PIRELLI, Alberto
PIRELLI, Alberto. – Nacque a Milano il 28 aprile 1882, secondogenito, dopo Piero, degli otto figli dell’ingegnere Giovan Battista e di Maria Sormani.
La casa natale era compresa nel recinto del piccolo stabilimento dal quale nove anni prima la G.B. Pirelli & C. aveva introdotto nell’Europa mediterranea la fabbricazione di articoli in gomma. L’educazione di entrambi i figli maggiori, Piero e Alberto, fu volta a porli in grado di proseguire e sviluppare l’impresa paterna.
Dopo la maturità classica, Alberto seguì un piano di studi suggerito da Giuseppe Colombo, volto a fargli acquisire le nozioni indispensabili per un adeguato avvio alla direzione di un’azienda industriale. Frequentò corsi di ingegneria al Politecnico milanese, di economia e contabilità all’Università commerciale Luigi Bocconi, laureandosi infine in giurisprudenza all’Università di Genova, nel 1904.
La tesi di laurea (L’arbitrato obbligatorio nelle controversie tra capitale e lavoro) rivela una consonanza con le posizioni allora sostenute in Inghilterra, per la Società Fabiana, dai coniugi Beatrice e Sidney Webb, con i quali – durante la preparazione – il giovane Pirelli aveva stretto un cordiale rapporto, proseguito negli anni. Sui banchi dell’università ebbe anche inizio il rapporto che egli avrebbe a lungo intrattenuto con Luigi Einaudi.
Fra studi e viaggi, praticò varie attività sportive fra cui il football (con i colori del Milan) e l’automobilismo. E fu lui a guidare il team che nel 1907 assicurò il primato dell’auto Itala gommata Pirelli nel raid automobilistico Pechino-Parigi, evento di una grandezza mediatica senza precedenti, teso a dimostrare che l’automobile era diventata un mezzo di spostamento con il quale si poteva andare ovunque.
Nell’assemblea della Pirelli & C. del marzo 1904, essendo vicina a scadenza la durata della società, il cinquantaseienne Giovan Battista – suo gerente unico – si disse favorevole a prolungarne la durata, potendo assumere i due figli come cogerenti, ruolo al quale essi erano stati preparati con studi e pratica dello stabilimento, alternata con viaggi per conoscere i principali mercati. L’assemblea dei soci di dicembre deliberò il prolungamento della società e la connessa proposta del gerente. Questi, con una lettera inviata a fine anno a tutti i dipendenti, annunciò la nuova composizione della gestione, che sarebbe entrata in vigore all’inizio del 1905. Espresso obiettivo della cooptazione era quello di sfruttare le opportunità di crescita ed espansione internazionale che si prospettavano nell’industria della gomma, fra cavi elettrici, pneumatici e una congerie di articoli vari.
Investiti degli stessi poteri del padre, i due stabilirono presto una netta divisione dei rispettivi compiti: a Piero la gestione quotidiana, ad Alberto la rappresentanza della società nelle relazioni esterne e istituzionali. Nel 1905 nello stabilimento sul Sevesetto la fabbricazione di gomme per autoveicoli passò dalla fase sperimentale alla produzione di massa. Fu perciò necessario riorganizzarne l’intero processo produttivo, e fu Alberto a individuare le capacità a ciò idonee nella persona di Giuseppe Venosta, allora direttore tecnico delle Distillerie Italiane di Barletta, il quale guidò con successo l’intero settore pneumatici fino alla vigilia della seconda guerra mondiale.
Di un’altra felice selezione di dirigenti Alberto ebbe il merito quando, nel 1907, assunse nello staff tecnico del settore cavi Luigi Emanueli, già suo compagno al liceo Parini e appena laureato al Politecnico milanese. Emanueli diede presto prova del suo talento fuori dell’ordinario: nel 1910 realizzò il cavo telefonico Milano-Grosseto, allora il più lungo al mondo; nel 1913 il primo collegamento sottomarino tra la Sardegna e il continente.
