ÀLBIZZI o, secondo la grafia antica, Àlbizi
Una delle principali famiglie dell'antica Firenze, tanto che la sua storia s'immedesima con quella del comune, nel periodo di tempo che va dalla metà del sec. XIV all'anno 1434, quando Cosimo dei Medici il vecchio stabilisce solidamente il predominio della propria famiglia nella repubblica; impresa, questa, che per poco non era riuscita agli Albizi stessi, i quali pur l'avevano tentata con sagace persistenza. Circa le sue origini, possiamo con sicurezza affermare soltanto che il personaggio più antico, di cui si abbia contezza, è un Albizo di Piero, il quale nel 1199 giurò osservanza alla lega guelfa toscana; e che egli proveniva da Arezzo, dove i suoi, che secondo la tradizione sarebbero discesi in Italia al seguito di Ottone III, erano denominati dei Malmonaci. Inscritti all'Arte della lana, donde attinsero grandi ricchezze, gli Albizi si trovano fino dal 1210 compresi fra le famiglie consolari del sesto di borgo S. Piero. Istituito il governo delle Arti, conseguirono 93 volte il priorato, 15 l'ufficio supremo di gonfaloniere di giustizia. Innumerevoli sono i membri di questa prolifica stirpe che si segnalarono nei più alti uffici pubblici, nelle lettere e in altri studî. Gli Albizi, in Firenze, seguirono sempre la parte guelfa; anzi cooperarono validamente alla cacciata dei Bianchi, dopo di che, con altre potenti famiglie della fazione dei guelfi neri, opposero un insuperabile ostacolo alla smodata ambizione di Corso Donati. Essi ebbero pure parte eminente in una delle congiure che scoppiarono simultaneamente contro il duca di Atene nel 1343. Sembra che poi abbiano procacciato di cattivarsi il favore popolare, perché, essendo stato il numero delle Arti ridotto a 14, vollero nel 1349 che fosse riportato a 21, facendo ripristinare le Arti minori soppresse. Approvate le leggi contro i ghibellini, ad istigazione, come fu detto, dei Ricci, che speravano di colpire con esse il partito degli Albizi loro rivali, questi ultimi si fecero a caldeggiarle apertamente, cosicché i Ricci furono costretti a farsi una nuova base fra coloro che le avversavano. Le vicende di quella lotta, interessantissime e complicate, in cui gli Albizi emergono come capi della setta dei capitani di parte guelfa, i quali, con le ammonizioni, escludevano i loro avversarî dagli uffici sotto la taccia di ghibellinismo, sono parte integrale della storia fiorentina nel '300 (v. firenze). Nel 1378, allo scoppiare del tumulto dei Ciompi, che fu in parte alimentato anche da un moto di reazione che serpeggiava per la città contro la trentennale tirannide di quella setta, le case degli Albizi furono incendiate, ed essi dovettero porsi in salvo con la fuga. In esilio, non desistettero però dal congiurare per il ritorno. Piero, l'autorevole capo della consorteria, arrestato nel 1379 nei pressi della città, sostenne anche fra i tormenti la propria innocenza e s'indusse ad accusarsi soltanto quando seppe in pericolo la propria famiglia. Onde ebbe mozza la testa. Abbattuto nel 1382 il governo popolare e ritornati al potere gli oligarchi, Maso, nipote del predetto Piero, fu a capo del partito dominante e nel 1393, essendo gonfaloniere di giustizia, dopo avere, mediante l'opera di una balía, riformato radicalmente la costituzione, saziò la sete di vendetta facendo esiliare in perpetuo gli Alberti ed altri autorevoli cittadini, che erano stati avversi ai suoi. La repubblica salì al più alto grado di potenza durante il predominio di Maso e del figlio di lui Rinaldo, che successe nel posto al padre morto nel 1417 (v. a. rinaldo). Ma egli dovette soccombere nella lotta contro Cosimo dei Medici, e dopo di lui la famiglia, pur mantenendosi in un grado eminente, non poté vantare fra i suoi membri altri uomini che lasciassero di sé una traccia così luminosa. Gli Albizi usarono per stemma due cerchi d'oro concentrici in campo nero; Maso di Luca vi aggiunse il capo d'argento con la croce nera per privilegio concessogli dall'Ordine Teutonico, a cui era ascritto. Ebbero le loro case nel borgo di S. Pier maggiore, ch'ebbe poi nome da loro; e possedettero fra l'altro fin dal 1348 il celebre castello di Vincigliata, che passò poi agli Alessandri. Questi furono un ramo degli Albizi separatosi nel 1372 dal ceppo principale, quando Alessandro e Bartolommeo di Niccolò, dissentendo dai loro consorti, ottennero di cambiare arme e cognome. Da allora, godettero per 23 volte il priorato e per 9 il gonfalonierato di giustizia.
Bibl.: P. Litta, Famiglie celebri italiane, Torino 1876, disp. 168; S. Ammirato, Famiglie nobili fiorentine, I, Firenze 1615, p. 25; P. E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie toscane ed umbre, I, Firenze 1668, p. 325; U. Dorini, Notizie storiche sull'Università di parte guelfa in Firenze, Firenze 1902; A. Rado, Maso degli Albizi e il partito oligarchico in Firenze dal 1382 al 1393, Firenze 1926 (con ampia bibl.).