ZORLI, Alberto
ZORLI, Alberto. – Nacque a Bagnacavallo il 4 ottobre 1854 da Bernardino e da Camilla Melandri Contessi. Appartenente a famiglia di antica nobiltà, ebbe titolo di conte. Dal padre, impegnato nell’amministrazione locale, ricevette una salda educazione liberale, che la madre, figlia del noto chimico e cattedratico Girolamo Melandri Contessi, improntò al moderatismo cattolico (che nel Ravennate aveva come riferimento Luigi Carlo Farini). Questa tradizione culturale lasciò in lui una traccia duratura, segnando la sua concezione umanitaria e solidaristica dei rapporti sociali ed economici. Conclusi gli studi liceali, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza di Bologna, dove nel 1877 conseguì la laurea discutendo una tesi di economia politica intitolata L’uomo nel campo della scienza economica. Relatore era Angelo Marescotti, divulgatore di una scienza economica positivisticamente ancorata ai fatti, in cui l’adesione al liberismo si giustificava nell’interpretazione evoluzionista della lotta dell’uomo per il soddisfacimento dei bisogni, pur sostenendo il progressivo superamento dell’egoismo nella cooperazione. Era un evoluzionismo che richiamava Herbert Spencer, stemperandone però l’individualismo nella direzione del positivismo critico, di cui in Italia fu fautore Pietro Siciliani, che proprio nell’ateneo bolognese tenne l’insegnamento della filosofia teoretica e dal 1878 quello della sociologia. Di questo corso (P. Siciliani, Socialismo, darwinismo e sociologia moderna, Bologna 1879), Zorli, come lui stesso ebbe a ricordare (Emancipazione economica della classe operaia, Bologna 1881, pp. 39 s.), fu studente già laureato, traendone una decisiva influenza.
La sociologia di Siciliani aveva a fondamento la psicologia, ovvero l’indagine della formazione della persona umana, non riducibile all’individuo spenceriano e dunque non preminente risultato del processo di selezione naturale ma di un processo storico, da cui sarebbe emerso il primato della libertà e della morale sugli istinti egoistici.
Come economista Zorli fu nitida espressione del positivismo critico, che poteva adattarsi alla sociologia, al diritto e naturalmente all’economia. Ne derivò una visione organicistica del corpo sociale, il cui sviluppo era agito dal movente della convenienza economica, che al passo con il cammino storico della democrazia avrebbe potuto alimentare una coscienza collettiva solidaristica. Di qui discendeva il rifiuto di assolute leggi economiche, fino a riconoscere il fondamento dell’economia politica nei soli dati di fatto delle scelte individuali e sociali, osservabili nei bilanci delle aziende private e pubbliche e nella codificazione delle leggi tributarie e amministrative. Al tempo dell’affermazione e dello sviluppo teorico del marginalismo, la sua concezione economica appariva superata: ancora cercava una conciliazione metodologica tra scientismo positivista, etica e morale, richiamando quell’economia politica che specialmente fu fino al 1880 degli economisti cattolici liberali e di scuola storica, da Marco Minghetti a Fedele Lampertico. Eppure proprio da questo eclettismo venne il merito specifico di Zorli, sul piano intellettuale per il contributo alla sociologia fiscale, alla prima sistematizzazione del diritto tributario, alla formulazione dell’economia aziendale; e ancor più sul piano dell’organizzazione culturale, come promotore, direttore e proprietario della prima serie bolognese del Giornale degli economisti e poi del Giornale delle camere di commercio. Rivista teorico-pratica di economia sociale e finanziaria.
La sua attività scientifica prese avvio nel 1881 con la pubblicazione del ponderoso Emancipazione economica della classe operaia, che gli valse l’anno successivo la libera docenza in economia politica nell’Università di Bologna e la titolarità nello stesso ateneo di un corso libero di filosofia sociale.
Da un’affastellata esposizione critica del socialismo e del liberalismo aveva tratto la conclusione che l’emancipazione delle classi lavoratrici doveva realizzarsi nella solidarietà tra lavoro e capitale, che iniziava ad attuarsi nelle società democratiche e che richiedeva l’intervento dello Stato nella legislazione sociale e nell’istruzione pubblica a favore delle classi povere, riconoscendo in tal senso una funzione sociale anche all’arte (La funzione sociale dell’arte, Ravenna 1883).
