Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Le nuove scoperte e l’applicazione di nuovi metodi scientifici mettono in crisi l’autorità di Tolomeo, verso il quale permane tuttavia un grande rispetto. Notevoli progressi investono l’astronomia, favorita dal perfezionamento del calcolo trigonometrico, e gli studi geografici – in primo luogo la cartografia –, che allargano i propri orizzonti grazie a scambi e commerci con l’Oriente, ma soprattutto grazie all’applicazione di raffinate tecniche di calcolo.
Trigonometria e algebra
Il fatto che gli studiosi europei non avrebbero mai più rinunciato ai vantaggi derivanti loro dalle scienze islamiche traspare dai contributi scientifici di Johann Müller di Königsberg, meglio conosciuto con il nome latinizzato di Regiomontano. Una delle sue opere più importanti, il De triangulis omnimodis, scritta verso il 1464 e stampata postuma nel 1533, mostra come egli avesse ormai ben appreso la geometria piana di Euclide, la geometria sferica di Tolomeo e i metodi trigonometrici di derivazione islamica. Il secondo libro dell’opera contiene infatti l’esposizione della legge dei seni nel caso dei triangoli piani, mentre il quarto libro la estende al caso dei triangoli tracciati su una superficie sferica. Accanto agli aspetti teorici, Regiomontano si dedica tuttavia anche agli aspetti pratici del calcolo trigonometrico, preparando delle Tabulae directionum, pubblicate postume nel 1490, per determinare il seno, il coseno e la tangente di un dato angolo. La fortuna di entrambi i lavori è attestata dal grande numero di esemplari manoscritti in circolazione prima che ne venissero prodotte edizioni a stampa. Entrambi i lavori fanno sì che i metodi trigonometrici vengano acquisiti da tutti i grandi matematici europei, fra i quali il giovane Nicolò Copernico, che ne farà ampio uso nei propri lavori astronomici. L’impossibilità di rinunciare alle conoscenze islamiche è anche ben attestata dalla Summa de arithmetica, geometria, proportioni et proportionalità del frate Luca Pacioli, che oscura per importanza le altre opere sull’algebra scritte in Europa nel XV secolo. Completata verso il 1487, la Summa costituisce un’influente compilazione concernente quattro aspetti delle matematiche: aritmetica, algebra, geometria e contabilità. Attingendo da fonti greche, islamiche ed europee, Pacioli diffonde in particolare l’uso del punto di separazione fra le cifre intere e le cifre decimali, estremamente utile nella matematica commerciale.
La padronanza dei metodi algebrici, geometrici e trigonometrici dà un impulso del tutto nuovo alla scienza degli astri. Nella seconda metà del XV secolo, gli studiosi hanno ormai acquisito consapevolezza delle ragioni alla base della distinzione fra una cosmologia fisica, di competenza dei filosofi, e un’astronomia matematica, di competenza degli astronomi pratici. Alcuni studiosi cominciano perciò ad adoperarsi nel tentativo di dare al cosmo un senso unitario, fisico e matematico insieme, grazie a modelli planetari in grado di soddisfare entrambi i punti di vista. Molto significative e fortunate in proposito sono le Theoricae novae planetarum di Georg Peurbach, pubblicate per la prima volta da Regiomontano nel 1472. Riprendendo un’idea che alcuni astronomi islamici avevano ricavato dall’Ipotesi sui pianeti di Tolomeo, Peurbach fonde la struttura a sfere cristalline concentriche del cosmo aristotelico con i modelli planetari tolemaici. Per far ciò, egli sostiene l’idea che la struttura essenziale della teoria degli epicicli esposta nell’Almagesto possa essere ripensata in termini di gusci sferici. Ciascun modello planetario tolemaico può sostanziarsi in un equivalente fisico, introducendo una coppia di gusci sferici concentrici alla Terra nella cui intercapedine viene trascinata un’altra coppia di gusci sferici eccentrici. Nell’intercapedine di quest’ultima coppia rotola l’epiciclo, pensato come una sfera più piccola. Per la loro presa sull’immaginario dei matematici europei, le Theoricae di Peurbach vengono più volte ristampate, commentate, rielaborate e danno luogo alla creazione di modelli esplicativi solidi da parte di alcuni abili costruttori di strumenti scientifici per tutto il XVI secolo.
Incongruenze dell’astronomia tradizionale
Regiomontano non si limita ad assecondare la volontà di Peurbach stampando le Theoricae non appena possibile. Egli dà anche compimento a un altro desiderio del proprio maestro, caldamente sostenuto da Giovanni Bessarione: agevolare la lettura della massima opera astronomica greca, l’Almagesto di Tolomeo, grazie a un trattato introduttivo che la ripercorre in ogni parte sciogliendone le difficoltà testuali e matematiche. L’Epytoma in Almagestum Ptolomei, completata fra il 1462 e il 1463, ripercorre tutti i 13 libri del capolavoro tolemaico offrendone una versione semplificata, ma non banalizzata.
