De Benedetti, Aldo
Commediografo e sceneggiatore, nato a Roma il 13 agosto 1892 e morto ivi il 19 gennaio 1970. Rappresentante del teatro d'evasione del periodo fra le due guerre, con la sua abilità nel calibrare ritmi narrativi e notazioni d'ambiente, unita a una raffinata ironia nel costruire intrighi sentimentali, contribuì allo sviluppo del cinema dei cosiddetti telefoni bianchi. Partecipò a film di successo popolare degli anni Quaranta e Cinquanta, collaborando con registi come Mario Mattoli e Raffaello Matarazzo, ma anche con Alessandro Blasetti e Vittorio De Sica, per le opere che segnarono l'esordio di quest'ultimo nella regia. Nelle sue sceneggiature D. B. trasfuse la propria visione da cantore di mondi scomparsi, e anticipò alcuni temi del Neorealismo come l'attenzione al mondo della piccola borghesia e al melodramma popolare.
La sua intensa attività di commediografo durò dal 1916 al 1937 e riprese nel 1945 dopo una lunga interruzione, dovuta alla promulgazione delle leggi razziali (1938) da parte del regime fascista, durante la quale D. B. poté dedicarsi esclusivamente al cinema, senza però apparire nei titoli di testa dei film. Il suo esordio avvenne nel periodo del muto come regista di tre film, seppur non di rilievo: Marco Visconti (1925), Anita (1926), con Rina De Liguoro, e La grazia (1929), tratto dalla novella Di notte di G. Deledda, alla cui uscita attirò l'interesse di Blasetti. Nel 1932 D. B. scrisse soggetto e sceneggiatura (alla quale collaborò anche Mario Soldati) di Gli uomini, che mascalzoni… di Mario Camerini in cui, secondo un equilibrio di comicità e sentimento e sul motivo della canzone Parlami d'amore Mariù di C.A. Bixio, si alternano le vicende sentimentali di una commessa, figlia di un taxista milanese, e di un autista rubacuori. Trampolino di lancio per Vittorio De Sica, fino allora attore del teatro cosiddetto leggero e soprattutto delle commedie teatrali di D. B., il film ritrae con autenticità la Milano operosa degli anni Trenta. Nel 1937 per Blasetti scrisse la sceneggiatura di Contessa di Parma e dall'anno successivo iniziò con maggiore regolarità la sua attività cinematografica con soggetti, sceneggiature e adattamenti di proprie commedie. Negli anni Quaranta collaborò alla scrittura dei primi quattro film, soffusi di amabile ironia sentimentale, di De Sica regista: Rose scarlatte (1940), diretto insieme a Giuseppe Amato e tratto dalla commedia di successo Due dozzine di rose scarlatte dello stesso D. B., Maddalena zero in condotta (1940), Teresa Venerdì (1941) ‒ alla cui sceneggiatura parteciparono anche Gherardo Gherardi e, non accreditato, Cesare Zavattini ‒ e, infine, Un garibaldino al convento (1942). Scrisse quindi con Zavattini e Amato Quattro passi tra le nuvole (1942) di Blasetti, valutato positivamente dalla critica per la nuova vena di realismo di cui risultò pervaso; sceneggiò poi con Emilio Cecchi, Suso Cecchi d'Amico, Fulvio Palmieri, Fausto Tozzi, Mio figlio professore (1946) di Renato Castellani: la vicenda patetica e affettuosa, strutturata su un lungo arco temporale, di un bidello romano (un grande Aldo Fabrizi) che aspira a vedere il figlio professore nella 'sua' scuola; al film parteciparono come attori una serie di scrittori: Ennio Flaiano, Ercole Patti, Mario Soldati, Paolo Monelli e Francesco Iovine. Utilizzando gli schemi melodrammatici, come aveva già fatto, seppur non accreditato, per Stasera niente di nuovo (1942) di Mattoli, film che dovette il suo grande successo anche all'interpretazione di Alida Valli (che cantava Ma l'amore no di G. D'Anza), negli anni Cinquanta firmò, in collaborazione, le sceneggiature di melodrammi popolari diretti da Matarazzo (Catene, 1949; Tormento, 1950; I figli di nessuno, 1951). Negli anni successivi D. B. continuò a scrivere per il cinema, per lo più remake di film famosi; da ricordare comunque Una di quelle (1953) per la regia di Aldo Fabrizi: una vicenda patetica soffusa di toni umoristici, con la partecipazione di Totò e Peppino de Filippo.