Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’alchimia è una disciplina teorica e pratica che interviene sulle sostanze e sugli organismi viventi per farli pervenire a uno stato di perfezione più alto. Secondo la tradizione, le origini di questa disciplina sono antichissime e risalirebbero all’invenzione delle scienze e delle arti ad opera del mitico Ermete Trismegisto.
Stefano di Alessandria
Lettera a Teodoro sul vapore e sulla sublimazione
È vero che un vapore è umido e un vapore è secco. Il vapore umido è sublimato nei vasi a forma di lampada, dotati di mammelle, mentre il vapore secco in una pentola col coperchio di rame, come il vapore bianco proveniente dal cinabro. E se imbevi il vapore secco con il vapore umido, tu compi un’opera divina. Sappi che tutte le sostanze e i metalli sono anche vapori, o meglio, lo diventano, perché quando vengono imbevuti diventano vapori umidi. La comaride della Scizia, mischiata con vapore recente, perfeziona tutte le cose.
in Alchimia, a cura di M. Pereira, Milano, Mondadori, 2006
L’alchimia è una disciplina teorica e pratica fondata sull’idea che sia umanamente possibile modificare gli esiti dei processi di generazione naturali e pervenire così alla trasmutazione dei metalli vili (rame, stagno, piombo, ferro) nei metalli preziosi (oro e argento). Non si tratta tuttavia di sole pratiche artigianali finalizzate a un orizzonte esclusivamente economico, ma le operazioni dell’alchimia devono essere intese come un’applicazione empirica di un discorso teorico piu ampio fondato sopra una concezione del mondo e della materia caratteristici, che trovano le loro origini sia nel naturalismo greco che nel misticismo gnostico. L’alchimia presenta, infatti, un duplice aspetto. Da un lato possiamo qualificarla come un sapere di tipo essoterico, finalizzato alla preparazione materiale della “pietra filosofale” o “elisir”, che è la sostanza dalla quale dipende la trasmutazione metallica e la produzione di sostanze inalterabili, come le pietre preziose e i farmaci in grado di preservare il corpo umano dalla corruzione. Dall’altro la ricerca della sostanza rigeneratrice va oltre le capacità umane e favorisce la nascita di pratiche e dottrine mistiche che conferiscono all’alchimia un’aura di tipo esoterico; la trasmutazione metallica viene ad assumere il carattere simbolico di rigenerazione dell’uomo e del perseguimento di uno stato di perfezione al di sopra delle impurità, della corruttibilità e dei limiti propri della vita umana.
Esistono diverse opinioni sull’etimologia del termine alchimia. Alcuni studiosi propendono per una derivazione dal sostantivo arabo kìmiya, a sua volta derivato dal termine egizio kmt o chem, che indica la terra nera della valle del Nilo. Secondo altri studiosi, invece, kem sarebbe un’allusione a nigredo (opera al nero), termine con il quale gli alchimisti indicano lo stadio iniziale del processo di trasmutazione, quando le sostanze si dissolvono putrefacendosi; gli altri due stati sono l’albedo (opera al bianco) quando la sostanza viene purificata attraverso la sublimazione e la rubedo (opera al rosso) che rappresenta lo stadio finale del processo. Un’altra interpretazione, che è anche quella più plausibile, fa derivare il termine kìmiya dal verbo greco cheo, che significa “fondere” e “colare i metalli”.
Secondo la tradizione alchemica l’origine di questa disciplina sarebbe antichissima e risalirebbe all’invenzione delle arti e delle scienze ad opera del mitico Ermete Trismegisto che, nella traduzione latina del Testamentum di Morieno – la prima opera alchemica introdotta in Occidente verso la metà del XII secolo da Roberto di Chester, viene identificata con le figure bibliche di Enoch e Noè, e con quella di un grande re egizio, regnante dopo il Diluvio, al quale era stato attribuito l’appellativo di triplice perché fu allo stesso tempo Re, Filosofo e Profeta. Il mito dell’origine divina e antichissima delle conoscenze sulla trasformazione dei metalli, alla base della convinzione espressa dagli alchimisti della possibilità di produrre artificialmente la perfezione della materia, è già espresso chiaramente negli scritti alchemici della tradizione alessandrina.
