Alcuino di York (o di Tours)
Maestro della scuola episcopale di York, teologo e protagonista del primo rinnovamento culturale carolingio. Nato in Northumbria dopo il 730, compì i primi studi a York sotto la guida di Aelberto, che egli stesso ricorda quale amante delle lettere e fautore degli studi liberali (Ep., 114, 148) e al quale succedette verso il 778 nella direzione della scuola. La leggenda che fa di A. un discepolo diretto di Beda, diffusa già in tarda età carolingia - il primo a raccontarla fu Notkero Balbo (m. 912) nei Gesta Karoli (PL, XCVIII, col. 1373AB) - testimonia il desiderio di stabilire una continuità culturale tra i principali momenti della rinascita europea dopo l'era delle grandi invasioni. Durante un viaggio in Italia, A. incontrò a Parma Carlo Magno, che lo invitò a raggiungerlo in Francia dove egli si trasferì intorno al 781. Divenuto stretto collaboratore del sovrano nel suo impegno per la riorganizzazione politica, ecclesiastica e culturale del mondo franco, A. contribuì personalmente alla fondazione e al successo della schola palatina. A. stesso fu probabilmente il redattore dei documenti imperiali finalizzati a varare ufficialmente il programma della riforma culturale, in particolare della famosa Admonitio generalis dell'anno 789 (MGH. LL, II, Capit. reg. Fr. I, 22). È ricordato dai contemporanei (per es. da Eginardo, Vita Karoli; PL, XCVII, coll. 49B-50A) come maestro di Carlo medesimo e al suo insegnamento attinsero nobili e personaggi illustri della corte carolingia, che spesso divennero poi destinatari del suo ricco epistolario.
Seguendo l'usanza in voga presso i sapienti della corte, A. sostituì al proprio nome anglosassone (Alhwin o Alchwine) la forma latinizzante Albinus, cui accostò lo pseudonimo accademico Horatius Flaccus. Nel 796 assunse l'incarico di guidare l'abbazia di Tours, dove istituì e perfezionò una nuova scuola monastica concepita a imitazione di quella di York, preoccupandosi di arricchirla con una preziosa biblioteca. Tra il 799 e l'801 attese a una globale revisione del testo della Bibbia, quindi a un riordinamento del Sacramentario Gregoriano. Morì il 19 maggio 804.
Tra le opere di A. sono da segnalare i trattati sulle arti liberali, che testimoniano della sua intensa attività didattica (Grammatica, De orthographia, De rhetorica et virtutibus, De dialectica), preceduti da una famosa introduzione programmatica sul significato della sapienza nel contesto del rinnovamento culturale e teologico carolingio (Disputatio de vera philosophia). Con minore sicurezza gli è stato attribuito un brevissimo trattato, De musica, che racchiude una delle prime informazioni sull'introduzione in Occidente degli otto toni musicali: l'interesse di A. per il canto è d'altronde testimoniato dai suoi scritti sulla riforma liturgica (Liber sacramentorum). Sul versante teologico, oltre a una vasta produzione esegetica e al De fide sanctae Trinitatis, efficace compendio di dottrine agostiniane destinato a grande fortuna presso le successive generazioni di teologi, sono significative le opere dedicate da A. alla lotta contro gli eretici adozianisti di Spagna, combattuti con energia fino alla condanna dei concili di Francoforte (794) e di Aquisgrana (799). È ancora vivace tra gli studiosi la discussione relativa all'eventuale paternità, o almeno a una partecipazione di A. alla stesura dei Libri Carolini (o Capitulare de imaginibus), documento ufficiale relativo alla presa di posizione di Carlo Magno nei confronti di Bisanzio e di Roma sulla questione delle immagini sacre: è comunque innegabile che molte delle idee religiose e filosofiche espresse nei quattro libri dell'opera per sostenere un culto moderato delle immagini contro l'ottusità iconoclastica, ma specialmente contro l'iconodulia esagerata, coincidano spesso con dottrine testimoniate nelle opere alcuiniane. Di A. sono infine da ricordare alcuni opuscoli agiografici e un'ampia produzione poetica.
