ALBICOCCO (lat. scient. Prunus armeniaca L. o Armeniaca vulgaris Lam.; fr. abricotier; sp. albaricoquero; ted. Aprikosenbaum; ingl. apricot-tree)
Albero da frutta della famiglia delle Rosacee, sottofamiglia Prunoidee, appartenente al genere Prunus. È di media grandezza, con le ramificazioni divaricate, che formano una chioma slargata; la scorza del tronco è bruno-violacea screpolata, i rami giovani sono rossastri, il legno è leggiero e di poco pregio. Le foglie sono ovali o quasi tonde, acuminate, un po' cuoriformi alla base, dentate al margine, lisce e lucide, un po' accartocciate da giovani, portate da un lungo picciuolo. I fiori, relativamente grandi, solitarî, sostenuti da un peduncolo breve, hanno calice rosso e petali bianchi o rosei, spuntano nella primavera prima delle foglie. Il frutto è una drupa globosa con un solco longitudinale più profondo che nella pesca; ha buccia sottile giallo-aranciata e tinta di rosso nella parte che guarda il sole, ricoperta di una lievissima pelurie; la sua polpa è gialla, succosa, dolce e profumata, più o meno aderente al nocciolo. Questo è di forma globoso-compressa, con margine affilato; contiene una mandorla, che può essere dolce o amara.
I Greci e i Romani conobbero l'albicocco al principio dell'era cristiana, importato dall'Asia Minore; esso era sconosciuto al tempo di Teofrasto; Dioscoride ne fa menzione sotto il nome di ἀρμενιακὸν μῆλον e dice che i Latini lo chiamavano πραικόκιον; Plinio lo ricorda col nome di praecocium, motivato dalla precocità di stagione della sua fioritura. Gli Arabi, nell'epoca in cui promossero l'incremento dell'agricoltura nel Mediterraneo, dalla voce latina alterata e premessovi l'articolo formarono al-barqūq, da cui derivano i nomi delle lingue europee moderne, mentre l'epiteto "armeniaco" si conservò in alcune denominazioni italiane della stessa pianta meno usate, quali pesco armeniaco, armeniaco, armellino.
Secondo l'opinione del De Candolle, generalmente seguita, esso è originario della Cina, dove era conosciuto oltre duemila anni a. C., e d'onde assai tardi pervenne nell'Asia occidentale, e l'origine armeniaca, indicata nel nome di Dioscoride, deve intendersi solamente nel senso che l'albero era coltivato in Armenia e che di là i Greci e i Romani l'avevano ricevuto.
L'albicocco è pianta di clima temperato-caldo, e prospera, oltre che in tutta l'Asia temperata, in tutti i paesi circummediterranei, specialmente nei più caldi, e si coltiva molto nell'Asia minore, in Siria, in Egitto, in Algeria. Riesce bene in tutta Italia, ma meglio nel mezzogiorno della penisola, in Sicilia, in Sardegna, e anche in Liguria; fiorendo molto presto in primavera, l'allegazione dei frutti viene compromessa dai geli tardivi molto frequenti nell'Italia settentrionale.
Dal Mediterraneo si è spinto nell'Europa media fin oltre il 50° lat., e di recente è passato in altre regioni della terra di clima simile, e oggi si coltiva abbastanza nell'Africa meridionale, negli Stati Uniti, nella Nuova Zelanda, nella Tasmania, in alcune parti dell'Australia ed altrove.
L'albicocco è una pianta rustica poco meno del mandorlo, poco esigente per il terreno e per le cure di coltivazione, poco soggetta a malattie, tranne che alla gommosi, dalla fruttificazione abbondante e relativamente costante. Preferisce i terreni leggieri, permeabili, l'esposizione a mezzogiorno o a levante; lo stallatico decomposto, oppure i terricciati, sono di molta efficacia nell'impianto; non richiede poi molta concimazione di mantenimento. È di rapido sviluppo: nei paesi caldi comincia a dar frutto dal 3° al 4° anno dall'impianto, e in 10 anni raggiunge il completo sviluppo e dura in produzione costante sino al 20° anno. Oltre che precoce di fioritura, la quale da noi avviene in febbraio-marzo, è precoce anche di maturazione, che avviene dalla metà di giugno.
Di albicocchi v'è un discreto numero di varietà, le quali si distinguono per i seguenti caratteri del frutto variamente combinati fra loro: grandezza, forma rotonda o ovale o allungata, colorito più o meno intenso, polpa attaccata al nocciolo, o spiccagnola, e più o meno succosa, mandorla dolce o amara, maggiore o minore precocità e resistenza. Alcune varietà si riproducono per seme, ma generalmente si ricorre all'innesto, e il più adatto è quello estivo ad occhio dormente; l'innesto può farsi sul franco, sul pesco, sul susino, sul mandorlo, ma gli ultimi due sono preferibili.
L'albicocca è principalmente frutto di consumo locale allo stato fresco, e per questo uso si preferiscono le varietà che presentano succosità, dolcezza, aroma e deliquescenza, la quale ultima qualità si rinviene più in quelle con polpa attaccata al nocciolo. Per le varietà da esportazione si richiedono la precocità e la resistenza; ma son sempre frutti delicati e poco si conservano. In Italia la regione vesuviana è la più rinomata per le albicocche primaticce, che sono anche molto zuccherine e profumate, e vengono spedite in tutti i paesi d'Europa. Per quelle da essiccare si richiede grandezza, polpa non molto acquosa, e che siano perfettamente spiccagnole, poiché si disseccano aprendole per metà ed estraendone il nocciolo si ricavano kg. 20 di albicocche secche da 1 q. di fresche. Se ne fa molta essiccazione al sole in Persia, in Armenia, in Siria, in Egitto, in Algeria; in Siria se ne fa una pasta che, distesa su tele, disseccandosi si riduce in fogli. Le albicocche si preparano anche sciroppate, candite; se ne fanno conserve, marmellate, ecc.
I semi, o mandorle, si usano in pasticceria e per la estrazione d'olio (30-45%) che surroga quello di mandorle dolci, al quale è simile; si esportano in quantità dall'Asia minore.
Specie giapponese di albicocco, diversa dal nostro, è il Prunus Mume Sieb. e Zucc., notevole per il suo vigore, per la fioritura precocissima e per gli ottimi frutti, che nel Giappone si preparano in confetture; questa specie ha molte varietà, alcune delle quali a fiori doppî e odorosi.
Bibl.: G. Molon, Pomologia, Milano 1901; D. Tamaro, Trattato di frutticoltura, Milano 1915.