Di fatto, Regiomontano non manca di sottolineare anche quei difetti che svelavano il carattere puramente matematico dell’Almagesto e che, in definitiva, impedivano di dare attendibilità all’operazione tentata da Peurbach con le Theoricae. Per esempio, chiunque avesse ben guardato al modello della Luna concepito da Tolomeo, o al suo equivalente su base sferica delle Theoricae, si sarebbe accorto che la forte eccentricità della traiettoria lunare avrebbe implicato un fenomeno paradossale: il diametro apparente della Luna al perigeo (il punto più vicino alla Terra) avrebbe dovuto essere il doppio di quello della Luna all’apogeo (il punto più lontano dalla Terra).
Per questo motivo, in altri lavori astronomici incompiuti, Regiomontano si dedica a ricercare modelli planetari in grado di meglio soddisfare le esigenze fisiche dei filosofi e le esigenze matematiche degli astronomi pratici. In questa direzione egli delinea alcuni modelli planetari costituiti da sfere concentriche alla Terra in cui i movimenti degli astri, e in particolare quelli del Sole e della Luna, sono regolati da dispositivi biella-manovella del tutto innovativi rispetto alla tradizione. Sebbene nell’arco della sua breve vita egli non sia mai in grado di definire un sistema completo del mondo tale da sostituirsi a quello di Aristotele o di Tolomeo, le sue osservazioni astronomiche e i suoi tentativi di forzare gli schemi hanno una notevole influenza sull’astronomia coeva e del secolo successivo. Come matematico Regiomontano gode infatti di un’autorità universalmente riconosciuta, tanto da essere chiamato a Roma nel 1475 da Sisto IV per tentare di risolvere l’ormai annosa questione del calendario. Questa autorità, unita alla conoscenza delle opere antiche, fa apparire le sue critiche all’astronomia del passato come un segno che qualcosa di rilevante non funzionava nell’usuale concezione geocentrica del cosmo.
Non è perciò un caso se, a cavallo fra il XV e il XVI secolo, l’astronomia europea mostra una spiccata tendenza alla progettazione di modelli geometrici di vario tipo, ma sempre di più volti a coniugare la fisica delle sfere celesti con le osservazioni delle posizioni planetarie. Specialmente nell’area degli Stati germanici e di quelli italiani cominciano a farsi avanti i sostenitori di modelli a epicicli alternativi a quelli elaborati da Tolomeo e di sistemi di sfere concentriche a volte molto più complessi di quelli descritti da Aristotele. A quanto sembra, proprio in quest’area, e specialmente all’Università di Bologna, dove insegna Domenico Maria Novara, cominciano ad affiorare le prime ipotesi su una qualche presunta mobilità della Terra. Copernico, dopo aver acquisito confidenza con le Theoricae di Peurbach durante i primi studi condotti all’Università di Cracovia, si reca a studiare proprio in Italia, alle Università di Bologna, Padova e Ferrara. Secondo la tradizione storiografica, Copernico manifesta presto grandi doti matematiche e giunto a Roma nell’anno del giubileo, il 1500, vi tiene alcune lezioni. L’idea che la Terra possa davvero muoversi e il Sole rimanere fermo al centro dell’universo forse si affaccia alla sua mente già negli anni di formazione.
La critica all’autorità tolemaica
Nella seconda metà del XV secolo si genera un atteggiamento ambivalente nei confronti dell’autorità di Tolomeo. I matematici, Peurbach e Regiomontano in testa, lo ammirano riconoscendogli di aver avuto un ruolo determinante nel definire la corretta metodologia per affrontare il mondo sensibile. Questa metodologia richiede di combinare accurate osservazioni dei fenomeni da interpretare e raffinate tecniche di calcolo per desumere leggi geometriche generali utili alla formulazione di previsioni. Tuttavia, proprio quegli stessi matematici cominciano a osservare che, nonostante la correttezza della metodologia, non sempre le conclusioni di Tolomeo si rivelano esatte. Nuove osservazioni, compiute con strumenti accurati, e nuove interpretazioni dei dati raccolti, eseguite con metodi matematici sconosciuti nell’Antichità, permettono di giungere a conclusioni particolari anche molto diverse da quelle che Tolomeo aveva presentato nelle opere maggiori: l’Almagesto, la Geografia e l’Ottica.
Un altro esempio significativo di questo atteggiamento ambivalente si ricava proprio dagli studi geografici, che nel Quattrocento cominciano ad avere un nuovo impulso grazie alla ripresa degli scambi commerciali con l’Oriente. La diffusione di nuovi strumenti di calcolo e di rilevamento determina l’abbandono della cartografia propriamente medievale, a carattere morale, e il recupero integrale di una cartografia che ambisce a rappresentare oggettivamente la superficie terrestre. A ogni località è possibile associare due coordinate, latitudine e longitudine, che ne definiscono la posizione sulla superficie sferica della Terra. Questa posizione può essere registrata segnando un punto in un apposito reticolo di coordinate tracciato sulla superficie piana di un foglio seguendo uno dei due tipi di proiezione cartografica descritti da Tolomeo nella Geografia. L’insieme dei punti costituisce gli elementi di riferimento in base ai quali realizzare la mappa geografica di un territorio. L’accoglimento di questo tipo di cartografia appare evidente nell’opera di uno dei più noti geografi dell’epoca, Paolo dal Pozzo Toscanelli, che non esita a estenderlo alla rappresentazione della sfera celeste.