L'impegno culturale di A. si tradusse essenzialmente nel progetto di portare a compimento sul piano dello spirito lo stesso ideale di unificazione della Christianitas che la dinastia carolingia tornò a sostenere sul versante politico dopo la frantumazione dei regni barbarici. In questo senso è soprattutto significativo il suo sforzo costante per la promozione e la valorizzazione dei testi scritti, sacri e profani, come testimonia in particolare l'intensa attività scrittoria del monastero di Tours: un programma di lavoro che fu, d'altra parte, anche strettamente legato non solo alla rinascita di interesse per il libro come oggetto di studio e insieme di venerazione culturale, ma anche alla stessa diffusione negli scriptoria monastici della minuscola carolina, al punto che per lungo tempo si è creduto di poter riconoscere in A. medesimo l'inventore e il principale responsabile della fortuna della nuova scrittura nelle scuole dell'Impero.
Nella stessa prospettiva va intesa l'attività svolta da A. in qualità di revisore del testo della Bibbia. Quello di A. non è stato, sotto Carlo Magno, l'unico tentativo di organizzare una correzione filologica del testo biblico, ma a lui spetta probabilmente il merito di avere maggiormente suscitato e stimolato l'interesse spirituale in questa direzione. In effetti, come sul piano linguistico la restaurazione grammaticale del latino operò per la conservazione dell'unità tra i diversi popoli dell'Impero, così la revisione del testo biblico, accanto all'unificazione liturgica e omiletica favorita da Carlo Magno, rappresentò nella mente di A. il primo passo verso la definitiva accettazione universale di una cultura unitaria, che si riconosceva innanzitutto cristiana ed ecclesiastica.
La ricca produzione carolingia di manoscritti biblici è stata dunque incrementata anche dall'intento di imporre nel mondo ecclesiastico la versione definitiva della Vulgata. Il monastero di Tours, collocato in una zona idonea all'allevamento del bestiame, poteva trarre vantaggio da una ricca produzione di pergamena di buona qualità e grandi dimensioni, adatta alla realizzazione di bibbie monumentali in folio. A. contribuì certamente ad avviare lo sviluppo di quest'industria, che ha prodotto circa una cinquantina di grandi esemplari biblici e una ventina di evangeliari negli anni successivi alla sua morte, ed egli stesso d'a notizia nel suo epistolario della compilazione a Tours, su sua iniziativa, di almeno sei grandi bibbie integrali in un solo volume (o 'pandette'; Carm., 65): tuttavia nessuno dei manoscritti pervenuti può attualmente essere identificato con una di esse (Fischer, 1971, p. 61).
Viceversa fin dal Medioevo sono state denominate 'Bibbie di A.' alcune delle grandi produzioni illustrate di epoca posteriore, tra le quali solo alcune provengono da Tours, come la Bibbia di Bamberga (Bamberga, Staatsbibl., Bibl. 1) e il grande manoscritto illustrato di Moutier-Grandval (Londra, BL, Add. Ms 10546), ma che oggi sono riconosciute tutte appartenenti certamente a epoca posteriore (Fischer, 1965; 1971).
Tanto dal punto di vista paleografico (Rand, 1929), quanto sotto l'aspetto della storia della miniatura (Köhler, 1930) è possibile suddividere in quattro periodi la produzione libraria carolingia di Tours: dopo la morte di A., con la fine del primo periodo, seguono le fasi corrispondenti agli abbaziati di Fridugiso (807-834), diretto discepolo di A., di Adalardo (834-843) e di Viviano, al tempo di Carlo il Calvo (843851). Le grandi produzioni bibliche turonensi collegabili con le c.d. 'Bibbie di A.' possono essere fatte risalire al massimo al periodo di Fridugiso (per es. il manoscritto di Zurigo, Zentralbibl., Car. C. 1, e quello di Parigi, BN, lat. 11514); ma già in quest'epoca accade che esse possano essere collegate con il nome di A., evidentemente in quanto revisore e principale diffusore della nuova versione della Vulgata, oppure anche soltanto a causa della presenza di suoi versi a introduzione del testo biblico. Tra le opere poetiche di A. vi sono infatti alcune composizioni che rappresentano vere e proprie 'iscrizioni epigrafiche' per i libri della Scrittura e come tali vengono accolte anche in alcuni di questi manoscritti di lusso: tra esse in particolare il poema "Hic Deus omnipotens Adam de pulvere plasmat [...]" (Carm., 115) è stato considerato come il prototipo del ciclo illustrativo della Genesi più volte riprodotto nei grandi manoscritti biblici di quest'epoca, compresa la Bibbia di Bamberga (Berger, 1893).