Intanto, nel 1909 Alberto aveva fondato a Londra la Pirelli Ltd, dapprima prezioso osservatorio sul mercato globale, poi dal 1918 ufficio acquisti centrale per l’intero gruppo internazionale. Dall’associazione tra Pirelli Ltd e la londinese General Electric Company Ltd, nacque, nel 1913, la Pirelli-General Cable Works, con una grande fabbrica a Southampton di cavi sotterranei e conduttori elettrici in genere. Con analoghi obiettivi di consolidamento e sviluppo degli sbocchi esteri già aperti nel secondo decennio del secolo i due cogerenti si alternarono nel fare la spola con l’America Meridionale, un’area nella quale era già molto attiva la concorrenza nordamericana e tedesca.
In Argentina, dove si aprì la gara per l’elettrificazione del Paese quando nel 1911 si costituì a Buenos Aires la Compañía italo-argentina de electricidad, la Pirelli entrò nel suo capitale al fine di assicurarsi commesse di materiali. Ma l’esperienza sul posto riferita a Milano da Alberto e Piero indusse a cambiare strategia: da allora si puntò sull’espansione «indiretta», con alleanze di largo respiro basate su incrocio di interessi, scambio di know-how, e anche partecipazioni azionarie, da destinare a un continuo aggiornamento tecnologico. Fu in quest’ottica che, nel 1913, la Pirelli partecipò alla costituzione della finanziaria svizzera per imprese elettriche Columbus (poi Motor-Columbus), della quale Giovan Battista divenne vicepresidente, con una quota di capitale di appena il 7%.
Il 1913 fu per Alberto occasione di un bilancio: scrivendo al padre da una missione all’estero gli confessò il proprio tiepido interesse per la vita industriale e la tentazione di abbandonarla per dedicarsi a studi storici e politici e a viaggi. Nello stesso anno fu a lungo malato e proprio in quel periodo conobbe Ludovica Zambeletti, figlia di Leopoldo, industriale farmaceutico in Milano; nel giro di pochi mesi i due giovani si sposarono. Dalla loro felice unione nacquero quattro figli – Maria Giovanna (1915-1970), Elena (1917-2009), Giovanni (1918-1973) e Leopoldo (1925-2007) – l’educazione dei quali fu caratterizzata da una severa disciplina, motivata dalla responsabilità sociale che comportava il loro nome.
L’entrata in guerra dell’Italia richiamò sotto le armi Piero, ma non Alberto, che ebbe così modo di alimentare la sua peculiare vocazione politica nella evidenziazione dei problemi che la guerra avrebbe lasciato in eredità. Sul tema intervenne alla Camera dei Lord a Londra nel 1917, invitato a esporre sul futuro delle relazioni commerciali italo-inglesi il punto di vista del Comitato italiano per le tariffe e i trattati di commercio, di cui egli faceva parte. Nel 1918 il governo lo pose a capo degli acquisti all’estero del ministero delle Armi e Munizioni e lo chiamò a far parte di una commissione incaricata di studiare i provvedimenti occorrenti al passaggio dallo stato di guerra allo stato di pace.
Cessato il conflitto armato, nel 1919 fu incluso nella delegazione italiana alla conferenza della pace di Parigi. A Versailles sedette nel Consiglio supremo economico e nelle commissioni economica e finanziaria per la stipula dei trattati di pace, occupandosi della determinazione delle riparazioni dovute dalla Germania ai Paesi vincitori e del regolamento dei debiti di guerra interalleati, in particolare dei debiti contratti dall’Italia verso gli Stati Uniti e l’Inghilterra. Il completo disaccordo sull’inquadramento di tali problemi fu all’origine del disimpegno di Alberto, che abbandonò la conferenza in concomitanza con John Maynard Keynes.
