DELLA SETA, Alceste
Nacque a Roma il 13 dic. 1873 da Giona e da Laura Amati, ambedue di origine israelita.
Il padre, Giona, dal giugno al settembre 1866, nel corso della terza guerra d'indipendenza, fece parte delle formazioni garibaldine. In seguito divenne vicedirettore delle Poste a Massa, dove si spense nel giugno 1902. La madre, Laura Amati, di non comune cultura (aveva studiato privatamente letteratura, filosofia e scienze con A. Vannucci e con S. Cadet, che ebbero per lei grande considerazione), minata nel fisico dalla nascita di altri sei figli, morì a soli 38 anni, nell'aprile 1887.
Conseguita nel 1891 la licenza liceale, il D. si iscrisse all'università e nel 1895 si laureò in giurisprudenza. Nel 1896 aderì al partito socialista italiano (PSI), compiendo una scelta alla quale non fu estranea l'influenza del pensiero di A. Labriola, di cui, nel 1892-93 e nel 1894-95, aveva seguito le lezioni di filosofia della storia, e che gli parve in ideale continuità con la milizia risorgimentale paterna.
Nel movimento operaio organizzato erano ancora tangibili gli effetti della reazione crispina e nuovi e più gravi problemi sorgevano con la repressione delle agitazioni del 1898, quando il D. divenne uno dei principali collaboratori di Presente e avvenire, rassegna bimensile socialista popolare, pubblicata a Roma dal maggio 1898 al novembre 1899 sotto la direzione di E. Marabini.
I suoi articoli (molti dei quali in apertura di fascicolo), firmati per esteso o con lo pseudonimo "Silk", trattarono dei sanguinosi scontri di Milano, della guerra ispano-americana, del processo Dreyfus, dello sviluppo internazionale degli armamenti, della crisi del liberalismo, rivelata dal ricorso alla politica degli stati d'assedio per contrastare la lotta di emancipazione delle classi lavoratrici. In precedenza articoli e poesie (come, nel 1895, Primo Maggio ed Emigranti) del D. erano apparsi sul Risveglio di Forlì. Nel luglio e nel settembre 1898 due suoi articoli vennero pubblicati sul quindicinale torinese Germinal. Lungo il 1899 non ebbe invece seguito la preannunciata collaborazione alla Rivista critica del socialismo, diretta da F. S. Merlino.
Nell'estate del 1899 il D. si trasferì a Firenze per esercitarvi l'attività forense. Durante i più che cinque anni di residenza nel capoluogo toscano egli accomunò costantemente l'impegno professionale a quello politico e strinse saldi legami di amicizia con autorevoli esponenti sindacali e del partito della città, quali S. Del Buono, A. Angiolini, G. Pescetti, G. Gualterotti, A. Caroti, P. Ciotti. Fu consulente legale della Camera del lavoro. Nel dicembre 1901 e nell'aprile 1902, grazie al suo patrocinio, la Difesa, settimanale dei socialisti fiorentini, fu assolta nelle cause intentatele per vilipendio delle istituzioni dopo la pubblicazione di articoli di critica alla monarchia e alle forze armate. Della stessa Difesa, per la quale scrisse più volte (di rilievo l'articolo Civiltà socialista sullo sciopero delle mondariso di Molinella, pubblicato sul numero del 2 sett. 1900), fu direttore per un anno tra il 1902 e il 1903. Un altro periodico fiorentino, la Rassegna popolare del socialismo, aveva ospitato suoi articoli nel settembre e nel novembre 1899.
All'inizio di maggio 1901 il D. venne chiamato a far parte della commissione costituita dalla federazione socialista fiorentina per lo studio delle questioni amministrative e un anno dopo, in occasione delle elezioni per il rinnovo parziale del Consiglio comunale (giugno 1902), fu presentato candidato e divenne consigliere comunale (un insuccesso si rivelò, al contrario, la sua candidatura al Consiglio provinciale). Dai banchi della minoranza, nel corso dei diciotto mesi del mandato, prese la parola per denunciare le condizioni deficitarie di importanti servizi cittadini (gas e acqua), per sostenere le rivendicazioni degli insegnanti delle scuole primarie in materia di organico e di retribuzione, per respingere la concessione di sussidi municipali alla Camera del lavoro, preoccupato che ne riuscisse lesa l'autonomia di classe. Sciolto anticipatamente il Consiglio nel novembre 1903, le elezioni amministrative generali del febbraio 1904 lo riportarono a palazzo Vecchio.