Più adeguati a essere considerati manoscritti vicini all'epoca di A. sono invece quelli appartenenti a una famiglia turonense di testi classici e scritturali studiata in particolare da Köhler: si tratta di codici caratterizzati da una visibile unità grafica e dalla presenza di iniziali ornamentali oppure di tavole dei canoni evangelici, stilizzate e curate, con motivi ornamentali vegetali e animali (Köhler, 1926; 1930). Sulla base di una richiesta avanzata da A. in una lettera a Carlo del 796797 (Ep., 121), di inviare a York alcuni suoi discepoli per importare manoscritti con cui arricchire la biblioteca di Tours, sono stati anche suggeriti, ma in via soltanto congetturale, contatti non solo tra la minuscola insulare e quella turonense, ma anche tra i due stili di miniature. Tra questi manoscritti in particolare quello di Troyes, Bibl. Mun., 1742, che contiene fra l'altro anche il Liber de virtutibus et vitiis di A., permette di datare l'intero gruppo - certamente anteriore alle grandi bibbie turonensi prodotte dal periodo di Fridugiso in poi - a un'epoca che non può risalire oltre gli ultimi anni dell'abbaziato di Alcuino. Il più antico del gruppo è forse il manoscritto biblico di San Gallo (Stiftsbibl., 75), che si accetta per databile fra l'801 e l'804. Tanto dal punto di vista grafico e ortografico, quanto dal punto di vista artistico, questi codici appaiono decisamente inferiori alle successive produzioni turonensi. E anzi, anche confrontandoli con i coevi codici di grande lusso elaborati alla corte imperiale, si è portati a concludere con una certa sicurezza che A. aveva un interesse soltanto limitato per la produzione efficacemente stilizzata; la sua importanza in questo ambito rimane soprattutto quella di essere stato un iniziatore. Egli non ha dunque esercitato un influsso diretto sulla produzione artistica di maggiore respiro dell'epoca e qualche altro personaggio deve viceversa avere avuto presso la corte maggiore responsabilità per l'elaborazione di codici di gran lusso (Köhler, 1972).
L'interesse di A. per la valorizzazione del testo biblico ha esplicitamente una finalità di carattere pedagogico: avviare con maggiore facilità, attraverso un contatto sensibile, visivo, con la profondità misteriosa del messaggio della redenzione, l'accostamento del credente non erudito alla comprensione di esso. Soltanto in seguito il possesso di una reale scienza teologica metodologicamente raffinata può portare a compimento tale comprensione intelligente della verità di fede presso i più sapienti. Nelle opere di A. è quindi possibile rintracciare le linee generali di un'efficace teoria estetica nascente dalla meditazione del pensiero di Agostino e inglobata all'interno di un più ampio progetto pedagogico-culturale. Attraverso la diffusione degli scritti alcuiniani tale visione ha influenzato la produzione artistica del sec. 9° e, di qui, l'intera concezione estetica medievale.
