ALCMANE ('Αλκμάν, Alcman)
Incerte sono le notizie tramandateci dagli antichi sulla patria di Alcmane figlio di Damante o di Teutaro o Titaro. Suida lo dice lacone di Messoa (un quartiere di Sparta); continuando, però, aggiunge che, secondo Cratete, il quale tuttavia qui avrebbe errato, A. sarebbe stato lido di Sardi. E lido risulta A. anche da un epigramma di Alessandro (Etolo?), in Antol. Palat., VII, 709, nonché da Eliano, Varia Hist., XII, 50 e da Velleio Patercolo (I, 18, 2): lido di Sardi infine sembra dirsi egli stesso (o si tratta solo di una lontana origine della famiglia?) nel fr. 24 Bergk (13 Diehl). I due epigrammi in Antol. Palat., VII, 18 e 19 lasciano indeciso s'egli fosse lido o lacone. Tra gli studiosi moderni sta decisamente per la patria spartana il Beloch (Griech. Geschichte, I, 1, 2ª ed., pp. 413-14); indeciso è qualcun altro, come il Crusius; i più credono alla provenienza straniera, sia per analogia di quanto si racconta sulla provenienza di altri poeti che in quei primi secoli sarebbero vissuti a Sparta (cfr. specialmente Tirteo), sia per il carattere non puro della lingua d'A., sia per l'indole di lui e di gran parte della sua poesia, che male sembrano accordarsi con la severità spartana, sia finalmente perché la notizia di Suida ἁπὸ Μεσσόας potrebbe provenire da una facile confusione tra un ΜΕΣΣΟΑΤΑΣ (di Messoa) e un ΜΕΣΣΟΓΙΤΑΣ (abitante del monte Messogis o dei pressi del monte Messogis in Lidia). Non v'ha dubbio tuttavia che l'alta condizione di Alcmane in Sparta e il posto quanto mai onorifico dov'egli avrebbe avuto sepoltura (tra le cappelle degli Ippocoontidi e il delubro di Elena) rendano la provenienza straniera di A. assai dubbia, tanto più quando si pensi alla nessuna consistenza dell'origine straniera di Tirteo e alla possibilità, per non dire facilità, di vincere le altre obbiezioni accampate contro l'origine laconica del poeta.
La tradizione (probabilmente tarda e tendenziosa, dovuta ad elementi ostili a Sparta) che vuole Alcmane nativo di Lidia, lo fa poi pervenire in Laconia per duplice via: o egli viene chiamato per ordine d'un oracolo a ristabilire la pace nella città (cfr. Taleta di Creta, Terpandro di Lesbo), oppure giunge a Sparta come schiavo, avendolo comprato uno spartano di nome Agesida: questi, avvedutosi dell'indole signorile e del talento musicale di lui, l'avrebbe poi fatto libero.
Comunque sia (ma molto più probabilmente Alcmane fu spartano e di non bassa estrazione), A. raggiunse in Sparta il posto di maestro dei cori dello stato e fu tenuto in altissimo onore, se alla sua morte gli fu data sepoltura in luogo così cospicuo come quello che abbiamo indicato.
Circa il tempo in cui egli sarebbe fiorito, le testimonianze antiche non sono concordi: tra le varie assegnazioni, la più probabile è però quella che ne pone l'acme circa l'olimpiade 42 (612-609 a. C.), per modo ch'egli verrebbe ad essere d'alquanto anteriore a Stesicoro. Questa data spiegherebbe meglio d'ogni altra la possibilità della sua poesia gioiosa e un po' sensuale, la quale cadrebbe in un'epoca di tranquillità per Sparta, epoca quindi favorevole allo sviluppo della musa alcmanica.
Nessuna fede è da prestare alla storiella, attestataci da passi di Aristotele, Plinio il vecchio e Plutarco, ch'egli sia perito, come il mitico Acasto, di ftiriasi: si ricorderà come persino la morte dei maggiori poeti attici sia un soggetto di cui ebbe a impadronirsi la leggenda, sicché qualche vicenda di cui essi toccarono nei loro versi fu applicata a loro stessi; non altrimenti accadde, secondo ogni probabilità, ad Alcmane.