In questa tornata, come in quella del 1902, i socialisti fiorentini avevano presentato una lista di partito, non accogliendo le proposte di alleanza con altre formazioni politiche, e il D., insieme col Caroti, si era pronunciato a favore della tattica intransigente. Nell'aprile dello stesso 1904 partecipò a Bologna ai lavori dell'VIII congresso nazionale del PSI votando l'ordine del giorno Ferri, che ebbe la maggioranza. Il 24 maggio in Consiglio comunale commemorò i tre morti e i quattordici feriti provocati una settimana prima a Cerignola dalle forze dell'ordine, che avevano aperto il fuoco sui lavoratori agricoli che dimostravano contro la disoccupazione.
Agli anni fiorentini risale la pubblicazione di due opere del D. di carattere letterario, Dolore altrui (Milano 1900) e L'unico (Firenze 1903), dai molti rimandi autobiografici. Vi si scopre il fascino che esercitarono su di lui le proposizioni positiviste del Nietzsche di Umano, troppo umano e l'individualismo di Max Stirner. In Dolore altrui, dove è pure presente una traccia di problematiche sociali (agitazioni agricole, condizioni di lavoro della manodopera edile, indigenza e ribellismo nella periferia urbana), in particolare si coglie tutto lo spessore del dramma vissuto dall'autore adolescente per la scomparsa della madre, anticipato già, per altro, in una poesia di qualche anno prima (Presagio), rimasta inedita.
Alla fine del gennaio 1905 il D. fece ritorno a Roma, dove da allora risiederà. Nella capitale lo seguì il fascicolo informativo che le autorità di Pubblica Sicurezza gli avevano intestato nel novembre 1902. A Roma, nell'ottobre 1906, partecipò, schierato con gli integralisti, al IX congresso nazionale del partito, dove con A. Bianchi, delegato di Firenze, presentò un ordine del giorno che sollecitava i socialisti a riprendere con slancio la propaganda antimilitarista. In occasione delle elezioni amministrative generali del 10 nov. 1907 fu candidato nella lista del blocco liberale popolare e divenne consigliere in Campidoglio. Nell'Unione socialista romana il D. si era fermamente opposto alla ratifica dell'intesa con i liberali costituzionali, i radicali e i repubblicani che riteneva incoerente per un partito classista e ostile alla monarchia. Lo spirito di disciplina aveva finito poi per prevalere sulle convinzioni personali. I suoi interventi nell'assemblea capitolina furono soprattutto connessi ad avvenimenti politici. Prese infatti la parola per commemorare le vittime degli incidenti di piazza del Gesù nell'aprile 1908, per ribadire, nel 1909, la contrarietà dei socialisti verso il preannunciato viaggio in Italia dello zar Nicola II e, nel novembre 1911, per denunciare l'avventura coloniale in Tripolitania. Nel settembre 1910 il I congresso nazionale dei consiglieri comunali e provinciali appartenenti al PSI tenutosi a Firenze, lo nominò nella commissione che doveva redigere lo statuto dell'Associazione degli amministratori socialisti. Nel luglio 1912, dopo che il XIII congresso del partito si era espresso per la fine delle alleanze eterogenee nelle assemblee locali, fu il primo a dimettersi dal Consiglio (nella circostanza B. Mussolini gli inviò un biglietto di congratulazioni), ma vi rientrò come membro della minoranza socialista grazie ai risultati delle elezioni suppletive del dicembre del medesimo anno. Nel 1913 fu candidato alle elezioni politiche generali nel IV collegio della capitale, ma ottenne pochissimi suffragi. In Campidoglio fu ancora eletto nel 1914 e nel 1920 e vi rimase sino al commissariamento del Comune nel 1923, preludio alla trasformazione, nel 1925, dell'amministrazione in governatorato.