Il culmine della tradizione alchemica greco-bizantina si ha con le opere di Bolo di Mende (Pseudo Democrito, che conferisce all’alchimia un carattere filosofico, e di Zosimo di Panopoli, con il quale, invece, diventa predominante un orientamento mistico religioso. A questo periodo risalgono anche due papiri di chimica tecnica, noti come Papiro di Leida e Papiro di Stoccolma, nei quali sono raccolte numerose ricette per operazioni di tintoria, metallurgia, vetreria e preparazione dei colori che, opportunamente integrate e modificate, costituiscono la base per molti ricettari chimici medievali.
Gli scritti di Zosimo, la cui originalità è difficilmente dimostrabile per la scarsità delle fonti anteriori, sono conservati principalmente nei manoscritti bizantini, anche se esistono copie parziali e frammenti redatti in siriaco e in arabo. Il corpus delle sue opere si compone dei 28 libri dei Cheiròkmeta (Operazioni manuali), fra i quali sono contenute le Memorie autentiche, dove l’autore espone le pratiche alchemiche in connessione a un disegno generale di salvazione dell’uomo. Le opere di Zosimo costituiscono inoltre uno dei principali riferimenti per tutti gli autori posteriori, sia bizantini che arabi, e si pongono come la fonte più ricca e autorevole per accedere all’alchimia del periodo ellenistico. Zosimo è paladino dell’origine mitologica dell’alchimia, secondo cui il segreto della trasmutazione, un’acqua trasparente e divina (sulfurea), è appreso dagli artefici per rivelazione divina. Quest’acqua sulfurea costituisce l’elemento di invariabilità che permette alla materia di mantenere il suo carattere unitario durante il ciclo delle trasformazioni. La trasmutazione, quindi, consiste nel portare i metalli allo stato indifferenziato attraverso ripetute operazioni di distillazione e sublimazione, per poi introdurre il principio agente di trasformazione, cui si deve il cambiamento di specie nel metallo. Le operazioni che si svolgono nel corso del processo di trasmutazione sono descritte sotto forma di visioni nelle quali i metalli vengono “torturati”, “uccisi” e infine “riportati in vita” sotto un’altra identità.
Zosimo è probabilmente il primo autore a porre l’omologia tra la trasformazione dei metalli e quella subita dall’operatore: l’uomo carnale, preda dei demoni e del destino, produce tinture casuali, legate alle condizioni astrologiche, mentre il vero artefice (l’uomo pneumatico) si emancipa dalla dimensione materiale fino al raggiungimento dello stato divino. Il contributo principale di Zosimo alla tradizione alchemica è l’idea che si possa produrre il principio di salvezza della materia cosmica per mezzo di processi chimici specifici: nelle sue opere sono descritte concrete operazioni manuali per la produzione di tinture e solventi in grado di cambiare lo stato apparente dei metalli.
Gli autori successivi a Zosimo dei quali abbiamo conoscenza, più che dei veri e propri alchimisti dediti alla dimensione operativa della loro arte, sembrano essere degli eruditi interessati principalmente, se non esclusivamente, all’elaborazione di commentari sulla letteratura di carattere alchemico risalente all’antichità. Dalle loro opere, infatti, emerge chiaramente la convinzione che i segreti dell’alchimia potevano essere compresi solo attraverso l’esegesi degli scritti tramandati dagli antichi maestri. Nella tradizione bizantina postzosimiana prevale un orientamento di tipo esoterico per il quale il fine ultimo dell’alchimia non era tanto la trasmutazione dei metalli in sé, quanto il raggiungimento della perfezione dell’anima dell’uomo. Questo orientamento, già emerso in maniera chiara anche nell’opera di Zosimo, nel IV secolo è privilegiato da Sinesio e Olimpiodoro, nelle cui opere l’aspetto scientifico dell’alchimia passa in secondo piano rispetto a tematiche che intrecciano la scienza della materia con la riflessione filosofica sulla natura e con il misticismo cristiano. È grazie all’opera di conservazione e commento esercitata da autori come Sinesio e Olimpiodoro che conosciamo gli autori più antichi del periodo ellenistico, come Bolo di Mende (Pseudo Democrito) e Maria l’Ebrea e nei cui testi troviamo i primi riferimenti al coinvolgimento nell’alchimia di figure sospese tra il mito e la realtà come Ermete, Iside e Cleopatra.
