Moravia, Alberto
L’esercizio della scrittura
Alberto Moravia è stato il primo scrittore italiano che abbia fatto del romanzo uno strumento d’arte e insieme una forma di comunicazione più ampia, in rapporto diretto con l’evoluzione della società e con i problemi del tempo in cui visse. Molti dei suoi migliori romanzi e racconti sono incentrati sulla decadenza morale della classe borghese sotto il fascismo: un mondo torbido, dominato dalla frenesia del sesso e dall’indifferenza morale
«Tutto nella mia vita mi sembra casuale, tranne i libri che ho scritto», ha dichiarato Moravia. I libri sono stati la sua vita, il mezzo per svolgere un compito nella società a lui contemporanea. La grave malattia sofferta lungo l’infanzia e la prima giovinezza aveva probabilmente acuito la sua sensibilità, facendo venire alla luce un’acuta capacità di osservare il mondo.
Moravia è il nome d’arte di Alberto Pincherle, nato a Roma nel 1907 in una agiata famiglia borghese. Sul mondo della borghesia, osservato in modo impietoso, da vero critico della società, è costruito il romanzo che a ventidue anni lo ha reso famoso, Gli indifferenti. Moravia descrive la borghesia del suo tempo, quello del primo fascismo, attraverso la storia di una famiglia. I protagonisti, il giovane Michele, la madre Mariagrazia, il suo amante Leo, la sorella Carla sono gli stessi della tragedia classica. Il loro dramma, però, non ha quella grandezza. Il mondo di cui sono prigionieri è torbido e complesso, condannato all’immobilità. Essi vivono in modo quasi automatico, e le loro passioni, di natura soprattutto sessuale, li conducono a una personale indifferenza che è specchio della più grande indifferenza di quegli anni.
In forme diverse, i libri successivi replicano, amplificandone i temi, lo schema compositivo-narrativo di questa prima opera: dai romanzi di ambiente borghese come Agostino, storia di un’ adolescente che scopre il mondo del sesso attraverso il rapporto della madre col suo amante, Il conformista, con il quale Moravia ha rappresentato il fascismo «dalla parte del fascismo», La noia, L’attenzione, a quelli di ambiente popolare come La romana, La ciociara, Racconti romani. Tutti i personaggi dei romanzi di Moravia subiscono la vita, tentano invano di ribellarsi, si rassegnano vinti dall’impotenza.
«Mi sento molto vicino a quello che pensavano i Greci, che l’arte sia figlia della memoria, e la memoria è sempre memoria di cose avvenute, e non di cose che non sono state». Anche queste sono parole di Moravia, considerato lo scrittore più ‘razionale’ del Novecento italiano. Come nella sua narrativa non trova posto nessun elemento fantastico, nella lingua che usa non vi è nessuno ornamento, nessuna astrazione. Le parole sono quelle del linguaggio comune, la frase è asciutta e chiara. Eppure questo scrittore così concreto, così brusco e determinato a nominare con termini essenziali tutto ciò che vedeva e pensava, ha reso evidente l’aspetto ambiguo e illusorio della realtà.
Una cosa è una cosa è una sua raccolta di racconti, dal titolo programmatico, che riassume l’aderenza quasi ossessiva dello scrittore alla realtà. Tutto va guardato e considerato come ‘cosa’: oggetti, colori, lineamenti fisici, vestiti, la stessa persona. Questo è il limite invalicabile del mondo così com’è, cioè come appare.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale la fama di Moravia è cresciuta ininterrottamente sia in Italia sia all’estero. I suoi libri uscivano contemporaneamente in italiano e in inglese, molti di essi erano tradotti in film da registi come Vittorio De Sica (La ciociara), Jean-Luc Godard (Il disprezzo), Bernardo Bertolucci (Il conformista). Non erano solo i romanzi a dargli fama, erano anche i resoconti dei suoi viaggi, soprattutto in Africa (A che tribù appartieni, Lettere dal Sahara), in Cina, in India, anch’essi testimonianza di una vocazione morale, un’insaziabilità di conoscere attraverso il confronto con società e culture diverse da quella occidentale.
A partire dagli stessi anni Moravia ha conquistato un crescente prestigio. Gli interventi sull’attualità politica e sociale, pubblicati su quotidiani, settimanali e sulla rivista Nuovi argomenti, da lui fondata nel 1953, i saggi di tipo letterario e filosofico-politico raccolti nel volume L’uomo come fine (1963) hanno definito il suo ruolo d’intellettuale nella società non solo letteraria: una figura sicuramente scomoda per l’insofferenza nei confronti di qualunque ideologia o misticismo, ma autorevole per coerenza e onestà intellettuale.