All'XI e al XII congresso nazionale il D. mosse un deciso attacco all'insieme della linea politica riformista del PSI. A Milano (ottobre 1910), nella lunga relazione che presentò sulle spese militari e sull'antimilitarismo (cfr. A. Della Seta, Il Partito socialista e le questioni dell'antimilitarismo,Roma 1910), imputò ai riformisti anche di aver sottovalutato i problemi posti dal militarismo.
Chiese inoltre l'urgente attuazione di iniziative per impedire l'impiego dei soldati in servizio di ordine pubblico nel corso delle vertenze di lavoro e richiamò l'attenzione dei delegati sulla pericolosità del "neo-nazionalismo irredentista". Al congresso di Modena (ottobre 1911), che si svolse nel pieno dell'invasione italiana della Tripolitania, il D. denunciò la legittimazione e lo spazio politico offerti dai riformisti ai progetti di larghi compromessi con la borghesia che, oltre ad aver condotto settori del partito a sostenere l'espansionismo coloniale, avevano finito per togliere credibilità e funzione alla mobilitazione dei lavoratori: così lo sciopero, proclamato il precedente 27 settembre in risposta ai segnali di imminente inizio delle operazioni militari, non aveva avuto rilevanti adesioni e non aveva creato alcuna difficoltà al governo. Parte degli argomenti sviluppati in questo ultimo intervento erano stati anticipati in una serie di articoli apparsi sulla Soffitta, l'organo della frazione rivoluzionaria intransigente diretto da G. Lerda. Dopo il congresso di Modena il D., insieme con Lerda, A. Zerbini, A. Balabanoff, N. Patriarca, A. Vella, M. Pittaluga, fu eletto nel comitato centrale della frazione.
Il congresso di Reggio Emilia del luglio 1912 accentuò la modificazione degli equilibri interni a favore dei rivoluzionari intransigenti, preannunciata dall'esito delle votazioni sugli ordini del giorno conclusivi presentati all'assise di Modena. La direzione risultò interamente composta da personalità appartenenti all'area rivoluzionaria. Il D., eletto nel vertice del partito, sull'ultimo numero della Soffitta (20 luglio 1912 n. 33), uscito pochi giorni dopo la conclusione del XIII congresso, indicò nel mantenimento e nello sviluppo delle "forze proletarie sul naturale terreno della lotta di classe" l'obiettivo essenziale che in quel momento il nuovo gruppo dirigente socialista doveva perseguire.
Tra la fine del 1911 e l'inizio del 1912 il D. fu membro del collegio di difesa di P. Valera, arrestato e processato a Milano per i suoi scritti fieramente contrari all'impresa tripolina; ebbe (dicembre 1911) uno scambio di lettere con A. De Ambris, che si inseriva nel tentativo di associare tutte le correnti di estrema sinistra nell'organizzazione e nella crescita di un movimento di massa in opposizione all'avventura coloniale; e fu nominato, con A. Campanozzi, Ciotti, Lerda, G. Merloni, D. Rondani, E. Spada, nel Comitato centrale socialista di agitazione contro la guerra, il cui primo atto fu quello di stilare un manifesto rivolto ai lavoratori italiani il 12 marzo 1912.
Negli ultimi giorni del successivo novembre il D. fece parte della numerosa delegazione del partito, del gruppo parlamentare e della Confederazione generale del lavoro, intervenuta al congresso di Basilea dell'Internazionale socialista. Come riferì la regia legazione di Berna in un dispaccio, durante le manifestazioni che allora si svolsero, egli prese la parola per accusare "il governo italiano per l'appoggio dato a quello austriaco nella sua politica aggressiva contro la Serbia", che pregiudicava il mantenimento della pace in Europa (Archivio centrale dello Stato..., Direz. gen. Pubblica Sicurezza..., 1912, b. 31).
