PIERRO, Albino
– Terzogenito di Giuseppe Salvatore, possidente terriero, e di Margherita Ottomano, maestra elementare, nacque a Tursi, nel Materano, il 19 novembre 1916.
Morta la madre poco dopo la sua nascita, fu allevato da due sorelle nubili del padre, le zie Assunta e Giuditta, più volte ricordate nelle poesie in lingua e in dialetto. Alla fine della scuola primaria Pierro proseguì le classi medie e ginnasiali prima in collegio a Taranto, poi a Salerno, trasferendosi per gli studi liceali a Sulmona, dove insegnava il cugino Guido Capitolo, che seguì poi a Fusine, presso Tarvisio. Ma il giovane Pierro, di temperamento ribelle, provava fastidio per la routine scolastica, preferendo dedicarsi a letture intense e disordinate. Dopo un breve ritorno a Tursi, in seguito all’interruzione degli studi liceali, si trasferì nuovamente in Friuli. Nel 1936 cambiò un’altra volta città, sempre al seguito del cugino Guido: questa volta a Novara, dove studiò pianoforte rivelando un apprezzabile talento musicale, in seguito non coltivato.
Lasciata Novara, nel 1939 passò a Lanuvio, nei pressi di Roma, dove il fratello Maurizio era maestro elementare, quindi raggiunse Roma, dove riprese gli studi conseguendo da privatista il diploma magistrale e successivamente, nel 1944, la laurea in pedagogia discutendo una tesi su sant’Agostino. Collaborava intanto a Il Balilla, per cui scriveva racconti e favole per bambini, e a La Rassegna nazionale, nelle cui pagine veniva pubblicando le prime poesie. Nel 1942 aveva sposato Elvira Nardone, dall’unione con la quale nacque, l’anno successivo, la figlia Maria Rita, ispiratrice e dedicataria di tante poesie in lingua. Avviò intanto a Roma una carriera di professore di filosofia nelle scuole secondarie; in seguito fu anche ispettore ministeriale. Le vacanze estive Pierro le trascorreva intanto a Tursi, dove aveva l’opportunità di rinfrescare alla fonte quel dialetto che divenne la lingua poetica pressoché esclusiva della maturità artistica.
Negli anni avvenire la biografia di Pierro non conosce fatti degni di nota, coincidendo in sostanza con la storia della sua poesia, da Liriche (Roma 1946) fino a Nun c’è pizze di munne (Non c’è angolo della terra, Milano 1992).
L’interesse per la poesia nel dialetto lucano di Tursi travalicò presto i confini nazionali, dando luogo a traduzioni nelle più importanti lingue europee. I ritorni a Tursi si erano intanto venuti facendo via via più brevi e sporadici. Nell’ottobre del 1982 la città organizzò un grande convegno in suo onore, che rappresentò per lui la consacrazione nella sua terra. Dieci anni più tardi, nel 1992, l’Università della Basilicata gli conferì la laurea honoris causa. Ma l’insoddisfazione permanente, l’ansia di riconoscimenti, le precarie condizioni di salute che gli impedivano di portare a stampa una produzione manoscritta divenuta imponente, non gli consentirono di vivere in serenità gli ultimi anni, che trascorse nel modesto appartamento di un villino nel quartiere romano di Monteverde.
Morì a Roma il 23 marzo 1995.
Pierro è noto soprattutto come poeta dialettale, anche se esiste una sua lunga stagione di poesia in lingua. La conversione dalla lingua al dialetto è stata narrata dal poeta come una folgorazione avvenuta il 23 settembre 1959, nel corso di un viaggio da Tursi a Roma, allorché compose Prima di parte (Prima di partire), poi confluita nella raccolta ’A terra d’u ricorde (La terra del ricordo, Roma 1960). Ma sono anche gli anni di Il mio villaggio (Bologna 1959), di Agavi e sassi (Roma 1960), le due raccolte in lingua che facevano seguito ad altre sei, da Liriche (cit.) a Poesie (Roma 1958).
La critica si è interrogata sulle ragioni e le modalità del passaggio da un codice linguistico all’altro, su quanto in realtà si tratti di mutamento radicale o non piuttosto di un felice assestamento. È opinione generale che ci sia continuità fra i due tempi. Lo dimostra, se non altro, il fatto che Pierro continuò a pubblicare in lingua anche dopo la scoperta del dialetto. Ma la novità della poesia tursitana, la nascita di una raffinata lingua poetica costruita con i mezzi linguistici del dialetto arcaico di un paese lucano mai prima assurto alle forme letterarie, erano tali da indurre l’autore ad approfondire piuttosto la ricerca in quella direzione, a sperimentare cioè fino in fondo e in una molteplicità di registri le risorse di quella che è stata considerata l’ultima lingua poetica romanza.