Toscanelli è influenzato in modo singolare dalla crescente diffidenza verso i risultati antichi. Tolomeo aveva accettato la stima della circonferenza terrestre fatta da Eratostene di Cirene. Il risultato era stato confermato nel IX secolo dalla spedizione geografica organizzata dal califfo al-Ma’mun nel deserto del Sinjar. La misura della lunghezza dell’arco di meridiano corrispondente a un grado, condotta dalla spedizione, aveva portato a concludere che la circonferenza terrestre fosse di 20.400 miglia arabe (40.250 km ca.). L’insufficienza dei mezzi disponibili per determinare la longitudine di un luogo – un problema che affliggerà i matematici fino al XVIII secolo – aveva invece indotto Tolomeo e i suoi successori a stimare in eccesso l’estensione delle terre emerse comprese fra le Colonne d’Ercole e l’estremità orientale dell’Asia. Questa seconda stima aveva fatto pensare ai successori di Tolomeo che l’Oceano Atlantico si estendesse per poco più di 8000 miglia arabe (16 mila km ca.). Un errore di valutazione – cioè ritenere uguali le miglia arabe e le miglia europee, mentre invece tre miglia arabe corrispondono a circa quattro miglia europee – induce Toscanelli a stimare che questa distanza sia appena di 2700 miglia europee (4000 km ca.). In sostanza, la ridotta autorità di Tolomeo non trattiene Toscanelli dall’affermare che un veliero in rotta verso ponente possa raggiungere l’Asia senza difficoltà, né Cristoforo Colombo dal mettere in gioco la propria vita in un’impresa salvata solo dall’inopinata esistenza di un nuovo continente.
Gli studi di ottica
Molto più latente è la crisi dell’autorità tolemaica nell’ambito dell’ottica. L’unica opera che Tolomeo aveva dedicato all’argomento si basava sui lavori dei predecessori, era stata tramandata in forma incompiuta e infine era confluita nei testi di ibn al-Haytham e di Witelo. Le opere di questi ultimi autori avevano formato il canone di riferimento per ogni ulteriore studio di ottica geometrica, o “perspettiva”. Tuttavia, a partire dal XV secolo, la tradizione perspettiva dell’ottica comincia a svilupparsi marcando la distanza fra essa e altri due livelli di approccio agli effetti sensibili prodotti dalla luce.
I “perspettivisti” affrontano i problemi in modo eminentemente teorico, badando a chiarire i meccanismi della visione e della formazione delle immagini attraverso specchi, lenti o sfere di vetro. Essi hanno ben assimilato i principi generali della trasmissione dei raggi luminosi per linea retta, dei due fenomeni della riflessione dei raggi su una superficie speculare e della loro rifrazione attraverso la superficie di separazione fra due mezzi trasparenti. I perspettivisti non esitano perciò a interpretare i fenomeni visivi nel quadro di riferimento di questi tre elementi teorici. Ne fa dimostrazione il Della prospettiva attribuito al medico e matematico Giovanni Fontana, dove il funzionamento degli occhiali per leggere è spiegato per analogia al caso più semplice di rifrazione, riguardante l’aspetto ingrandito di un oggetto immerso nell’acqua.
Su un secondo livello si pongono invece quanti sono interessati a gestire in via pratica i risultati teorici raggiunti dalla tradizione perspettiva. Molti di costoro, dotati talora di buone competenze teoriche, mirano a riunire le nozioni raccolte sulla riflessione e sulla rifrazione, nonché quelle riguardanti il comportamento dei principali elementi ottici – specchi e lenti – per combinarle nella progettazione di dispositivi ustori o in grado di proiettare immagini. Queste finalità proprie dell’ottica pratica, già contemplate da Ruggero Bacone, sono riprese dallo stesso Fontana nel Bellicorum instrumentorum liber. Fra le varie cose, egli presenta in quest’opera lanterne magiche per proiettare immagini di giganteschi demoni intese a terrorizzare gli eserciti nemici. Sia che avessero una base ottica concreta, sia che nascessero da pure astrazioni o da evidenti errori teorici, questi dispositivi non vengono di fatto mai realizzati all’epoca. La condizione del terzo livello di approccio ai fenomeni sensibili prodotti dalla luce, quello dell’ottica materiale, di competenza degli artigiani del vetro e degli occhiali, fa sì che la qualità degli specchi e delle lenti disponibili sul mercato sia estremamente bassa. Per tutto l’arco dei secoli XV e XVI è di fatto impossibile realizzare un qualunque dispositivo di ingrandimento più complesso di un paio di occhiali da lettura o di uno specchio.