Il più importante autore di scritti alchemici della tradizione bizantina dopo Zosimo è Stefano di Alessandria. Studioso erudito dedito all’insegnamento di geometria, aritmetica, astronomia e musica, commentatore anche delle opere di Platone e Aristotele, è attivo durante il regno dell’imperatore Eraclio dal 610 al 641; quest’ultimo è noto, oltre per aver riportato la cristianità a Gerusalemme, anche per essere stato coinvolto egli stesso nella ricerca alchemica. Secondo la tradizione, Stefano riveste un ruolo chiave nel trasmissione dell’alchimia dalla tradizione bizantina a quella araba. Nel Testamentum di Morieno, infatti, l’autore afferma di aver appreso la sua arte a Bisanzio con l’imperatore Eraclio e l’alchimista Stefano al quale si riferisce con la forma islamizzata Adfar.
Nel corpus di scritti attribuiti a Stefano d’Alessandria sono presenti anche alcune opere di astrologia e alchimia tra le quali spiccano due trattati, Sull’arte grande e sacra e Sulla fabbricazione dell’oro e la Lettera di Stefano a Teodoro che compendono le teorie alchemiche sviluppate fino al VII secolo. Il primo di questi trattati, pur non distinguendosi per l’originalità dei contenuti, trova la sua importanza nel fatto di essere uno dei pochi manoscritti greci sull’alchimia conservatosi integralmente e costituisce quindi una delle finestre principali per accedere alla complessità di questa disciplina nella tradizione bizantina.
Nell’opera di Stefano troviamo il tentativo di elaborare una cosmologia alchemica basata sulle interrelazioni tra macrocosmo (il mondo) e microcosmo (l’uomo) che si struttura sulla convinzione che la natura sia l’origine dal quale il Tutto (il Cosmo e tutte le manifestazioni biologiche in esso presenti) si genera e viene portato a compimento: unità che si moltiplica e diversità che si fa uno. Questa cosmogonia trova in gran parte le sue radici nella tradizione che fa capo al Physika kai mystika di Bolo di Mende (Pseudo Democrito); nell’opera di Stefano si trovano tuttavia anche idee e metafore nuove, che non appartengono alla tradizione alchemica precedente. Ad esempio, si fa riferimento alla luminosità intrinseca della Luna e a parallelismi criptici come quelli del volto dell’uomo con la contemplazione della pratica alchemica con il fiore che, pur manifestando una chiara influenza del misticismo di Zosimo, riconducono alla tradizione neoplatonica rappresentata da Proclo Giamblico.
Stefano accosta la materia prima, costituente essenziale alla base della generazione di tutte le sostanze, alla Luna, e considera quest’ultima come un principio femminile di mediazione con la sfera del divino. In questo contesto cosmologico, l’alchimia si pone come la disciplina in grado di introdurre al mistero della creazione, fornendo all’uomo i mezzi per pervenire al principio unico della Natura da cui tutto è emanato. Per Stefano l’alchimia è una ricerca filosofica che si prefigge come scopo l’assimilazione dell’intelletto umano con Dio e quindi con i principi della creazione: attraverso un’analisi di tutte le teorie già esistenti l’alchimia elabora la propria visione perseguendo lo scopo di educare l’anima e di guidarla dalle cose materiali ai loro principi immateriali. Il principio cosmico a partire dal quale è possibile riprodurre i processi di generazione naturali, e quindi anche la trasmutazione dei metalli vili in oro, è identificato da Stefano con la magnesia. Si tratta di una sostanza misteriosa, simboleggiata dalla Luna, che Stefano illustra soltanto sul piano filosofico senza entrare nel merito delle tecniche di laboratorio, le quali sono ricordate soltanto dal richiamo a un passo dei Physika kai mystika che rimanda esplicitamente alla distillazione.