I temi della lirica tursitana non differiscono molto dai precedenti in lingua: poesia del ricordo e poesia esistenziale, nelle quali memoria del passato e scavo interiore ora si alternano ora si intrecciano. C’è poi la poesia d’amore, con un’incidenza quantitativa e qualitativa ben altrimenti significativa rispetto all’esperienza in lingua; infine i poemetti narrativi, tipologia così caratterizzante dell’arte di Albino Pierro. Una produzione dunque a largo spettro, per descrivere la quale l’approccio più proficuo è quello di seguire le linee tematiche piuttosto che la cronologia delle edizioni. Pierro, infatti, è un poeta ‘senza storia’, privo di sviluppo, anche perché i singoli componimenti inclusi nelle raccolte non riflettono quasi mai la cronologia di composizione.
La tematica del ‘paese’ costituisce una delle assi portanti della produzione sia in lingua sia in dialetto. Il territorio di Tursi, fatto di colline brulle e burroni, ma a valle ricco di campagna verdeggiante, si trasforma in un paesaggio interiore in grado di rappresentare l’intera gamma dei moti di un animo sempre altalenante tra stati di euforia e di abbattimento. Pierro riesce a strutturare con le ‘cose’ di Tursi una sua personale mitografia, rendendole universali in una lingua poetica costruita paradossalmente su un dialetto di periferia estrema.
All’interno della poesia del ricordo un posto particolare è costituito appunto dai poemetti. Al centro di alcuni di essi si rinvengono personaggi bizzarri di paese, raccontati in scene esilaranti tra il grottesco e il surreale, con i quali la massa corale dei paesani interferisce e cui, talora, lo stesso poeta-personaggio fa da spalla. Pierro non li inventa, li racconta attraverso la lente deformante del suo umorismo.
La poesia d’amore costituisce dal punto di vista tematico, come già detto, la novità sostanziale del Pierro dialettale. La prima e più nota raccolta di argomento amoroso, I ’nnammurète (Gli innamorati, Roma 1963), leggibile come un canzoniere, descrive fondamentalmente l’impossibilità dell’idillio, cioè dell’amore pacificamente goduto: i rari momenti di grazia degli amanti sono intervallati da pianti, angosce, incomprensioni, allontanamenti e difficili ritorni.
Intorno alla poesia di memoria e alla poesia d’amore si svolge l’altro grande motivo della lirica di Pierro, definibile per comodità espositiva come poesia esistenziale, rappresentato da alcune raccolte in maniera specifica (Famme dorme, Lasciami dormire, Milano 1971; Curtelle a lu sóue, Coltelli al sole, Bari 1973; Sti mascre, Queste maschere, Roma 1980; Com’agghi’ ’a fè?, Come debbo fare?, Milano 1986), ma i cui temi affiorano, qualsiasi sia il contesto, ogni volta che il poeta scava all’interno del suo animo.
Di fatto tutta la poesia di Pierro ha carattere introspettivo. Curtelle a lu sóue e Sti mascre rappresentano i risultati più alti di questo volto per essenzialità del discorso lirico e omogeneità stilistica. Il dialetto di Tursi e gli ‘oggetti’ di quel mondo vanno insomma a costituire un repertorio di simboli utili a rappresentare in forme originalissime la condizione umana.
La cultura poetica di Pierro è tanto vasta quanto dissimulata. Se nelle raccolte in lingua è abbastanza riconoscibile la presenza della tradizione poetica italiana otto-novecentesca, da Foscolo e Leopardi a Pascoli, d’Annunzio, i crepuscolari, Ungaretti e Quasimodo, nelle raccolte in dialetto la filigrana delle riprese diventa più difficilmente decrittabile. La personale lingua poetica di Pierro, per tanti versi fuori dal tempo, lascia intuire presenze che vanno dai lirici greci ai poeti latini (Lucrezio in particolare), dai provenzali, gli stilnovisti e Dante ai romantici tedeschi e ai simbolisti francesi. C’è poi il libro dei Salmi, il cui sfondo è straordinariamente affine al paesaggio lucano rappresentato: anche lì il vento, la rupe, l’argilla, la parete che crolla, i fossati, l’erba che nasce. Prospettiva che il poeta contamina con altre modalità tipiche della poesia religiosa, come il ricorrente uso metaforico della luce e del buio o l’aspirazione all’annichilimento coglibile nell’insistenza impietosa di paragoni svolti col gusto barocco di tanta letteratura mistica.
