alchimia
Complesso di teorie e tecniche tendenti a ottenere la trasmutazione dei metalli vili in oro, la pietra filosofale e l’elisir di lunga vita. Il termine viene dall’arabo (ṣan‛a) al-kīmiyā’ «(arte della) pietra filosofale». In arabo kīmiyā’ è uno dei nomi del reagente per la trasformazione dei metalli, anche detto, in Occidente, lapis philosophorum o pietra filosofale.
Si hanno elementi di cultura alchimistica sia nell’antica civiltà cinese (teoria della trasformazione dei metalli in oro e dell’uso terapeutico di questo allo scopo di ottenere l’eterna giovinezza) sia in quella indiana (teoria della corrispondenza fra le fasi della trasformazione dei metalli vili in oro con le fasi della rigenerazione dell’anima nelle pratiche yoga), ma l’a. che ha più influenzato la cultura occidentale è nata nell’ambiente ellenistico dell’Egitto nel sec. 1° d.C. Le dottrine alchimistiche della scuola alessandrina sarebbero passate attraverso tre fasi: l’a. come tecnica, basata sulle pratiche artigianali dell’Egitto pregreco; l’a. come filosofia, basata sulla rielaborazione delle teorie platoniche e aristoteliche sulla materia prima; l’a. come mistica, in cui si sarebbe operata una fusione tra il precedente patrimonio filosofico e la gnosi ermetica. Attraverso il centro culturale di Alessandria e la cultura siriaca, l’a. ellenistica si trasmette alla civiltà islamica.
Indicata come arte dell’elisir (al-iksīr), o della pietra, della chiave, della bilancia, l’a. arriva dunque agli Arabi attraverso la cultura ellenistica. Vero fondatore dell’a. araba viene considerato Giābir ibn Ḥayyān (sec. 8°), il Geber della tradizione medievale europea, cui è attribuito un corpus di scritti più tardo, la cui traduzione in latino è per lo più attribuita a Gerardo da Cremona. Di questi testi, il maggiore è la Summa perfectionis magisterii, che fu in realtà redatta direttamente in latino: vi si elaborano la teoria dei quattro elementi e varie teorie di Aristotele, e si presentano tecniche e procedure. Rilevante è anche è la Tabula Smaragdina, di carattere sapienziale e attribuita a Ermete Trismegisto (anch’essa forse volta dall’arabo al latino da Gerardo da Cremona). A Ermete si richiama anche la Turba philosophorum, di incerta origine (in latino, nei secc. 11°-12°): le teorie cosmologiche e alchemiche vengono presentate, sullo sfondo delle credenze islamiche, da vari filosofi riuniti in convegno; anche il medico al-Rāzī (sec. 10°-11°) presenta alcune procedure.
Il gruppo di cinque scritti attribuiti a Giābir ibn Ḥayyān diventò la base di tutti gli studi alchimistici nel sec. 14°. Attraverso gli Arabi l’Occidente riprende contatto con la tradizione alchimistica greca; essa si innesta sui motivi magici elaborati autonomamente sulla base delle tecniche artigianali di origine bizantina relative all’arte delle tinture, della fabbricazione del vetro e delle imitazioni (di pietre e gioielli), della multiplicatio dell’oro. Nel sec. 13° la storia dell’a. ricorda il nome di Arnaldo di Villanova. Discussa l’attribuzione a Lullo di opere alchimistiche che circolavano già nel sec. 14° sotto il suo nome; così pure molti storici negano che gli scritti alchimistici attribuiti a R. Bacone siano autentica opera sua. I secc. 15° e 16° possono dirsi i secoli del massimo interesse per l’alchimia. Assistiamo a uno sterminato moltiplicarsi di edizioni e raccolte di testi alchemici tradotti da originali greci o arabi, o pseudoepigrafi o opere originali, in cui sempre più nettamente sembra prevalere, sull’aspetto ‘tecnico’, la prospettiva filosofico-religiosa. Tra i più famosi cultori di a., di magia e in generale di scienze occulte, sono da ricordare Agrippa di Nettesheim, Cardano e Della Porta. Intanto, un po’ per volta l’a. andava trasformandosi nella iatrochimica: cercando di isolare i principi attivi contenuti nelle erbe medicinali e tentando i primi rimedi sintetici di origine minerale, essa portava contributi a quelle scienze che divennero poi la chimica biologica e la chimica farmaceutica. L’a. assume con Paracelso il carattere di ‘arte’ della medicina; essa è considerata cioè come sapere operativo, destinato all’utile che traduce in atto la teoria medica. Per Paracelso, quindi, la conoscenza della natura (intesa come animata e vivente, in continua trasformazione e trasmutazione, pervasa da un soffio vitale, l’archeus) diventa concreta e operante ‘arte’ terapeutica solo mediante l’a., capace di svelare i mysteria dei processi naturali e di correggerli, canalizzarli, portarli a compimento e quindi di ristabilire il corretto rapporto uomo-natura in cui consiste lo stato di salute. La nascita della chimica, cioè di una ricerca scientifica sulle sostanze organiche e inorganiche e sulle leggi che ne governano la composizione e le trasformazioni, porta, lungo il 17° sec., al tramonto dell’a. per quanto essa aveva di occulto e di iniziatico.