Al XIV congresso, tenutosi nell'aprile 1914, il D. illustrò la relazione sul programma amministrativo, stesa con G. Casalini e A. Sichel (cfr. G. Casalini-A. Della Seta-A. Sichel, Il programma amministrativo dei socialisti italiani, Roma 1914), dove si raccomandavano un maggior coordinamento tra impegno sulle questioni locali e "azione generale del partito" e una rinnovata iniziativa per conseguire l'autonomia dei Comuni e delle Province dallo Stato; si reclamavano la riforma tributaria, la municipalizzazione dei pubblici servizi, qualora ne fosse accertata la convenienza economica, e adeguati provvedimenti per l'edilizia abitativa e, infine, si stabiliva di respingere i sussidi comunali a favore delle Camere del lavoro. L'assise di Ancona confermò il D. nella direzione, ma meno di un anno dopo la sua decisa opposizione alla linea politica su cui finirà per attestarsi il partito di fronte all'eventualità dell'intervento dell'Italia nel conflitto europeo, lo condurrà a dimettersi dall'organismo.
Il 1º sett. 1914, nell'incontrare, insieme a C. Lazzari e A. Zerbini, A.O.W. Südekum, incaricato di saggiare le intenzioni politiche della direzione del PSI dopo lo scoppio della guerra, il D., come appare dal verbale pubblicato il 2 dall'Avanti!,rivolse un duro attacco al Partito socialdemocratico tedesco (SPD), arrivando ad accusarlo di imperialismo per aver abbracciato le ragioni della borghesia nazionale.
Gli argomenti con cui Südekum cercò di giustificare la condotta del suo partito rivelarono tutta la loro fragilità di fronte alle contestazioni del D., che si richiamò alla violazione delle frontiere del Belgio neutrale da parte delle armate germaniche, alla coerenza dei socialisti francesi con gli ideali dell'Internazionale, pagata con la vita da Jaurès, all'opposizione dei socialisti italiani alla guerra libica e alla netta differenza fra la loro neutralità e quella del governo. La denuncia delle responsabilità della SPD (cui, approvandola, fece riferimento Lenin nell'articolo La guerra europea e il socialismo internazionale, scritto in quegli stessi giorni) e gli accenti di simpatia verso le nazioni invase ebbero molti consensi nel PSI.
Alcuni esponenti della direzione, fra i quali Mussolini, vollero manifestare pubblicamente il loro accordo. L'Unione socialista romana votò il 12 settembre un ordine del giorno in piena adesione all'atteggiamento tenuto durante l'incontro. Ma quanti, fra i parlamentari socialisti e fra i membri della stessa direzione, non avevano condiviso le dichiarazioni del D. si adoperarono affinché il partito prendesse una posizione di rettifica. Il 21 settembre, alla fine di una riunione tra Vella, Zerbini e Mussolini, per la direzione, e il gruppo parlamentare si giunse così all'approvazione di un manifesto contro la guerra che mostrava un PSI esplicitamente equidistante tra le potenze in conflitto. Invitato alla riunione, il D. "deliberatamente" non aveva voluto prendervi parte, prevedendo quali decisioni fosse chiamata a ratificare (curiosamente, nel resoconto della riunione, l'Avanti! indicava tra i presenti Lazzari, che il 21 non era neppure a Roma, e il D. medesimo), e nei giorni successivi, fra gli altri componenti la direzione, fu il solo a rifiutare di sottoscrivere il documento, che rappresentava la sconfessione delle sue posizioni.