Dal 1922 al 1932 Pirelli – nominato nel 1924 ministro plenipotenziario onorario – fu il principale negoziatore italiano in tutte le trattative, ufficiali e non, in materia di riparazioni e debiti. Questa decennale opera di diplomazia economica fu naturalmente sempre svolta secondo le direttive stabilite dai governi succedutisi a Roma e in buona intesa con la Confindustria. Dal 1920 al 1922 fu il primo rappresentante degli imprenditori italiani nell’appena costituito Ufficio internazionale del Lavoro di Ginevra; e nel 1924 presidente dell’Associazione fra le Società italiane per Azioni (Assonime), responsabilità di particolare importanza e delicatezza durante il fascismo. E fu su designazione del governo italiano che il Consiglio della Società delle Nazioni lo chiamò nel 1922 a Ginevra a far parte della sezione economica della sua commissione Economia e Finanza: ufficio che egli lasciò nel 1927 per andare a presiedere a Parigi la Camera di commercio internazionale (CCI). Nel biennio di quest’ultima presidenza focalizzò l’attività della CCI sulla riduzione degli ostacoli agli scambi internazionali.
Nel 1926, per incarico del governo, organizzò l’Istituto nazionale per l’Esportazione (poi Istituto per il Commercio estero) di cui fu il primo presidente. Nel 1934, dietro pressione dei colleghi industriali, fu commissario straordinario alla Confindustria per gli otto mesi necessari alla riforma dello statuto confederale; esaurito il suo compito, tornò a dedicarsi esclusivamente all’Assonime. A presiedere la Confindustria andò allora Giuseppe Volpi.
Qualche anno dopo, trovandosi a comparare i due leader industriali e gli orientamenti espressi dall’organizzazione da ciascuno di essi guidata, Mussolini avrebbe sostenuto di essersi sempre trovato di fronte a un atteggiamento non favorevole delle «due Confindustrie» – quella di Volpi, che gli rimproverava il declassamento da centro di autonoma volontà a organo al diretto servizio della politica dominante; e quella di Pirelli, che chiamava a raccolta quel tanto di flebile liberalismo economico cui ancora era concesso diritto di vita – e di aver preferito sempre la prima.
Dal 1935 Pirelli dedicò grande impegno alla presidenza dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI) di Milano, fondato l’anno prima da un gruppo di studiosi di Pavia. Sotto la sua guida, l’ISPI divenne una delle istituzioni culturali più importanti del tempo, svolgendo una vasta attività editoriale e, per i futuri diplomatici, didattica.
Intanto la base produttiva della società Pirelli continuava a espandersi. Già nel primo decennio del secolo, al sito dell’originario stabilimento si aggiunse quello della Bicocca, vastissima area rurale a Nord di Milano, subito in parte coperta da uno stabilimento di nuova concezione che divenne operativo gradualmente dal 1908. Per gli accresciuti bisogni dell’azienda fu poi attivata una fabbrica di ingredienti chimici nella vicina Vercurago (Lecco). All’estero, agli impianti già esistenti in Spagna, Argentina e Inghilterra, a fine guerra si aggiunsero piantagioni di gomma in Asia, nonché società commerciali in una mezza dozzina di Paesi europei.
Maturò allora (1920) l’opportunità di riorganizzare il gruppo delle imprese sparse nel mondo. Si costituì a Bruxelles (per convenienza fiscale) una holding presieduta da Giovan Battista Pirelli, la Compagnie internationale Pirelli (CIP), che riuniva tutte le affiliate estere. Il controllo delle attività industriali italiane fu invece concentrato nella Società italiana Pirelli (SIP). Alla casa madre, l’accomandita Pirelli & C., rimasero solo compiti di finanziaria dell’intero gruppo. Alberto fu – assieme a Piero – amministratore di CIP e SIP; alla morte di Giovan Battista, nel 1932, gli succedette nella presidenza della CIP di Bruxelles, e divenne vicepresidente della SIP a fianco del fratello Piero presidente.
Negli anni Venti, tutto il gruppo registrò un forte sviluppo. Crebbero le basi produttive all’estero, grazie a un prestito obbligazionario negoziato con la banca Morgan: in Inghilterra si costruì (1928) una fabbrica di pneumatici, si rilevò uno stabilimento a Lione dalle Tréfileries du Havre (1930) e un’azienda in Belgio, la SACIC, produttrice di articoli vari fra cui maschere antigas (1932-36). Iniziativa gravida di futuro, nel 1929 fu fondata la Pirelli brasiliana, al cui capitale partecipò per un terzo la General Electric statunitense.
