il volume nel Resto del carlino del 27 apr. 1942, descrivendolo come «un’opera assolutamente scientifica, […] la migliore di quante siano state fatte fin qui nel dominio gergale italiano», sottolineando la presenza degli esempi accanto alla traduzione, che permette «di rendersi conto del vero valore della parola nel complesso sintattico e fraseologico, cioè nella sua potenziale vitalità», e l’esattezza della grafia fonetica, che, coniugata ai raffronti con altri gerghi, «dimostra che l’Autore è un vero specialista della materia e che del glottologo ha la preparazione, unita alla necessaria prudenza».
Contributi sui gerghi di altre località italiane vennero convogliati in un articolo coevo (Contributi gergali, in Atti dell’Ist. veneto di scienze lettere e arti, cl. di scienze morali e lettere, CII [1942-43], 2, pp. 498-525); la fama del M. come esperto di gerghi divenne tale che, dieci anni dopo, per redigere il Saggio di bibliografia dei gerghi italiani (Padova 1953) R. Baccetti Poli si avvalse della biblioteca personale del Menarini.
La collaborazione con Le Lingue estere e Le Lingue del mondo portò alla stesura, insieme con Tagliavini, di due grammatiche pratiche per l’apprendimento dell’inglese e del portoghese: Studiamo da soli l’inglese!: grammatica elementare della lingua inglese parlata esposta in 100 paragrafi graduali con pronunzia figurata, applicazioni e appendici (Bologna 1945) e Il portoghese per l’italiano autodidatta. Come si parla in Portogallo e in Brasile: corso pratico di lingua portoghese con pronunzia figurata, nomenclatura illustrata, chiave degli esercizi e delle letture, appendici e vocabolarietto con oltre duemila parole (Firenze 1946; con successive edizioni riviste: ibid. 1952, 1954 e 1957).
Il volume Ai margini della lingua (ibid. 1947) raccolse in larga parte articoli degli anni precedenti che trattavano aspetti trascurati della lingua italiana.
Spiccano, fra gli altri, la formazione dei soprannomi, la lingua nel cinema, l’italo-americano: «Sebbene lo studio dell’italiano […] sia oggi assai progredito […], non si può fare a meno di constatare, con rammarico, come con ingiustificato preconcetto tradizionale si persista nel circoscriverne l’orizzonte, e nel disdegnare lo studio dei settori popolari e specialissimi della lingua; di quei settori nei quali, in definitiva, in forza della genialità, fantasia od emotività dei parlanti, gran parte del linguaggio comune si crea, si modifica e si diffonde a dispetto di ogni norma puristica» (pp. 4 s.).
Nel 1948 uscì il compendio Español comercial al día: manuale di corrispondenza commerciale spagnola (ibid.), frutto diretto dell’esperienza lavorativa del M.; nel 1951 fu la volta di Profili di vita italiana nelle parole nuove (ibid.), opera interamente basata sulla raccolta diretta di materiali in cui sono analizzati i presupposti socioculturali che hanno permesso l’immissione, temporanea o permanente, di nuove parole nel lessico italiano – E. Allodoli, nella prefazione, chiama in causa la corrente di studi Wörter und Sachen –, con particolare riferimento al periodo 1943-50.
Con il volume Il cinema nella lingua, la lingua nel cinema: saggi di filmologia linguistica (Milano-Roma 1955) il M. intese inaugurare il filone di ricerca della filmologia linguistica, cui già si era avvicinato in precedenza.
Per le vicissitudini dell’editore Bocca, il testo ebbe all’epoca una scarsissima circolazione, per essere poi riscoperto e adottato come manuale universitario solo in tempi recenti. Il M. analizza i risvolti linguistici dell’impatto dell’arte cinematografica («espressione moderna della letteratura in genere», p. 145) sull’immaginario collettivo, studiando la genesi dei titoli dei film e l’uso traslato di questi, così come dei nomi degli attori e dei personaggi, nel linguaggio comune; analizzando l’italiano del cinema, «popolare», dotato «di modi espressivi che a volte mancano a qualsiasi dizionario» (p. 155) e considerando infine il problema delle traduzioni nei doppiaggi.
Degli stessi temi il M. aveva parlato anche in una trasmissione radiofonica del Terzo Programma RAI (17 luglio 1954); e alla RAI anche successivamente il M. prestò le sue competenze, fornendo spunti e suggerimenti per la trasmissione Non tutto ma di tutto (cfr. l’omonimo volume collettaneo, a cura di E.F. Accrocca, Roma 1964).
