Fabrizi, Aldo
Attore e autore teatrale, e attore, sceneggiatore e regista cinematografico, nato a Roma il 1° novembre 1905 e morto ivi il 2 aprile 1990. Fu uno dei personaggi più rappresentativi del cinema italiano del secondo dopoguerra: in film e commedie ascrivibili al Neorealismo minore e al genere dialettale, anche per il suo fisico corpulento, la voce roca e affaticata, lo sguardo a volte triste a volte ironico, diede vita a indimenticabili figure, sornione, disincantate, tratte dalla Roma popolare o piccolo-borghese. La sua più grande interpretazione fu però quella drammatica del prete antifascista in Roma città aperta (1945) di Roberto Rossellini. Ottenne due volte il Nastro d'argento: nel 1951 per Prima comunione (1950) di Alessandro Blasetti e nel 1975 per C'eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola. Nel 1988 ricevette il David di Donatello alla carriera.Dopo la morte del padre, a undici anni abbandonò la scuola ed esercitò diversi mestieri (fattorino, meccanico, decoratore, guardiano notturno, postino). Scrisse poi monologhi in dialetto su alcuni 'tipi' della Roma delle sue origini (il tranviere, il vetturino, il portiere, il pescivendolo), che dal 1931 iniziò a presentare negli spettacoli di varietà. Nella sua attività cinematografica, iniziata durante la guerra, F. avrebbe riproposto spesso questi suoi personaggi spiritosi, scettici, ma anche pervasi da una vena di malinconia, come il bigliettaio di Avanti c'è posto… (1942), suo film d'esordio, il pescivendolo di Campo de' fiori (1943), entrambi di Mario Bonnard, o il vetturino di L'ultima carrozzella (1943) di Mario Mattoli. Tra il 1944 e il 1945 F. scrisse e interpretò alcune commedie teatrali, e iniziò a lavorare in Roma città aperta, nel ruolo di don Pietro Pellegrini, personaggio ispirato a don Pietro Morosini, fucilato dai nazisti per aver preso parte alla Resistenza. Esemplare fu la prestazione di F. in questa sua prima parte drammatica, in cui seppe controllare le proprie tendenze agli eccessi espressivi, costruendo una figura eroica e umanissima, che lo rese celebre in tutto il mondo e costituì il culmine della sua carriera di attore.
Negli anni seguenti interpretò, spesso ancora nell'ambito del Neorealismo, ruoli comici ma con risvolti sempre più amari, come la figura del bidello che vede coronato il suo sogno di avere un figlio insegnante, ma che da questi viene infine respinto in Mio figlio professore (1946) di Renato Castellani, o quella del mite e coraggioso contadino che si sacrifica per salvare il proprio Paese da una rappresaglia nazista in Vivere in pace (1947) di Luigi Zampa. Sempre nel 1947 fu il protagonista di Tombolo ‒ Paradiso nero di Giorgio Ferroni, singolare contaminazione tra i temi del Neorealismo e le atmosfere della cronaca nera e del melodramma. Dopo aver interpretato la parte di un burbero 'nuovo ricco' in Prima comunione, F. comparve, sempre nel 1950, in Francesco, giullare di Dio di Rossellini, in un ruolo per lui insolito, un personaggio stravagante e quasi fiabesco, quello del truculento tiranno Nicolaio, nascosto da un'enorme armatura, che sottopone a terribili vessazioni frate Ginepro per il quale, però, alla fine prova pietà. L'anno successivo recitò nella commedia neorealista Guardie e ladri di Mario Monicelli e Steno, in cui per la prima volta la sua ironia disincantata venne messa a confronto con l'incontenibile comicità di Totò: nell'interpretare un disgraziato brigadiere costretto, per non perdere il posto, all'incessante inseguimento di un ladro, che non gli risparmia alcuna provocazione, ma nella cui condizione di 'pover'uomo' pure si riconosce, F. seppe offrire un saggio esemplare della sua capacità di equilibrare l'elemento comico con quello drammatico. Fu poi un ingenuo provinciale in Parigi è sempre Parigi (1951) di Luciano Emmer, un capotreno dalla doppia vita in Signori, in carrozza! (1951) di Zampa, un vecchio libraio ambulante in Altri tempi ‒ Zibaldone n. 1 (1952) di Blasetti. Nei film successivi, però, per lo più ripetitivi e di consumo, F. ripiegò su un personaggio collaudato, il grasso e gioviale brontolone, in abiti di piccolo-borghese o in divisa di sottufficiale, che difende i valori di un tempo, esaltando il passato, anche quello politico.
Nel 1949 F. aveva esordito nella regia, sempre riservandosi ruoli di protagonista, con Emigrantes (girato in Argentina), sulla nostalgia per la patria lontana, seguito da Benvenuto, reverendo! (1950), su un ex detenuto perseguitato dalla sfortuna: ma l'eccessivo sentimentalismo deluse pubblico e critica. Ottenne invece un grande successo con una serie sulle disavventure di un padre di famiglia piccolo-borghese (La famiglia Passaguai, 1951; La famiglia Passaguai fa fortuna e Papà diventa mamma, entrambi del 1952), in cui F. si ispirò ampiamente alla sue esperienze nel teatro dialettale e nel varietà. Ritornò poi al registro melodrammatico che gli era proprio con Una di quelle (1953) e Il maestro (1958, la sua ultima regia); Marsina stretta (episodio del film collettivo Questa è la vita, 1954) viene considerata la sua opera migliore.
Nella fase conclusiva della sua carriera, F. interpretò due opere di alto livello: La Tosca (1973) di Luigi Magni, dove è il governatore di Roma, e soprattutto C'eravamo tanto amati, in cui seppe offrire, del rozzo imprenditore Romolo Catenacci, una caratterizzazione grottesca e antinaturalistica, ricca di sfumature psicologiche.Negli anni Sessanta era tornato occasionalmente al teatro, ed era comparso in televisione in trasmissioni di intrattenimento; negli anni Settanta si era poi dedicato alla poesia di argomento gastronomico.
S. Sallusti, Fabrizi, Aldo, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 43° vol., Roma 1993, ad vocem.