Da questo punto di vista Zorli avrebbe definito la scienza economica come «economia sociale comparata», derivata dalla sociologia, al pari della morale, della politica e del diritto. Così scriveva in un articolo (Intorno all’opera del prof. S. Cognetti de Martiis. Le forme primitive nell’evoluzione economica, in Rivista di filosofia scientifica, 1881, vol. 3, pp. 208-216) occasionato dalla recensione di un libro di Salvatore Cognetti de Martiis, autorevole economista esponente in Italia della scuola storica, pubblicato sull’organo dei positivisti italiani, la Rivista di filosofia scientifica. Nelle pagine di questa rivista si sarebbe curiosamente occupato della psicogenesi, termine tratto dal positivismo di Siciliani, dei miti degli angeli e dei diavoli (Sull’origine di alcuni miti, psicogenesi dei miti, il culto delle pietre, gli angeli e i diavoli, pp. 526-542), attirandosi l’ironia della Civiltà cattolica (Del presente stato degli studi linguistici, 1882, vol. 11, pp. 427 s.); e avrebbe passato in efficace rassegna i diversi indirizzi della sociologia criminale (Questione penale e questione sociale, in Rivista di filosofia scientifica, 1885, vol. 4, pp. 85-102).
Sulle questioni interne ai rapporti tra positivismo, sociologia e storia tornò ancora nel 1885, criticando Spencer per aver postulato con scarso senso della realtà storica la trasformazione delle società da militari in industriali, dal momento che la condizione economica e politica degli Stati moderni ne evidenziava semmai la coesistenza (Della polemica fra Laveleye e Spencer nella Contemporary Review, in Rassegna critica di opere filosofiche, scientifiche e letterarie, 1885, vol. 5, pp. 307-311). Dello stesso anno è il primo lavoro (Sistemi finanziari, Bologna 1885) dedicato alla scienza delle finanze.
Nella prima parte è data esposizione sintetica della finanza teorica, conclusa definendo la scienza delle finanze come disciplina «storica e relativa», da cui non potevano trarsi sistemi di imposte generalmente validi per ogni Paese e in qualsiasi condizione economica (p. 107). Il richiamo era alla disputa metodologica sull’economia politica e sul ruolo dello Stato, che vedeva in Italia ancora contrapposti i liberisti capeggiati da Francesco Ferrara agli economisti di scuola storica con Luigi Luzzatti in prima fila. Nella parte del libro dedicata alla discussione dei sistemi tributari, avanzava proposte specifiche per la riforma fiscale in Italia, sostenendo l’abolizione dei dazi interni, l’istituzione di un’imposta generale sul reddito con discriminazioni come mezzo per attuare l’esenzione dei redditi minimi.
All’interesse specifico per la scienza delle finanze corrisposero gli incarichi di insegnamento che Zorli ottenne per questa disciplina dal 1883 al 1885 nella Libera scuola di scienze politiche dell’Università di Bologna e poi, a iniziare dal 1886, nell’Università di Macerata, dove divenne ordinario nel 1893 e rimase sino al termine della carriera. Intanto, aveva acquistato la proprietà del Giornale degli economisti, che sotto la sua direzione riprese dal gennaio 1886 la pubblicazione, dopo otto anni dalla sospensione della serie detta di Padova, già organo degli economisti di scuola storica. I due articoli di apertura erano affidati a Minghetti ed Émile de Laveleye, in segno di continuità con il passato ma, come scrisse (Breve storia della prima serie del “Giornale degli economisti” di Roma, in Giornale degli economisti e Annali di economia, I (1939), pp. 109-112), «pur mantenendosi fedele ai principi del Giornale di Padova, questo di Bologna avrebbe particolarmente curato di dirimere gli attriti fra gli economisti, divenendo una vera palestra per tutte le opinioni non sovversive» (p. 110). L’intento riuscì e accompagnò la scienza economica italiana fuori dalle secche del dibattito metodologico aprendosi al nuovo, fino all’ingresso dal 1890 nella direzione e nella proprietà del Giornale di Antonio De Viti De Marco, Ugo Mazzola e Maffeo Pantaleoni, artefici del marginalismo in Italia. Pur rimanendo comproprietario e condirettore sino al 1898, il ruolo di Zorli divenne irrilevante nella conduzione del Giornale, ormai distante nell’indirizzo dalla sua visione della scienza economica e della scienza delle finanze.