Nell’ambito politico, Alberto continuò a prestare la sua opera di esperto di economia e finanza nella lunga ricerca di sistemazione dei lasciti della guerra mondiale. Nel gennaio 1925 ebbe uno scontro indiretto, ma aspro con Mussolini quando questi annunciò in Parlamento misure repressive contro le opposizioni; ma Alberto non trovò solidarietà in Assonime né in Confindustria. In luglio Mussolini gli fece balenare un incarico ministeriale, che Alberto però schivò. Un’altra contrapposizione emerse alla fine del 1934 quando, a Mussolini che meditava di attaccare l’Etiopia con le armi, Pirelli suggerì di creare una società commerciale del tipo Compagnia delle Indie, per lo sviluppo economico dell’Abissinia; ma il suggerimento cadde nel vuoto, restando senza risposta.
Intanto, nel settore delle imprese private, gli era stata affidata la vicepresidenza della Edison e del Credito italiano, banca questa che, dalla fine degli anni Venti, versava in condizioni di estrema gravità, il suo patrimonio essendo carico di titoli industriali che nella crisi economica avevano perso gran parte del loro valore. Pirelli, stabilendo contatti personali con i ministri interessati e con l’appoggio di Alberto Beneduce, futuro capo dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), riuscì nel 1931 a realizzare il ‘salvataggio’ del Credito, nello stesso modo in cui un anno dopo Raffaele Mattioli riuscirà, a condizioni meno favorevoli, a ‘salvare’ la Banca commerciale da lui guidata.
Nel 1937, profilandosi un nuovo conflitto mondiale, Pirelli liquidò la CIP di Bruxelles e ‘neutralizzò’ il controllo finanziario del gruppo estero ponendolo sotto una nuova società di diritto svizzero, la Pirelli Holding, con sede a Basilea. In previsione delle difficoltà di approvvigionamento della gomma naturale, fu creato alla Bicocca un laboratorio sperimentale per la produzione di gomma sintetica, diretto da Giulio Natta. Pirelli da parte sua prese contatto con la tedesca I.G. Farbenindustrie, proprietaria del brevetto della Buna S, un processo di fabbricazione della gomma artificiale, e ottenne l’assenso di Mussolini alla partecipazione dell’IRI al capitale occorrente per costituire, a metà con la Pirelli, la Società anonima italiana gomma sintetica (SAIGS).
Fino al giugno 1940, negli incontri con Mussolini, Pirelli non perse occasione per cercare di dissuaderlo dal seguire nel conflitto l’alleato tedesco. Ma, dichiarata la guerra il 10 giugno, il suo motto fu: «Right or wrong, my country».
Nel 1943, alla caduta di Mussolini, Pirelli ebbe incontri con il re Vittorio Emanuele III, con il cardinale Luigi Maglione (segretario di Stato del Vaticano) e con il governo federale svizzero, alla vana ricerca di un modo per portare l’Italia a una pace separata, o gli Alleati a una direttrice di attacco che evitasse un’occupazione tedesca del territorio italiano.
Alla Liberazione, Pirelli, come altri undici capi d’impresa del Nord, fu soggetto a un ordine d’arresto (poi annullato) deliberato l’anno prima dal CLNAI (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia) per impedire che lui e gli altri responsabili d’impresa fossero i primi interlocutori dei comandi angloamericani. In realtà, già al termine di un’indagine preliminare a un eventuale procedimento di epurazione, Pirelli fu dichiarato non imputabile. L’azienda restò tuttavia commissariata, per effetto di un’ordinanza della commissione alleata di controllo che così dispose per tutte le aziende con più di duecento dipendenti. Commissari della Pirelli furono due suoi alti dirigenti: Cesare Merzagora (già direttore centrale amministrativo) e Luigi Rossari, capo del settore elettrico. Infine, l’assemblea straordinaria degli azionisti del 1946 reinsediò Piero e Alberto al comando della società, l’uno come presidente e l’altro come amministratore delegato.