Dalla metà degli anni Cinquanta si intensificò la produzione dialettologica, dedicata in particolare al dialetto di Bologna, di cui il M. divenne lo studioso più autorevole. In quegli anni, inoltre, il M. divenne socio della Commissione per i testi di lingua presieduto da R. Spongano. In parallelo il M. non mancò di collaborare anche con il Comune della sua città, sia in veste di membro della Commissione di toponomastica, sia, tra le altre cose, contribuendo ad allestire la mostra Il burattino a Bologna (29 marzo - 20 apr. 1964).
Da grande appassionato di folklore, di burattini il M. fu, peraltro, collezionista e la sua raccolta, costituita nel 1963 insieme con l’esperto di tradizioni bolognesi A. Cervellati, entrò poi a far parte del Museo dei burattini di Budrio, fondato nel 2000.
Uno dei suoi primi contributi dialettali, Dialetto vecchio e nuovo (in Strenna della Famèja bulgnèisa, I [1955], pp. 58-60), tratta della vitalità del bolognese, capace di assorbire e adeguare alla fonetica dialettale il cospicuo afflusso di italianismi dovuto alle mutate condizioni socioeconomiche del secondo dopoguerra.
Il M. individua «tre grandi categorie in perpetua fluttuazione» del lessico di un dialetto: «la parte che sta tramontando, quella conservata e quella che sta sorgendo» (p. 60), e indica nella produttività di quest’ultima la garanzia della sopravvivenza del dialetto; egli nota che «ciò che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi sembra ovvio, incoloro, mentre quel che non è più appare denso di significato e di carattere. Soltanto l’osservatore esercitato osserva e valuta i nuovi fatti, ed è conscio dell’importanza di annotarli all’atto stesso della loro nascita o durante la loro viva attualità, senza aspettare che si alterino, si dileguino e rendano difficile l’opera ritardata di ricupero» (p. 58).
Questo spirito informò gli articoli successivi del M. sull’argomento, poi raccolti e ampliati nel primo volume dedicato al dialetto di Bologna, Bolognese invece (Bologna 1964). Precedentemente aveva visto la luce il saggio Il gergo della piazza (nel volume miscellaneo La piazza: spettacoli popolari italiani, a cura di R. Leydi, Milano 1959, pp. 465-519).
In esso il M. definisce il concetto di «gergo», distinto dal linguaggio tecnico-settoriale propriamente detto, «che mira a evitare tra gli esperti equivoci e approssimazioni dannose, disinteressandosi del fatto che l’estraneo […] capisca o meno» (p. 466). Tratto distintivo del gergo è invece la «sua tradizionale segretezza» (p. 467), «“sentita” più ancora che sfruttata» (p. 468), in virtù di una «necessità assai più intima che funzionale» (p. 469) all’interno di un codice comunque incompleto e appoggiato alla lingua o al dialetto di riferimento.
Nella seconda metà degli anni Sessanta il M. pubblicò altri volumi di ricerche sul dialetto di Bologna: Tizio, Caio e San Petronio (Bologna 1968) è un manuale di deonomastica bolognese; Fra il Sàvena e il Reno (ibid. 1969) apporta ulteriori contributi agli ambiti di ricerca già esplorati in Bolognese invece, l’etimologia, l’odonomastica, la paremiologia.
Ogni volume contiene un paragrafo introduttivo in cui si propongono le soluzioni per la resa della grafia dialettale, particolarmente problematica in bolognese per le oscillazioni nell’uso degli scrittori e per l’effettiva complessità fonetica di alcuni nessi.
Mentre proseguivano le collaborazioni con numerose riviste locali (La Mercanzia, La Mùsola, e altre), il M. diede alle stampe, con A. Vianelli, il volume di immagini Bologna per la strada. Fotoconfronti con il passato (Bologna 1969; 2ª ed. rivista, ibid. 1975; Seconda serie, ibid. 1975), quindi, sempre con Vianelli, Bologna per la strada: leggende e curiosità (ibid. 1973; 2ª ed. rivista, ibid. 1976; Seconda serie, ibid. 1976). In questa fase l’esigenza di recuperare il patrimonio dialettale perduto cominciò a prevalere su quella di raccogliere i fenomeni dell’uso vivo, venendo questo progressivamente a rarefarsi, in particolare presso le generazioni più giovani.
In Uomini e bestie nel dialetto bolognese (ibid. 1970), dove tratta delle metafore dialettali che si basano su confronti istituiti tra la bestia e l’uomo, la perdita di vitalità di questo settore assai creativo del dialetto viene inserita in una più generale situazione di appiattimento e impoverimento.
