ALBINAGGIO
Per albinatus o anche advenatus s'intendeva, originariamente, la situazione per cui i beni degli stranieri morti erano rivendicati, iure albanagii, dal signore del luogo ove era avvenuto il decesso, ovvero lo "ius regis vel domini loci in peregrinorum decedentium bonis" (Du Cange, 1883); ancor più in generale, come era comunemente previsto in Francia per il droit d'aubaine, l'albinaggio si riferiva alla situazione per cui gli stranieri "non succedunt nec eis succeditur", mentre "Rex omnia eorum bona occupat iure albanagii, exclusa omni parentela, coniuge et quocumque alio successore".
Dal capitolare del febbraio dell'806, noto come Charta divisionis Regnorum, apprendiamo che Carlo Magno, ripartendo l'Impero in tre Regni, concessi ai propri figli, con riferimento ai sudditi di questi disponeva che "haereditatem autem suam habeat unusquisque illorum hominum absque contradictione, in quocumque regno hoc eum legitime habere contingerit" (Capitularia, 1883, p. 128), così come la disposizione 367 dell'editto di Rotari, del novembre del 643, con riferimento ai wargangi defunti nel ducato longobardo, aveva previsto che "si filius legitimus habuerint, heredes eorum existant, sicut et filii langobardorum. Si filius legitimus non habuerint, non sit illis potestas absque iussionem regis res suas cuicumque thingare aut per quodlibet titulo alienare" (Giardina, 1934, p. 232). Provvedimenti che lascerebbero presupporre l'introduzione di un favor in un contesto che conosceva la generale successione legale del signore del luogo nei beni degli stranieri defunti, per cui, come si diceva in un diploma di Carlo Magno, "res peregrinorum propriae sunt regis". Una posizione comune anche agli statuti comunali, come ad esempio nel capitolo 21 delle consuetudini di Alessandria del 1179 (Pertile, 18732, p. 194), e peraltro sostenuta dalla dottrina dello ius commune in forza del principio per cui la testamenti factio era "iuris civilis et civibus tantum testari permittitur" (Fusinato, 1893, p. 236). Peraltro, il glossatore Azzone registrava una consuetudine bolognese per cui il cittadino succedeva all'ospite straniero "si apud eum decedat" (Summa Azonis, 1583, C. 6.59.4).
Un modo di neutralizzare la portata della consuetudine, considerata con particolare timore specialmente dai mercanti, si aveva mediante convenzioni e paci, come ad esempio quelle stipulate da Pietro d'Arborea con Genova, nel 1188 e 1192, da Genova con Mariano II di Torres, nel 1224, da Genova con Marsiglia, nel 1229 e 1251, con le quali sovrani e istituzioni s'impegnavano alla reciproca rinuncia all'esercizio del diritto di albinaggio o a non intervenire circa la disposizione sui beni dei cittadini dell'altra nazionalità impegnandosi a consegnarli ai legittimi eredi del defunto o all'istituzione di appartenenza (Morpurgo, 1869, pp. 255-258; Fusinato, 1893, pp. 240-241).
Contro tale consuetudine, ritenuta "divinis et humanis legibus inimica", si esprimeva il pontefice Eugenio III (m. 1153) condannandola, con specifico riferimento a quanto avveniva a Benevento, quale "usurpationem tam pessimam quae diuturnitate temporis pro consuetudine inolverat" (Vismara-Balladore Pallieri, 1946, p. 194). Una realtà, comunque, dura a morire se Alessandro III doveva intervenire ancora affinché gli stranieri avessero "testandi de rebus suis liberam potestatem" (De Vergottini, 1952, p. 127).
Una posizione contraria alla prava consuetudo dell'albinaggio a favore della Regia Curia era espressa, nel Regnum Siciliae, da Guglielmo II nell'assisa De intestatis, promulgata intorno al 1170, anche se, forse, con riferimento ai soli regnicoli defunti in città del Regno diverse dalla propria. L'assisa prevedeva, infatti, che "si quis burgensium vel aliorum, qui in ipsa civitate devenerit" fosse morto testato "ultima eius voluntas in integrum observatur". In caso di successione intestata, ove vi fossero dei figli del de cuius, a loro sarebbero andati due terzi dell'asse ereditario mentre il restante terzo "pro eius anima erogetur"; in assenza di figli, fatta eccezione per i beni feudali, sarebbero stati chiamati a succedere gli eredi legittimi "proximiores eius tam ex linea ascendentium et descendentium quam ex latere venientium"; e solo in assenza di eredi gli stessi due terzi dell'eredità sarebbero andati "ad opus curie". Le Assise normanne raccoglievano l'eco della legislazione bizantina vigente nell'Italia meridionale (ibid., pp. 129-131).
L'intervento più deciso contro il diritto di albinaggio era da ascriversi a Federico II, che nel 1220, in occasione della sua incoronazione imperiale romana in basilica Beati Petri, promulgava una specifica costituzione con cui si disponeva che "Omnes peregrini et advene [...] si testari voluerint, de rebus suis ordinandi liberam habeant facultatem; quorum ordinatio inconcussa servetur. Si vero intestati decesserint, ad hospitem nichil perveniat" (Constitutiones et acta, 1896, p. 109).
In caso di morte ab intestato, i beni del de cuius andavano affidati al vescovo, affinché provvedesse alla loro consegna ai legittimi eredi e, in mancanza di questi, era prevista la devoluzione di quegli stessi beni in pias causas.