La ricostruzione, gli aiuti del Piano Marshall e l’onda del ‘miracolo economico’ diedero al lavoro del gruppo una spinta crescente, favorita da un’intensa creatività dei suoi tecnici nei prodotti di consumo come nelle grandi opere pubbliche.
In quest’ultimo periodo della sua attività, Alberto Pirelli fu un europeista convinto e attivo. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, volendo lasciare alla sua città un simbolo che rappresentasse la punta del suo continuo progresso, affidò all’architetto Giò Ponti il disegno di un grattacielo per uffici, componente incancellabile del paesaggio milanese, subito popolarmente battezzato ‘il Pirellone’.
Nel 1956, morto il fratello Piero, la presidenza del gruppo passò ad Alberto, affiancato dai vicepresidenti Emanueli e Leopoldo Pirelli. Nel 1965 gli subentrò infine il figlio Leopoldo.
Morì a Casciago (Varese) il 19 ottobre 1971.
Opere. Sono moltissimi gli articoli e i saggi, in senso più o meno lato politici, pubblicati su periodici italiani e stranieri, dagli anni Dieci agli anni Sessanta. Limitando l’elenco ai soli libri di cui Pirelli è autore esclusivo (oltre alla citata tesi di laurea pubblicata a Milano nel 1904), si ricordano: Economia e guerra, I-II, Milano 1940; La Pirelli. Vita di un’azienda industriale, Milano 1946, fuori commercio; Dopoguerra 1919-1932. Note ed esperienze, Milano 1961, fuori commercio (ma presente nelle principali biblioteche nazionali); Pensieri e considerazioni, «Quaderni di formazione», n. 1, dicembre 1971, Milano; Taccuini 1922-1943, a cura di D. Barbone, Bologna 1984. Importanti epistolari sono quelli col figlio Giovanni: Alberto e Giovanni Pirelli, Legami e conflitti. Lettere 1931-1965, a cura di E. Brambilla, Milano 2002; con Federico Chabod sulla gestione dell’ISPI: Caro Chabod. La storia, la politica, gli affetti (1925-1960), a cura di M. Angelini - D. Grippa, Roma 2014.
Fonti e Bibl.: I documenti relativi alla storia dell’azienda in generale sono raccolti e consultabili a Milano, presso l’omonima Fondazione, nell’Archivio storico Pirelli; nello stesso luogo si conserva l’Archivio privato Alberto Pirelli, costituito da carte attinenti l’attività non aziendale (si veda, al riguardo, il sito www.fondazionepirelli. org/IT archivio).
A Roma nell’Archivio IRI è rintracciabile la documentazione riguardante la SAIGS.
F. Leith-Ross, Money talks. Fifty years of international finance, London 1968, ad ind.; P. Melograni, Gli industriali e Mussolini, Milano 1980, ad ind.; D. Barbone, L’internazionalizzazione come condizione di sopravvivenza. Il caso Pirelli, in Archivio storico FIAT, L’industria italiana nel mercato mondiale dalla fine dell’800 alla metà del ’900, Torino 1982, ad ind.; A. Anelli - G. Bonvini - A. Montenegro, Pirelli 1914-1980. Strategia aziendale e relazioni industriali nella storia di una multinazionale, I, Dalla prima guerra mondiale all’autunno caldo, Milano 1985; Y. De Begnac, Taccuini mussoliniani, a cura di F. Perfetti, Milano 1990, ad ind.; Pirelli 1872-1997. Cento-venticinque anni d’impresa, pubblicazione aziendale, Milano 1997; F. Amatori - A. Colli, Impresa e industria in Italia dall’unità ad oggi, Venezia 1999, ad ind.; D. Barbone, L’esperienza in Pirelli, in Cesare Merzagora. Il presidente scomodo, a cura di N. De Janni, Napoli 2004, ad ind.; N. Tranfaglia, Vita di A. P. (1882-1971). La politica attraverso l’economia, Torino 2010.