Pur mantenendo la sua contrarietà al manifesto del 21 settembre (giunse, anzi, dopo aver negato a Vella, Zerbini e Mussolini "la legittima rappresentanza della direzione", a definire illegittimo il documento), il D. partecipò invece alla riunione del vertice del partito del 18-21 ottobre a Bologna, cui spettò di risolvere la delicata situazione creata dall'inattesa svolta interventista di Mussolini. Fu principalmente il D. a tentare un'appassionata, quanto vana, mediazione per indurre Mussolini a un ripensamento. Insieme a Lazzari, O. Morgari e G. Bacci, stese il nuovo manifesto contro la guerra, che apparve sull'Avanti! del 21 ottobre, ingegnandosi - come scrisse molti anni dopo nei suoi Ricordi a zig e zag (p. 119) - a "trovar la formula che avesse soddisfatto tutti, spiegato meglio le cose, pur di mantenere intatta la compagine del partito e ... Mussolini all'Avanti!", e con Bacci redasse l'ordine del giorno, approvato unanimemente dalla direzione, nel quale si prendeva atto "con vivo dolore" delle dimissioni di Mussolini e si esprimeva riconoscenza "per l'opera valorosa ed efficace" che aveva dato al partito. Il 23 ottobre Mussolini inviò al D. un biglietto per ringraziarlo delle "attestazioni di simpatia e solidarietà" rivoltegli, ma anche, e soprattutto, per sollecitarlo a dimettersi a sua volta dalla direzione e ad aprire la strada alla convocazione di un congresso straordinario, accarezzando l'idea che l'assise si pronunciasse a suo favore (ibid., p. 130).
Quando, a fine novembre, la direzione socialista si riunì di nuovo per votare l'espulsione di Mussolini, che dalle colonne del Popolo d'Italia continuava a rivolgere quotidiani e pesanti attacchi al partito, il D. non ebbe alcun dubbio a sostenere il provvedimento "per ragioni di disciplina", sottolineandone così il connotato politico; ne respinse invece, come A. Marabini e Zerbini, la motivazione per "indegnità morale" (Avanti!, 30 nov. 1914).
Nei mesi seguenti, mentre il PSI nel suo insieme confermava la linea della neutralità assoluta (cui si ispirarono in particolare le manifestazioni che si svolsero nel paese il 21 febb. 1915), il D. rimase favorevole a una neutralità "pura e semplice", che orientava "la sua simpatia verso il Belgio, verso la Francia, verso la Triplice intesa" (ibid.). La divaricazione finì per apparirgli irrimediabile e ne trasse le conseguenze: assente alle riunioni di gennaio e di marzo della direzione, mentre era in corso quest'ultima sessione dell'organismo inviò una breve lettera con le sue dimissioni, motivandole appunto con il dissenso sulla neutralità assoluta, a suo parere "non attuabile e ... neppure sostenibile" nella situazione internazionale che si era determinata.
Nella lettera il D. dichiarava altresì che avrebbe voluto dimettersi già mesi prima e che non l'aveva fatto per impedire qualunque accostamento tra la sua risoluzione e la vicenda di Mussolini (Avanti!, 6 marzo 1915). Dopo un inutile tentativo compiuto da Lazzari e Zerbini per convincerlo a tornare sulla sua decisione, la direzione accettò "con rincrescimento" le dimissioni, ritenendone tuttavia "illogica e contraddittoria la motivazione", che ricondusse invece al "bisogno manifestato fin dal congresso di Ancona di appartarsi dalla politica dirigente e responsabile del partito" (ibid.). Questa interpretazione naturalmente non piacque al D., che replicò con una lettera, scritta il 10 marzo e pubblicata il 13 dall'Avanti!, dove affermava che egli, "convinto neutralista per ragione di principio", continuava a riconoscersi, idealmente e politicamente, nelle dichiarazioni fatte nel corso dell'incontro con Südekum e che perciò rimaneva contrario alla linea sostenuta dal partito. Ricordava anche che, dopo le manifestazioni del 21 febbraio, aveva chiesto vanamente un atto esplicito della direzione contro "l'idea, il proposito, il pericolo di qualche tentativo di sciopero generale", nell'eventualità della mobilitazione o della guerra. Queste e non altre le ragioni che l'avevano convinto a dimettersi e che - concludeva - non gli avrebbero impedito di sentirsi "sempre col partito e pel socialismo".
Al congresso dei socialisti dell'Italia centrale, che si tenne a Roma il 15 luglio 1917 per iniziativa dell'Unione socialista romana, l'unico appuntamento politico di rilievo al quale non mancò lungo gli anni del conflitto, il D. - come scrisse il prefetto della capitale F. Aphel il 17 luglio in una relazione al ministero dell'Interno - dichiarò opportuno "difendere la patria" ed espresse la sua disapprovazione al "sabotaggio della guerra" (Archivio centrale dello Stato..., Direz. gen. Pubbl. Sicur.,1917, b. 60), differenziandosi radicalmente dalle tesi enunciate dagli esponenti della nuova frazione intransigente rivoluzionaria, che si stava costituendo nel partito attorno a N. Bombacci, A. Caroti, G. Pesci, F. Garosi, A. Bordiga, M. Trozzi e altri.