Vi è infine da aggiungere che, accanto al Pierro edito, nelle carte lasciate dal poeta sono conservate ben oltre un migliaio di poesie dialettali inedite, composte tra il 1975 e il 1985, dunque un numero tre volte maggiore di quelle in dialetto pubblicate in vita. Il dato unificante di tale produzione è l’uniformità metrica della quasi totalità dei componimenti: quattro quartine di endecasillabi a rima alterna. Costringendosi così a lungo a versi rimati a schema obbligato, come mai prima aveva fatto, Pierro ingaggia una prova di forza continua con la sua lingua poetica, sottoponendola a una tensione che deforma semanticamente le parole e le carica di un’espressività ai limiti dell’oscuro. Per definirne la qualità si è ricorso con frequenza alla categoria dell’espressionismo: l’ultimo Pierro, ancora largamente inedito, farebbe insomma segnare il punto più avanzato della sua attitudine sperimentale, ma anche l’espressione più marcata del suo pessimismo.
Opere. Le poesie in lingua e in dialetto pubblicate in vita sono raccolte in A. Pierro, Tutte le poesie. Edizione critica secondo le stampe, a cura di P. Stoppelli, Roma 2012, cui ci si può riferire per la bibliografia e la cronologia delle raccolte, delle edizioni antologiche e di quelle in traduzione.
Fonti e Bibl.: Le carte di Pierro, inclusa la grande mole dei testi inediti, sono in deposito presso il Centro Archilet del Dipartimento di filologia dell’Università della Calabria, ad Arcavacata di Rende (Cosenza). Di questi materiali è stata edita criticamente una raccolta antologica (relativa all’anno 1983), in A. Pierro, Poesie per il 1983. Diario inedito, a cura di L. Formisano, Bologna 1999.
Alcuni dei più importanti studi critici sono raccolti in atti di convegni: P. al suo paese. Atti del Convegno su ‘La poesia di A. P.’, Tursi… 1982, a cura di M. Marti, Galatina 1985; Il transito del vento: il mondo e la poesia di A. P., Salerno. Atti del Convegno… Salerno 1985, a cura di R. Meccia, Napoli 1989; P. al suo paese: dieci anni dopo. Atti del convegno, Potenza… 1992, a cura di C.D. Fonseca, Galatina 1993. Principali monografie: C. Vico Lodovici, P., Roma 1958; A. Piromalli, A. P.: dialetto e poesia, Cassino 1979; G. Delia, La ‘parlèta frisca’ di A. P., Cosenza 1988; G. Savarese, I colori di Carmen: Saba, Svevo e altri contemporanei, Roma 1988, pp. 99-142; E. Giachery, A. P. grande lirico, Torino 2003; G. Di Fonzo, La rosa e l’inverno. La poesia di A. P., Galatina 2008. Altri saggi rilevanti: G. Folena, introduzione in A. Pierro, Nu belle fatte / Una bella storia / Une belle histoire, Milano 1977; G. Contini, postfazione in A. Pierro, Com’agghi’ ’a fè? / Come debbo fare? / Comment dois-je faire?, Milano 1986; F. Zambon, introduzione in A. Pierro, Un pianto nascosto, Torino 1986; [G. Pugliese Carratelli - L. Blasucci - G. Savarese - P. Villani], Incontro con A. P., Napoli 1992; [L. Blasucci - T. Bolelli - M. Feo - G. Nencioni -Au. Roncaglia - A. Stussi], Sei voci su A. P., coordinate da A. Stussi, in Annali della Scuola normale superiore di Pisa, cl. di lettere e filosofia, s. 3, XXIV (1994), pp. 939-972. Studi linguistici: R. Bigalke, La rievocazione del dialetto tursitano nell’opera di A. P., in Il transito del vento: il mondo e la poesia di A. P., Salerno. Atti del Convegno... Salerno 1985, a cura di R. Meccia, Napoli 1989, pp. 21-31; J. Trumper, Il dialetto poetico di A. P., in La poesia in dialetto di A. P. nel decennale della sua scomparsa, Atti del convegno, Arcavacata di Rende (CS)… 2005, a cura di N. Merola, Soveria Mannelli 2008, pp. 77-95. Sul lessico di Pierro è uno strumento fondamentale V. Tisano, Concor-danze lemmatizzate delle poesie in dialetto tursitano di A. P., Pisa, 1985, di cui si v. anche, Varianti grafiche e problemi di interpretazione fonetica nei testi dialettali di A. P., in Il dialetto dall’oralità alla scrittura. Atti del XIII Convegno internazionale per gli studi dialettali italiani, Catania-Nicosia… 1981, Pisa, 1984, pp. 279-296.