Le poesie d'Alcmane, a testimonianza di Suida, erano raccolte in sei libri. Esse dovevano comprendere inni, peani, iporchemi, canti amorosi e conviviali, ma specialmente partenî. Infatti appunto come poeta di partenî egli divenne famoso, ossia come poeta d'inni destinati alla esaltazione degli dei ed eseguiti a cura dello stato da cori di fanciulle appartenenti a cospicue famiglie. Il più ampio dei frammenti d'Alcmane (23 Bergk, 1 Diehl) è precisamente quello d'un partenio in onore d'Artemide: esso è conservato in un papiro trovato nel 1855 dal Mariette in un sepolcro non lungi dalla seconda piramide, e fu pubblicato la prima volta nel 1863 dall'Egger. Consta di tre colonne: la prima tagliata per il lungo e di conseguenza mancante del principio di ciascun verso; la seconda pressoché integra; la terza molto guasta e assai difficile a leggersi. Nella parte mancante da principio, probabilmente dopo un inizio che aveva relazione con circostanze contemporanee del poeta, si trovava svolto il mito degl'Ippocoontidi, di cui aveva menato strage Eracle per vendicare l'amico suo Eono, figlio di Licinnio, ucciso da essi. Un tratto di quel mito, assai guasto, ci resta nella colonna prima. La seconda e la terza contengono un mirabile elogio delle fanciulle del coro, in particolare di Agido, la corifea, e più ancora di Agesicora, la sotto-corifea.
In altri frammenti (17, 22 Bergk = 33, 71 Diehl) un coro d'uomini o di giovani esalta Apollo, in altri un coro della stessa natura inneggia ai Dioscuri, in altri ancora un coro di vergini a Zeus, ad Era, ad Artemide, fors'anche ad Afrodite.
Taluni frammenti paion derivati da imenei (salvo che si trattasse di canti di quel genere inseriti negl'inni), altri infine (33 Bergk = 49 Diehl, 74 Bergk = 55 Diehl) sembrano acconci a scolî, carmi conviviali.
I metri d'Alcmane sono abbastanza varî: serie di esametri e di tetrametri dattilici, serie giambiche e trocaiche, talora pure, talora congiunte con ritmi dattilici, versi anapestici, cretici, ionici anche anaclastici. A. usa strofe abbastanza artificiosamente composte, e pel primo dà vita alla triade, che sarà poi perfezionata da Stesicoro: versi, seguite da un epodo di sei.
La lingua di A. è il dialetto dorico, cui non è ignoto qualche laconismo, ma che nell'insieme porta l'impronta di lingua letteraria; gli eolismi e gli ionismi abbastanza numerosi che vi s'incontrano si spiegano assai bene con gl'influssi letterarî e della lingua omerica e della poesia eolica (questi ultimi tanto più facili a spiegarsi, data l'indole della poesia d'Alcmane), e possono anzi aver dato ansa al sorgere della leggenda che Alcmane provenisse da una patria eminentemente esposta ad influssi e ionici ed eolici.
Alcmane ha vera vena poetica, e da poeta d'inspirazione concepisce più plasticamente che non logicamente: talché spesso i nessi sono in lui, come poi avverrà in Pindaro, alquanto difficili a cogliersi. Ha squisito senso del colore e sensibilità finissima agli spettacoli della natura. Ammiratore entusiasta della bellezza femminile, non s'allontana però mai, nel ritrarla e nell'esaltarla, da una certa signorile compostezza e castigatezza. Qualche tratto di realismo un poco più crudo, che ricorda alcuni luoghi di Archiloco, si riscontra nei carmi conviviali. Riferiamo, da noi tradotto, un meraviglioso frammento dov'è rappresentata la quiete notturna, frammento ch'ebbe l'onore di essere imitato o almeno assai bene ricordato da Teocrito, da Virgilio, da Ovidio. È il fr. 60 Bergk = 58 Diehl.
Dormon le cime dei monti e gli abissi profondi e le balze
Ed i corrosi botri,
Ed ogni fronda ed a quanti dà rettili vita la negra
Terra, e le fiere montane e la stirpe de l'api e nel fondo
Del mar cianeo i mostri:
Dorme di tutti gli augelli anco l'alata progenie.
Alcmane fu collocato al primo posto nel canone dei poeti melici stabilito dai grammatici alessandrini. La sua poesia ebbe vita lunga e gloriosa. Egli era cantato ancora nell'Atene dei tempi di Pericle; e da Pausania (III, 26, 2) appare che leggevasi ancora nel sec. II d. C.
Bibl.: I frammenti d'Alcmane sono pubblicati, meglio che altrove, in Bergk, Poetae Lyrici Graeci, 4ª ed., III, Lipsia 1882, pp. 14-78 e in Diehl, Anthologia Lyrica, Poetae Medici: Chori, Lipsia 1924, pp. 7-38. Si possono vedere anche le antologie di Smyth, Greek Melic Poets, Londra 1906, p. 2 segg., 170 segg., e di A. Taccone, Melica greca, Torino 1904, p. 60 segg. Cfr. infine le grandi letterature greche di Christ e Schmid, Croiset, Geffcken, e l'art. Alkman di O. Crusius, in Pauly-Wissowa, Real-Encyclopädie d. class. Altertumswiss., I, colonne 1564-1572. Precisa traduzione italiana con buon commento e largo studio introduttivo storico-estetico in G. Fraccaroli, I lirici greci. Poesia melica, Torino 1913, pp. 108-145.