Come avvocato, sempre nel 1917, il D. fu chiamato a far parte dell'ufficio di consulenza amministrativa e legale, creato in seno alla Lega dei Comuni socialisti, e patrocinò con successo in corte di cassazione il ricorso di alcuni consiglieri socialisti del Comune di Milano, nei cui confronti, in quanto medici che prestavano attività presso le opere pie, era stata sollevata l'eccezione di ineleggibilità.
Con la fine della guerra, la politica militante tornò a occuparlo interamente. Partecipò infatti alle manifestazioni di solidarietà con la classe operaia rivoluzionaria europea che si svolsero a Roma nella primavera-estate 1919. Il 28 settembre fu tra i dimostranti che protestarono contro il colpo di mano dannunziano a Fiume. Il 16 novembre il D. fu eletto deputato nella capitale. A Montecitorio fu vicepresidente del primo ufficio, commissario della giunta per le elezioni e di quella per le petizioni, membro della commissione permanente affari interni. Il gruppo parlamentare socialista lo elesse nel suo comitato direttivo. Tra i deputati socialisti che il 1º dicembre, dopo aver abbandonato la seduta inaugurale della XXV legislatura all'ingresso in assemblea del re, vennero aggrediti e percossi da squadre di nazionalisti e militari in divisa nei pressi del Parlamento, vi fu anche il D., che il 2 dicembre presentò un'interrogazione sugli incidenti e in sede di replica invitò i colleghi del gruppo e il proletariato romano a organizzare forme di autodifesa, perché il governo non si era impegnato a impedire il ripetersi delle violenze.
Durante la legislatura il D. subì due altre aggressioni squadriste: il 21 luglio 1920, davanti alla tipografia dove veniva stampato l'Avanti!,e il 18 febbr. 1921, all'interno del caffè Aragno, in corso Umberto. Su quel periodo anni dopo annotò: "Tutte le mattine ... trovavo scritte minacciose di morte; e minacce di morte mi giungevano per lettera, quasi ogni giorno, o alla posta della Camera o nella mia cassetta ... Un giorno trovai anche - onore inatteso - due guardie con tanto di fucile a tracolla, giù al mio portone. E vi rimasero vari giorni" (Firenze, Istituto socialista di studi storici, Fondo Della Seta, b. 2).
Nell'aprile 1920, su incarico della direzione del partito, fu con Vella a Budapest per accertarsi del trattamento e delle condizioni degli esponenti della Repubblica dei consigli, internati dopo la sconfitta del movimento rivoluzionario guidato da B. Kun. Sulla strada del ritorno, partecipò alla manifestazione internazionalista che si svolse a Vienna in occasione del 1º maggio.
L'aggressione, a Bologna, ai deputati socialisti G. Bentini e A. Niccolai e, più in generale, la situazione maturata nel capoluogo emiliano e nel territorio della provincia specie dopo i drammatici fatti di palazzo d'Accursio, condussero alla nomina, il 18 dic. 1920, di una commissione parlamentare d'inchiesta della quale il D. fece parte.
A lui si deve la relazione di minoranza che, rispetto a quella di maggioranza, compilata dal deputato radicale V. Giuffrida (alla quale non mancavano, per altro, una certa obiettività nella ricostruzione degli avvenimenti e un certo equilibrio nei giudizi), faceva risaltare i connotati classisti della reazione contro l'amministrazione municipale di Bologna e contro le organizzazioni politiche e sindacali socialiste, che avevano scosso le basi del potere degli agrari e della borghesia cittadina e denunciava i finanziamenti, di cui i Fasci di combattimento avevano potuto generosamente godere, e le inadempienze e le complicità delle autorità di Pubblica sicurezza.