Pene severe erano comminate all'eventuale ospite che avesse tenuto per sé sostanze del defunto, mentre si puniva con la perdita della testamenti factio quanti avessero impedito allo straniero di testare "ut in eo puniantur in quo deliquerunt".
Concretamente, con legge imperiale, subito notificata ai maestri di diritto bolognesi affinché l'introducessero nel corpus delle leggi imperiali, si prevedeva la testamenti factio degli stranieri e, contestualmente, si eliminava la chiamata alla successione sia del fisco imperiale, sia delle città, vuoi anche dei singoli ospitanti presso cui il de cuius veniva a morire.
Quantunque accolta fra le leggi del Codice (Auth. Omnes peregrini a C. 6. 59.10, De nutritoribus; Codici Domini Iustiniani, 1551, p. 1025), la disposizione fridericiana non dovette avere una vigenza se, ad esempio, Genova stipulava, nel 1224 con Mariano di Torres, nel 1229 con Marsiglia, nel 1232 con S. Egidio, trattati per escludere, in regime di reciprocità, l'applicazione del diritto di albinaggio ai danni dei loro cittadini (Fusinato, 1893, p. 241) e se, nel 1232, lo stesso Federico II concedeva ai veneziani che "si quis venetorum in regno nostro Siciliae mori contigerit, libere possint absque contrarietate aliqua condere testamentum et licite disponere de rebus suis et iuxta quod testator disposuit observetur" (Historia diplomatica, pp. 309-312).
Va altresì detto che, nonostante un certo favor nei confronti della posizione degli stranieri e una sostanziale avversione alla consuetudine dell'albinaggio si possa rilevare anche nelle Partidas di Alfonso X il Saggio per la Castiglia e negli Stabilimenta di Luigi IX per la Francia, oltre che nell'Assisa di Guglielmo II, i contenuti della Omnes peregrini non venivano recepiti nel fridericiano Liber Augustalis per il Regnum e Andrea d'Isernia si limitava solo ad apporre alla costituzione De poena mercatorum la glossa "Haec constitutio duplicat poenam predictam, quando per falsas mensuras et pondera decipiuntur peregrini, quos Imperator defendit, et quibus iura favorem impendunt, argumentum C. Communia de successionibus, Authen. Omnes peregrini" (Const. III, 52. 509).
Fonti e Bibl.: Codicis Domini Iustiniani […] libri novem priores, Lugduni 1551, p. 1025; Summa Azonis [...] in Codicem, ivi 1583; Constitutionum Regni Siciliarum libri III, Neapoli 1773, p. 409 s.; Historia diplomatica Friderici secundi, IV, 1, pp. 309 ss.; Capitularia regum Francorum, in M.G.H., Leges, Legum sectio II, I, a cura di A. Boretius, 1883, p. 128; Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, ibid., Legum sectio IV, II, a cura di L. Weiland, 1896, p. 109; Le Assise di Ariano, a cura di O. Zecchino, Cava dei Tirreni 1984. L. Volpicella, Del diritto di albinaggio, Napoli 1848; L. Morpurgo, Sulla condizione giuridica dei forestieri in Italia nei secoli di mezzo, "Archivio Giuridico", 9, 1869, pp. 255 ss.; A. Pertile, Storia del diritto italiano dalla caduta dell'impero romano alla codificazione, III, Padova 18732, pp. 187 ss.; G. Fusinato, Albinaggio(diritto di), in Il Digesto Italiano, II, 2, Torino 1893, pp. 235 ss.; N. Tamassia, Stranieri ed Ebrei nell'Italia meridionale dall'età romana alla sveva, "Atti del R. Istituto Veneto di Scienze Lettere e Arti", 63, 1903-1904, pp. 761 ss.; C. Giardina, Il capitolo 367 dell'editto di Rotari, "Rivista di Storia del Diritto Italiano", 7, 1934, pp. 231 ss.; B. Paradisi, Storia del diritto internazionale nel Medio Evo, I, Milano 1940, pp. 395 ss.; G. Vismara-G. Balladore Pallieri, Acta pontificia iuris gentium, ivi 1946, p. 194; G. De Vergottini, Studi sulla legislazione imperiale di Federico II in Italia. Le leggi del 1220, Milano 1952, pp. 123 ss.; M. Ascheri, Lo straniero nella legislazione statutaria e nella letteratura giuridica del Tre-Quattrocento: un primo approccio, in Forestieri e stranieri nelle città basso-medievali, Firenze 1988, pp. 7 ss.; C. Storti Storchi, Ricerche sulla condizione giuridica dello straniero in Italia dal tardo diritto comune all'età preunitaria. Aspetti civilistici, Milano 1990; A. Romano, Stranieri e mercanti in Sicilia nei secoli XIV-XV, in Cultura ed istituzioni nella Sicilia medievale e moderna, Soveria Mannelli 1992, pp. 83 ss.; G. Di Renzo Villata, La 'Constitutio in Basilica Petri', in Studi di storia del diritto, II, Milano 1999, pp. 151 ss.; A. Romano, La 'constitutio Omnes peregrini' e il 'Liber Constitutionum'. Stranieri e mercanti nella legislazione fridericiana, in Federico II e la civiltà comunale nell'Italia del Nord. Atti del convegno (Rivellino, Castello Visconteo, 13-15 ottobre 1994), a cura di C.D. Fonseca-R. Crotti, Roma 2001, pp. 175 ss. Ch. Du Cange, Glossarium Mediae et Infimae Latinitatis, I, Niort 1883, p. 162, s.v. Albanagium.