Rimasto fedele all’impostazione sociologica degli esordi, proprio nelle pagine del Giornale aveva pubblicato tre articoli in cui la scienza delle finanze era positivisticamente e ibridamente definita come scienza di sintesi costituita dal diritto tributario, dal diritto amministrativo finanziario e dalla scienza dei tributi (Autonomia della scienza dei tributi, in Giornale degli economisti, IV (1889), pp. 3-20; Tasse amministrative e tasse fiscali, pp. 367-382); a quest’ultima era attribuito il compito di studiare gli effetti delle imposte a partire dal movente fiscale, osservabile nelle leggi tributarie e ricondotto a una Teoria psicologica della finanza pubblica (ibid., V (1890), pp. 251-293), di fatto svolta nei termini propri della storia e della sociologia fiscale. Nel primo studio individuava la causa prossima del fenomeno finanziario nelle leggi tributarie, distinguendole in leggi riguardanti il contribuente e leggi riguardanti la pubblica amministrazione. Sviluppò questa distinzione nelle due parti di un Trattato di diritto finanziario (Bologna 1887, Brisighella, 1893): cosicché la legislazione delle attività finanziarie, circoscritta ai tributi gravanti sui cittadini, costituiva il diritto tributario (Diritto tributario italiano, Bologna 1887, rivisto e ampliato con il titolo Istituzioni di diritto tributario, Milano 1916), mentre la legislazione riguardante la pubblica amministrazione costituiva il Diritto amministrativo finanziario (Brisighella 1893). Sul piano metodologico adottava poi una duplice analisi, definita descrittiva per la parte dedicata allo studio di ciascun tributo e critica per la parte dedicata allo studio di una singola fase, per esempio quella delle esenzioni, di tutti i tributi. Da questo punto di vista, al di là della discutibile classificazione proposta, la trattazione di Zorli rimane nella storia del diritto tributario come un primo tentativo di sistematizzazione della disciplina, sino ad allora mera esposizione della legislazione in materia.
Zorli individuava la finalità storica dei sistemi tributari nell’elevazione morale delle masse, diretta dall’azione delle classi dominanti che, una volta raggiunto il potere, al puro sentimento egoistico sostituirebbero un sentimento altruistico, sia pure per una sorta di istinto di conservazione politica tradotto nella legislazione sociale e fiscale. In ciò si esplicava la teoria psicologica della finanza, evidentemente sociologica, che Zorli contrapponeva alla teoria socialisteggiante di Achille Loria e specialmente alla teoria dell’utilità soggettiva, allora posta anche a fondamento delle scelte di finanza pubblica da Emil Sax, Pantaleoni, De Viti e Mazzola.
Questi furono esplicitamente criticati in un libro pubblicato nel 1898 (I dati di fatto della scienza dei tributi, Torino 1898), che ampliava una precedente versione (La scienza dei tributi in rapporto alle recenti teorie economiche, Bologna 1889), in cui Zorli tirava le fila dei suoi studi argomentando la variabilità storica del fenomeno finanziario, pertanto spiegabile non sulla base di un principio teorico valido in ogni tempo, bensì sull’osservazione degli ordinamenti politici e giuridici degli Stati.
Il libro, aderendo nei contenuti a una concezione storica e sociologica della finanza pubblica, a tratti originale ma piuttosto confusa nell’esposizione, non ricevette particolare attenzione neanche, e significativamente, dal Giornale degli economisti, che si limitò a fornirne una brevissima e incolore notizia (A. Scopelliti, Nuove pubblicazioni: A. Zorli, I dati di fatto della scienza dei tributi, in Giornale degli economisti, IX (1898), p. 492).