Poiché la vera sapienza consiste nella comprensione della divinità del vero, indagato dalla ragione e integralmente posseduto dal cristiano per mezzo della gratuita rivelazione divina, la bellezza appare chiaramente ad A. come una parte della verità, in quanto è riconoscimento, da parte di una ragione educata a misurare e valutare le proporzioni e definizioni della realtà, dell'ordine armonico che Dio ha imposto all'universo creato. L'arte è dunque una forma della razionalità, così come lo sono anche le discipline scientifiche, o 'arti liberali', con le quali l'uomo ricostruisce il vero del creato: esse sono infatti lo strumento adeguato, già scoperto e messo a frutto dai filosofi pagani, per ricostruire o riprodurre, mediante l'intelligenza e le mani dell'uomo, la bellezza e verità delle 'forme' visibili immesse nel creato dall'attività amministratrice del Logos, seconda persona della Trinità, Sapienza di Dio e dunque 'arte' divina nella quale tutte le arti create si riconoscono e si unificano. Amare la sapienza è il fine naturale dell'uomo, da realizzare attraverso l'esercizio delle arti (Disp. de vera philos.; PL, CI, coll. 849-850): la considerazione del bello, come del vero, nelle sue minime forme, fa allora parte in modo essenziale della sapienza, perché conduce attraverso gradi intermedi alla contemplazione stessa di Dio e racchiude in sé una fra le possibilità per l'uomo di appagare il naturale desiderio del bene. Il vero maestro deve gradualmente educare i discepoli a leggere la natura, a conoscere e utilizzare le arti liberali, a saper parlare e poetare, a considerare l'ordine delle stelle nel cielo come se fossero dipinte sul soffitto di una ricca casa affrescata (Ep., 121). Quindi dalla contemplazione delle stelle l'ordine conduce a godere l'armonia e la bellezza del creato con uno sguardo unitario, quindi ad amare Dio, che ne è la causa (Ep., 148, 155). Anche l'interessamento vistoso di A. per il significato simbolico dei numeri nella Sacra Scrittura va inteso come un complemento di questa ricostruzione del disegno armonico con cui Dio ha ordinato l'universo (Ep., 133).
L'invito a conseguire questa sapienza estetico-teologica coinvolge ogni uomo, dalla base monastica al vertice imperiale: sapientiae decus è un pregio del sovrano stesso (Ep., 121, 162) ed è proprio al centro dell'educazione di Carlo Magno, rappresentata da A. dialogicamente nel suo De rhetorica et virtutibus, che questo progetto viene proposto come invito per il cristiano a riconoscere in sé le tracce dei valori spirituali eterni che Dio ha impresso nella natura creata (in Halm, 1863, p. 548, 13 ss.). La virtù è infatti la bellezza della natura umana e dunque ritrovare la bellezza, sotto qualsiasi aspetto, significa ritrovare l'immagine divina nell'uomo perduta con il peccato originale (Ep., 148; De animae ratione, 2, PL, CI, col. 639BC).
La stessa dottrina è ampiamente sviluppata anche nei Libri Carolini, che fanno appello all'idea di misura per giustificare una venerazione non eccessiva delle immagini sacre. A. non condanna nei suoi scritti il culto delle immagini, né le esteriorità della liturgia, la preziosità dei paramenti o la decorazione ricca delle chiese: soltanto propone in ogni campo la moderazione, in nome della sua idea centrale che la bellezza anche sensibile, se accolta all'interno dell'ordine universale, conduce l'anima a Dio. Similmente invita i monaci a cantare con voce temperata nei cori, per piacere a Dio e non agli uomini (Ep., 114). Dio ha creato la natura in bellezza: deturpare la bellezza creata è sempre peccato e quindi A. rivolge un duro rimprovero a coloro che, mantenendo dopo la conversione al cristianesimo pratiche cultuali di origine pagana, come per es. tatuaggi o cicatrici, o anche soltanto praticando usi e costumi sovrabbondanti, inutili o lussuosi (lunghi capelli, barbe incolte, abiti ridondanti), offendono la dignità esteriore del corpo umano, immagine diretta di Dio (Ep., 3, 16).