Approssimandosi il XVII congresso del partito, il D. aderì alla frazione della circolare Marabini-Graziadei (o circolare dei massimalisti di Bologna). Dopo aver mancato il compito che si era prefisso, cioè di essere il trait d'union fra comunisti puri e unitari (serratiani) e, isolando i riformisti turatiani, di costituire un partito socialista-comunista, la frazione nel gennaio 1921 confluì nel Partito comunista d'Italia. Il D. si iscrisse alla sezione romana del partito e passò al gruppo parlamentare comunista.
Lo scioglimento anticipato della Camera nel marzo 1921 e l'insuccesso elettorale dei comunisti a Roma nelle elezioni del successivo 15 maggio (nessuno dei candidati presentati, fra i quali lo stesso D., venne eletto) posero fine alla sua esperienza parlamentare. Negli ultimi giorni di maggio poi, appigliandosi a sue presunte violazioni della disciplina di partito, compiute durante il periodo delle elezioni, e ai contenuti, giudicati politicamente poco ortodossi, del breve discorso in morte dell'ex sindaco E. Nathan da lui pronunciato il 21 aprile in Campidoglio, il comitato esecutivo della sezione ne deliberò la radiazione. Lo sconcerto e l'amarezza causatigli dal provvedimento furono così grandi che lo accettò senza opporre ricorso, come gli avrebbe consentito lo statuto del partito. Tuttavia, in una lettera aperta scritta il 15 giugno, respinse fermamente tutte le accuse che gli erano state mosse e dichiarò di restare "fedele alla causa rivoluzionaria del proletariato" (Firenze, Ist. socialista..., Fondo Della Seta). Alla fine di giugno il comitato esecutivo nazionale del partito ratificò la radiazione, evitando accortamente qualsiasi esasperazione dell'episodio. Nel gennaio 1922 il D., sollecitato anche dai vecchi compagni, si reiscrisse al PSI, non celando la sua affinità con coloro i quali nel partito erano stati "assertori fin dalla prima ora della rivoluzione russa e fervidi sostenitori della Terza Internazionale" (Avanti!, ediz. rom., 24 genn. 1922).
Il 28 ott. 1922 un manipolo di fascisti tentò di assaltare il suo studio di avvocato e il successivo 4 novembre fu condotto e trattenuto brevemente a palazzo Marignoli, dove era il comando degli squadristi. Alle elezioni politiche del 6 apr. 1924 venne presentato, senza successo, candidato nella circoscrizione Lazio-Umbria. Dopo il rapimento di G. Matteotti, il D. fu fra i molti socialisti e cittadini romani che dettero, sul lungotevere Arnaldo da Brescia, silenziosa e fiera testimonianza di collera verso i responsabili del delitto.
Allo scioglimento dei partiti dell'opposizione, nel 1926, reagì facendosi assorbire dall'impegno professionale, ma conservando intatte le proprie convinzioni ideali e politiche: per tutti gli anni successivi sarà vigilato costantemente dalla Pubblica Sicurezza, e nell'ottobre 1935 sarà diffidato perché - come afferma un rapporto della questura - in pubblico, "prendendo spunto dal conflitto italo-etiopico, sarebbe solito abbandonarsi a criticare l'operato del regime" (Archivio centrale dello Stato..., Casell. pol. centr.). Scoppiata la guerra in Europa, ne seguì gli sviluppi con grande inquietudine. La resistenza dei Polacchi a Varsavia circondata dalle truppe hitleriane suscitò la sua ammirazione.
Il 30 genn. 1940 gli venne notificata la deliberazione del precedente 13 dic. 1939 che lo cancellava, per motivi razziali, dall'albo degli avvocati e dei procuratori di Roma. Nella capitale morì il 20 dic. 1942.