Negli anni seguenti smise di occuparsi di scienza delle finanze. Si dedicò all’elaborazione di un’eccentrica scienza economica, retta dal principio della convenienza, diversa dall’utilità soggettiva, espresso come legge di adattamento all’ambiente dell’azienda sia privata sia pubblica e influenzato da sentimenti umanitari oltre che egoistici (Primi principi di economia sociale descrittiva e teoretica, Torino 1902; L’elemento giuridico e morale della convenienza economica, Roma 1906; L’elemento utilitario della convenienza economica, Torino 1912; Corso di economia politica, Macerata 1912; Trattato di economia sociale, Torino 1924). La politica economica e il riformismo sociale avrebbero dovuto mirare a dirigere verso un fine collettivo e solidaristico la convenienza delle aziende (Il fondamento teorico della politica economica: relazione al congresso di Padova, 20-26 sett. 1909, delle società per il progresso delle scienze, Lucca 1909). E ciò poteva valere per il riformismo cattolico (Democrazia cristiana e socialismo, Macerata 1904) e per quello socialista. A quest’ultimo si rivolse riecheggiando certa filosofia riformatrice settecentesca: «Nel determinare la convenienza sociale [...] il principio del giusto e dell’onesto deve prevalere sull’utile» (Sulla base teorica del riformismo. Lettera aperta all’on. Filippo Turati, Roma 1907, p. 7). Di questa costruzione teorica fece un paradigma per la lettura dei fatti economici e politici nei numerosi articoli pubblicati nel Giornale delle camere di commercio, di cui tenne la proprietà e la direzione ininterrottamente dal 1909 al 1928.
Da parte degli economisti la concezione economica di Zorli ebbe accoglienza trascurabile se non critica (G. Borgatta, Per una critica al prof. Zorli, in La riforma sociale, XXIII (1912), pp. 617 s.); favorevole fu invece da parte degli studiosi di ragioneria, ai quali si rivolse a più riprese (La scienza della ragioneria nel grande albero della filosofia positiva, Como 1911; La teorica della valutazione economica, in Rivista italiana di ragioneria, IV (1911), pp. 251-253; Ancora della ragioneria come scienza descrittiva, ibid., XII (1919), pp. 10-12; Di una nuova facoltà universitaria, ibid., XVII (1924), pp. 401 s.; La ragioneria scienza d’insieme, ibid., XXVI (1933), pp. 348 s.), sostenendo l’importanza dell’insegnamento della ragioneria e ricevendone riconoscimento per l’affermata centralità dello studio economico dell’azienda e dei bilanci, così da occupare un posto non secondario nella fondazione dell’economia aziendale come disciplina autonoma.
Collaboratore fino al 1918 del Giornale d’Italia e dal 1919 del Corriere d’Italia, Zorli accolse in politica le posizioni del Partito popolare. L’avvento del fascismo non lo trovò partecipe. Rettore dell’Università di Macerata dal 1924 al 1926, concluse la carriera accademica e cessata la pubblicazione del Giornale delle camere di commercio, intanto necessariamente divenuto Giornale dei consigli provinciali dell’economia nazionale, si impegnò esclusivamente nella diffusione della sua interpretazione dell’economia aziendale. L’ultimo articolo ne fu testimonianza esplicita: La scienza economica-aziendale è la vera unica scienza economica (in Rivista italiana di ragioneria, XXXII (1939), pp. 116 s.).
Morì a Macerata il 21 marzo 1939.
Fonti e Bibl.: Notizie su Zorli sono reperibili a Macerata presso l’Archivio storico dell’Università; in Annuario della nobiltà italiana: anno IV, Pisa 1881, p. 637 e in Gazzetta ufficiale del Regno d’Italia, 2 gennaio 1893, pp. 1109-1112.
Per una bibliografia imprecisa ma sufficientemente ampia degli scritti si rimanda a quella riportata in R. Soldi, A. Z. nella scienza economica e finanziaria, in Annali della regia Università di Macerata, XII-XIII (1939), pp. 285-315; I. Magnani, Dibattito tra economisti italiani di fine Ottocento, Milano 2003, ad ind.; L’Università di Macerata nell’Italia unita (1861-1966), a cura di L. Pomante, Macerata 2012, ad indi.; R. Aprile - M. Nicoliello, Gli albori dell’economia aziendale nel dibattito sulla Rivista italiana di ragioneria, in Contabilità e cultura aziendale, 2015, n. 1, pp. 121-143.