Nelle opere dell’ultimo periodo il M. rievocò con crescente nostalgia l’atmosfera della strada bolognese dove era nato, via S. Carlo, irrimediabilmente perduta dopo i bombardamenti del 1943 che avevano distrutto completamente anche la sua abitazione. Nei Proverbi bolognesi (Milano 1971; 2ª ed., Milano-Firenze 1982; poi rist. a Firenze nel 1993, 1995 e 2000) si occupò invece di definire le caratteristiche del «proverbio», non ritenendo sufficienti quelle di brevità e di normatività etica.
Oltre a essere invariabili, i proverbi si caratterizzano per l’«applicazione metaforica […] a fatti e a circostanze comuni che nulla hanno a che vedere con ciò che la frase enuncia materialmente» (p. XII). Il significato diretto, neutralizzato e anacronistico, «consente alla funzione traslata di perpetuarsi» (p. XVI).
A questo lavoro fecero seguito Modi e detti bolognesi (Bologna 1974; rist. ibid. 2007) e il volume Bologna dialettale: parole, frasi, modi, etimologie (ibid. 1978), in cui l’indagine etimologica è corroborata da un robusto apparato bibliografico che legittima la rivendicazione del rigore metodologico del M. di fronte ai «manipolatori odierni del dialetto, […] completamente digiuni di informazione specifica» (p. 10).
L’ultima fatica che il M. riuscì a vedere pubblicata fu il Vocabolario intimo del dialetto bolognese: amoroso, sessuale, scatologico (ibid. 1982; rist. ibid. 2004), primo vocabolario lessicale e fraseologico dedicato all’argomento.
A spingere il M. alla pubblicazione di un materiale raccolto nel corso di una vita, più che le mutate condizioni socio-culturali, fu la necessità scientifica di coprire una lacuna «inammissibile» (p. 12) della lessicografia bolognese, rimasta tale per la pruderie dei compilatori di altre epoche, e che invece dà conto di un settore chiave della colloquialità quotidiana.
Uscirono postumi Pinzimonio bolognese (ibid. 1985), raccolta di pagine sparse dedicate al recupero e alla «conoscenza di una cultura cittadina ormai superata e dimenticata» (p. 8); Parlare italiano a Bologna: parole e forme locali del lessico colloquiale (con F. Foresti, ibid. 1985) ed Eroi del racconto popolare: prima del fumetto (con F. Cristofori, I-II, ibid. 1986-87), che testimonia la passione del M. per la letteratura popolare.
L’opera di recupero del dialetto bolognese realizzata dal M. fu ufficialmente riconosciuta attraverso il conferimento di una laurea honoris causa da parte dell’Università degli studi di Bologna. L’iter per il conferimento fu lunghissimo: al M. fu chiesto di sostenere un esame proforma che egli, di carattere schivo, non si sentì di affrontare; così la laurea in glottologia gli venne assegnata dalla facoltà di lettere solo pochi giorni prima della morte, il 18 genn. 1984.
Il M. morì a Bologna il 26 genn. 1984.
Al di là del fondamentale contributo apportato dal M. alla conoscenza non solo del dialetto bolognese, ma anche dei gerghi e di numerosi aspetti dell’italiano contemporaneo e delle lingue straniere, il tratto più saliente della sua opera risiede nella capacità di indagare la dimensione viva del fatto linguistico, inteso come manifestazione di costumi, mentalità e come prodotto di vicende storiche. Tale capacità trova la sua massima espressione nell’indagine lessicografica, sempre rigorosa nella classificazione e solida nell’etimologia. Sensibile e acribico, consapevole delle implicazioni pragmatiche del linguaggio, il M. è stato a tutti gli effetti un sociolinguista ante litteram, in un’epoca in cui la glottologia e la dialettologia erano ancora legate a metodologie più tradizionali.
Fonti e Bibl.: Dati biografici del M., sul quale esiste una scarsissima bibliografia, sono stati forniti dalla famiglia. Vedi inoltre: Bologna, Università degli studi, Biblioteca di discipline umanistiche, Fondo A. Menarini (di proprietà della Sovrintendenza regionale per i beni e le attività culturali dell’Emilia Romagna); e ancora Laurea ad honorem a M., in Il Resto del carlino, 20 genn. 1984; F. Cristofori, Srèla po’ una consulazian? È morto A. M., ibid., 28 genn. 1984; E. Silvestrini, Cercando la vertigine. Materiali della collezione Menarini, «viaggiatori» e «fermi», giochi del luna park, in La Ricerca folklorica, 1989, n. 19, pp. 49-58; F. Basile - E. Castagnoli, I grandi di Bologna: repertorio alfabetico di personaggi illustri dal 1800 a oggi, Bologna 1991, sub voce.
L. Filipponio