Fonti e Bibl.: Le carte del D. sono conservate presso l'archivio dell'Istituto socialista di studi storici a Firenze (Fondo Della Seta); L. Valiani, in appendice a Il Partito socialista ital. nel periodo della neutralità 1914-1915, Milano 1963, pp. 84-130, ne ha pubblicato la parte che ricostruisce gli avvenimenti del settembre e dell'ottobre 1914 (A. Della Seta, Ricordi a zig e zag). Roma, Arch. centrale dello Stato, Ministero dell'Interno. Direz. generale della Pubblica Sicurezza. Casellario politico centrale, b. 1689, fasc. 25396; Ibid., Ibid., Divis. affari generali e riservati, 1912, b. 31; Ibid., Ibid., 917, b. 60. A. A. Quaglino, Chi sono i deputati socialisti della XXV legislatura, Torino 1920, p. 50; C. Pompei-G. Paparazzo, I 508 della XXV legislatura, Roma 1920, p. 78; I 508 deputati al Parlamento per la XXV legislatura, Milano 1920, p. 297; A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, I,Milano 1940, p. 340; L. Tomassini, A. D.,in Diz. biogr. del movimento operaio ital.,a cura di F. Andreucci-T. Detti, II, Roma 1976, pp. 197-200; VIII congresso naz. del Partito socialista ital. Rendiconto, Roma 1904, p. 177; IX congr. naz. del Psi. Resoconto stenografico, Roma 1907, pp. 336, 368; XII congr. naz. del Psi. Res. sten., Milano 1912, pp. 123-137, 168, 259; XIII congr. naz. del PSI. Res. sten.,Roma 1913, pp. 168, 249, 289; XIV congr. naz. del PSI. Res. sten.,Roma 1914, pp. 238, 256-263, 280; I congr. naz. dei consiglieri comunali e provinciali socialisti. Res. sten.,Roma 1910, p. 272; Atti parlamentari. Camera dei deputati. XXV legislatura, Discussioni, Roma 1920-1921, pp. 12 s., 1054, 1975, 2293, 3680, 3684-3686, 3708-3711, 3749, 3753, 533*; Id., Attività parlamentare dei deputati. Indice alfabetico e analitico, Roma 1921, pp. 122 s.; Id., Documenti, II, Commiss. parlamentare per l'accertamento dei fatti avvenuti in Bologna (doc. XXI), Roma 1921, pp. 22-31 e passim; F. Turati-A. Kuliscioff, Carteggio, III,Torino 1977, pp. 117, 119; V, ibid. 1977, pp. 335, 439, 630, 647; F. Paoloni, Isudekumizzati del socialismo, Milano [1917], pp. 19-23, 45 ss., 52, 55, 58 s., 79 s., 135; A. Angiolini-E. Ciacchi, Socialismo e socialisti in Italia 1850-1919, Firenze 1919, pp. 567, 618, 795, 939, 964, 1011, 1073, 1143, 1156; A. Malatesta, I socialisti ital. durante la guerra, Milano 1926, p. 37; A. Marabini, La circolare Marabini-Graziadei, in Stato operaio, IX (1935), 10, p. 667; V. I. Lenin, Sul movimento operaio italiano, Roma 1947, p. 38; S. Cannarsa, Il socialismo in Parlamento. XXV legislatura 1919-1921, Napoli 1958, pp. 96, 181, 235, 281, 301, 393 s., 370; Il Partito socialista ital. nei suoi congressi, a cura di F. Pedone, II, Milano 1961, pp. 168, 238; R. De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino 1965, ad Indicem; B. Vigezzi, L'Italia di fronte alla prima guerra mondiale, I,Milano-Napoli 1966, ad Indicem; G. Mammarella, Riformisti e rivoluzionari nel Partito socialista italiano 1900-1912, Padova 1968, pp. 265, 284, 293, 325 s.; P. Spriano, Storia del Partito comunista ital., I,Torino 1967, pp. 91, 166; M. Degl'Innocenti, Il socialismo italiano e la guerra di Libia, Roma 1976, pp. 241 s., 300; N. S. Onofri, La strage di palazzo d'Accursio. Origine e nascita del fascismo bolognese 1919-1920, Milano 1980, ad Indicem; N. Capitini Maccabruni, La municipalizzazione dei servizi a Firenze tra la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, in Storia urbana, VI(1982), 20, pp. 106 s.