Se gli storici della scienza hanno prevalentemente insistito sul rapporto fra a. e chimica (proponendo ora una concezione dell’a. come preistoria della chimica, ora indicando nell’a. una sorta di sacralizzazione di precedenti tecniche artigianali), molti studi hanno anche indagato più complessi significati dell’a. nell’orizzonte delle varie culture e della loro storia; in particolare sono state messe in luce, insieme ai presupposti tecnici e pratici, le implicazioni di carattere religioso e metafisico dell’a. (fino a presentarla come una simbolizzazione di un processo gnostico e mistico con esiti non necessariamente teologici). Su un altro versante, Jung ha affrontato il problema dell’a. in chiave di psicologia analitica: secondo Jung l’a. simbolizza, nei vari stadi dei suoi procedimenti, l’evoluzione collettiva e individuale attraverso il processo di individuazione e la ricerca del Selbst: il linguaggio alchemico e le sue immagini vengono quindi interpretati sulla base degli archetipi collettivi.
Complessa e ambigua la tematica che si ripresenta in tutta la tradizione alchemica: motivo essenziale è la possibilità della reciproca trasmutabilità dei metalli che presuppone al loro fondo un’identica comune materia prima (indicata con vari nomi: acqua divina, argento vivo, pietra filosofale) alla quale i metalli possono essere ricondotti per essere trasformati e dotati di altre qualità; questo processo rinvia a un più complesso sfondo metafisico-cosmologico in cui prevale il tema della radicale unità del tutto e dove l’operazione alchemica si presenta come imitazione e riproduzione dell’originario processo creativo per il quale il molteplice è sgorgato dall’uno. Questa concezione metafisico-cosmologica che insiste sulla radicale unità del tutto si accompagna sempre a un sostrato panvitalistico: la realtà è retta da segrete corrispondenze che rendono possibile (anzi ne sono condizione essenziale) provocare processi di trasformazione operando su una parte del cosmo, in quanto tale operazione si ripercuote su tutte le altre parti; rispondenza dunque di esseri, di piani diversi della realtà, legati tutti da una legge di simpatia e antipatia che non costituisce il presupposto soltanto dell’a. ma di ogni operazione magica, di ogni intervento insomma che, usando mezzi segreti per captare le forze occulte presenti nel cosmo, tenti di provocare o modificare processi naturali. Di qui appunto gli stretti legami teorici e pratici dell’a. con la magia e l’astrologia: i processi magici sono spesso processi alchemici, e le operazioni alchemiche si avvalgono delle tecniche astrologiche per stabilire affinità o opposizioni tra cielo e terra. È questa stessa prospettiva vitalistica, con la tensione di forze che si oppongono e si attraggono, a ispirare la simbologia sessuale presente nei testi alchemici (al di là delle interpretazioni proposte dalla psicologia analitica): dalla classificazione in termini di sesso dei metalli, alla concezione della materia prima come ermafrodito, alla presentazione dei processi di formazione e trasformazione dei metalli come dinamica di rapporti maschio-femmina che si producono tanto naturalmente quanto nel vaso filosofale indicato come ‘utero’. Proprio perché inserita in una generale concezione del cosmo l’a. assume spesso toni e prospettive metafisiche e religiose: non solo in quanto l’alchimista riproduce l’opera del creatore e le linee di formazione della realtà, ma perché a volte l’opera alchemica diviene ricerca dell’uno, processo di liberazione dal molteplice, dalla corporeità, ascesa a livelli più profondi del reale: l’a. si presenta allora in alcuni testi come processo di salvezza e, in contesti cristiani, la ricerca della pietra filosofale (che è il principio cui tutti i metalli debbono essere ricondotti e anche il reagente universale che permette le trasformazioni alchemiche e la riduzione dei metalli a oro) diviene ricerca di Cristo e ritorno al principio creatore.