Anche la dottrina retorica di A. si concentra sulla scelta accurata di parole belle, brillanti e semplici, l'uso di una voce equilibrata e ben articolata, la proporzione nell'andamento del discorso. Il buon retore è il sapiente dotato di buon gusto, colui che cerca come proprio scopo ciò che è conveniente: "quid sibi deceat et suae conveniat causae" (De rhet. et virt., in Halm, 1863, p. 545, 31). Una buona figura retorica deve sempre ricorrere a immagini belle e fuggire la turpitudine e quindi cercare di favorire la venustas della causa, accanto alla dignitas dell'oratore (ivi, p. 544, 14). Il tutto è giocato alla luce di una frase proverbiale fondamentale, di origine classica: ne quid nimis, 'mai troppo', principio che si applica perfettamente, secondo A., a tutti gli ambiti nei quali è valido il discorso estetico, cioè nel campo morale, nel campo retorico, in quello teologico (ivi, pp. 547, 38 - 548, 5).
È stato osservato che quest'idea estetica non è soltanto teorica. Leprieur (1905, pp. 346-347) ritiene che essa abbia influenzato ampiamente il programma artistico della scuola di Tours quale si può dedurre dalle opere post-alcuiniane: misura, ordine, importanza degli spazi proporzionati e del contrasto tra bianco e colore, sobrietà ornamentale. La nettezza logica di questo ideale ne garantì l'uniformità nei decenni successivi, cosicché anche se sfugge completamente l'iniziativa concreta di A. come direttore della scuola artistica di Tours, si può parlare realmente di una traccia del suo insegnamento, almeno teorico, nella produzione successiva.
In manoscritti del sec. 9° sono pervenuti due ritratti di A., entrambi posteriori alla sua morte e dunque privi di pretese fisionomiche. Il primo si trova nella Bibbia di Bamberga (Bamberga, Staatsbibl., Bibl. 1, c. 5v), una delle c.d. 'bibbie di A.': all'interno di un'iscrizione contenente i ventisei versi di A. medesimo "In hoc quinque libri" (Carm., 68) è tracciato in rosso in un medaglione d'oro il ritratto di un santo tonsurato, con accanto la scritta Alcuinus Abba. L'altro è nel manoscritto redatto a Fulda prima dell'840 (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 652) contenente il De laudibus sanctae Crucis di Rabano Mauro: alla c. 1v una miniatura rappresenta Rabano che viene introdotto da A. (designato dalle parole Albinus Abbas) a presentare il libro a un personaggio seduto su un soglio vescovile (forse Otgaro di Magonza). L'anziano maestro, barbuto e tonsurato, è rappresentato dietro il discepolo, in atto di sospingerlo in avanti, con volto premuroso e con la bocca aperta mentre pronuncia le parole di presentazione.
Nell'epistolario di A. è possibile trovare alcune rapide testimonianze sulla produzione contemporanea di oggetti di artigianato e oreficeria, spesso doni scambiati fra vescovi: stoffe preziose, una tunica decorata, una sella, vasi in oro o in argento, eccetera. Di particolare interesse è la descrizione di un pettine d'avorio che A. ricevette in dono da Riculfo arcivescovo di Magonza: ai lati due teste di animale sono unite da una mascella comune che costituisce il corpo dell'oggetto, dal quale escono sessanta denti (Ep., 26; Carm., 5). Secondo la narrazione dell'anonima Vita Alcuini del sec. 9°, alla morte di A. questo stesso pettine sarebbe diventato oggetto di venerazione e causa di guarigioni miracolose.
Bibliografia
Fonti:
Quasi tutte le opere di A. sono pubblicate in PL, C-CI. Inoltre: Epistolae, in MGH. Epist., IV, Karolini Aevi, II, 1895, pp. 18-493; Carmina, in MGH. Antiquitates. Poëtae Latini, I, 1881, pp. 160-351; De rhetorica et virtutibus, in K.F. Halm, Rhetores latini minores, Leipzig 1863, pp. 523-550; il frammento di incerta attribuzione De musica, in M. Gerbert, Scriptores ecclesiastici de musica sacra, I, St. Blasien 1784, pp. 26-27. La Vita Alcuini è in PL, C, 89D-106D.
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