FINZI, Aldo
Nacque a Legnago (Verona) il 20 apr. 1891 da Emanuele, proprietario di un'industria molitoria a Badia Polesine, e da Rosa Roggia. Studiò al collegio "Maria Luigia" di Parma e nel 1913 intraprese l'attività politica con l'elezione al Consiglio comunale di Badia Polesine. Nel 1915 si arruolò volontario; promosso per meriti di guerra sottotenente e poi tenente, entrò a far parte della squadriglia "Serenissima", con la quale effettuò l'8 ag. 1918 il celebre volo su Vienna guidato da G. D'Annunzio. Ottenne una medaglia d'argento al valor militare e tre encomi solenni.
Laureatosi nel 1919 in giurisprudenza all'università di Ferrara, si stabilì a Milano, dove nel gennaio 1920 aderì ai Fasci di combattimento. Legato al "Gruppo Oberdan", fu tra i più risoluti oppositori del patto di pacificazione tra fascisti e socialisti. Nel 1921 venne eletto alla Camera dei deputati nella lista fascista per il collegio Padova-Rovigo e al suo esordio parlamentare si segnalò per un grave atto di violenza: il 13 giugno, insieme con altri deputati fascisti, aggredì e trascinò fuori da Montecitorio il deputato comunista F. Misiano. Il 3 ag. 1922 il F. fu, insieme con Cesare Rossi, alla testa delle squadre fasciste che a Milano occuparono la sede municipale di palazzo Marino.
Nel generale clima di mobilitazione che segnò la vigilia della marcia su Roma, tra gli altri, il F. e il Rossi vennero incaricati di prendere contatti con i direttori dei principali quotidiani milanesi allo scopo di indurli con le minacce a sostenere l'iniziativa dei fascisti. La sera del 28 ott. 1922 il F. si trovava presso la sede dell Popolo d'Italia insieme con Mussolini, allorché questi fu informato da C.M. De Vecchi che il re offriva ai fascisti quattro ministeri in un governo presieduto da A. Salandra. Di fronte agli indugi di Mussolini, il F. si adoperò per convincerlo che non v'era altra soluzione che la richiesta dell'incarico di presidente del Consiglio. Il giorno successivo il F. accompagnò Mussolini a Roma.
Il 31 ott. 1922 il F. venne nominato sottosegretario all'Interno nel primo governo Mussolini e in tale veste ebbe anche il compito di gestire i "fondi segreti" per il finanziamento della stampa.
Installatosi al potere, Mussolini era infatti deciso ad assumere il pieno controllo dei vari segmenti del movimento fascista, che obbedivano ai ras locali e disponevano di propri organi di stampa; l'elargizione di contributi ad alcuni e non ad altri di questi giornali di provincia era appunto finalizzata a questo obiettivo. Il F. era allora all'apice della sua fortuna politica e si giovava dello stretto rapporto instaurato con Mussolini, che nel febbraio 1923 fu presente al suo matrimonio con Maria Luisa (Mimì) Clementi, nipote del cardinale S. Vannutelli (per contrarre il quale il F., di famiglia ebrea, si convertì al cattolicesimo).
Membro del Gran Consiglio del fascismo, il F. cumulò le cariche di vicecommissario per l'Aeronautica e di presidente del CONI (Comitato olimpico nazionale italiano).
Ripudiato l'originale radicalismo, il F. divenne un fedele esecutore della linea normalizzatrice e s'impegnò nel tentativo di inglobare nel fascismo settori del mondo cattolico, della cooperazione e del sindacalismo confederale al fine di garantire la conservazione del vecchio assetto economico e sociale.
Maturò perciò il progetto di dar vita a un quotidiano fiancheggiatore del governo che fosse in grado di competere con le maggiori testate nazionali. Ai primi del 1923 il F., insieme con C. Rossi e F. Filippelli, prese contatto con alcuni esponenti di gruppi industriali e annatoriali - Ilva, Terni, Odero, Piaggio ed Eridania - allo scopo di procurarsi i necessari finanziamenti e il 14 apr. 1923 poté essere costituita la società "La Vita d'Italia editrice del Corriere italiano.
Il F., oltre a detenere una partecipazione azionaria della società editrice, entrò a far parte con Filippelli e N. Quilici dei comitato di direzione del giornale. Alla fine di ottobre tentò di approfittare di una crisi finanziaria del giornale per diventare l'unico titolare dell'impresa, ma la manovra fallì ed egli fu costretto dal Rossi ad abbandonare la sua quota azionaria.
L'estromissione del F. si spiegava anche con il nuovo assetto politico e organizzativo del partito fascista deciso dal Gran Consiglio del 12 ott. 1923. Egli era stato la punta avanzata nella polemica revisionista ed aveva esposto il Corriere italiano agli attacchi degli esponenti del fascismo intransigente ed ancora nella citata seduta del Gran Consig!io era intervenuto a sostegno delle posizioni revisioniste di Massimo Rocca. Con l'intransigentismo occorreva fare i conti, ma non certo con una sterile e pericolosa contrapposizione frontale, come sembrò invece evocare la linea del Corriere italiano tra agosto e settembre. La liquidazione di F. rispondeva a tali esigenze, e certamente avveniva con il consenso di Mussolini.
Nonostante questa battuta d'arresto il F. restava un autorevole esponente del vertice fascista e se ne ebbe conferma nel gennaio 1924, allorché fu chiamato a far parte - insieme con C. Rossi, F. Giunta, G. Acerbo e M. Bianchi - della commissione incaricata di formare le liste dei candidati per le elezioni del 6 aprile. In questa sede il F. fece di tutto per favorire le candidature degli elementi moderati e ciò non poteva che renderlo ancora più inviso agli intransigenti. Con la sua rielezione alla Camera si compì l'ultimo atto di un'ascesa politica destinata, di lì a poco, ad interrompersi bruscamente. Il F. venne infatti coinvolto nel delitto Matteotti, anche se non si è mai pervenuti ad individuare in modo certo quale ruolo effettivo egli vi abbia svolto.
All'indomani del rapimento di G. Matteotti fu il F. a stilare la minuta della comunicazione che il 12 giugno Mussolini lesse alla Camera e quello stesso giorno partecipò a un incontro notturno presso il Viminale con C. Rossi, G. Marinelli ed E. De Bono allo scopo di concertare una comune linea di difesa. Quando però i forti sospetti che gravavano sugli ambienti della presidenza del Consiglio e del ministero dell'Interno si tradussero in esplicite accuse, Mussolini decise di sacrificare i suoi più stretti collaboratori e il F. venne indotto a dimettersi dai suoi incarichi di governo.
In una lettera del 15 giugno a G. Acerbo il F. si disse "fiero" che il suo gesto fungesse "egregiamente da diversivo" per distogliere gli attacchi dalla persona dì Mussolinì (Arch. centr. dello Stato, Giacomo Matteotti... p. 364), ma al tempo stesso sembrò avvertire iì timore di essere ucciso e volle pertanto cautelarsi facendo sapere di aver depositato in mani sicure una lettera-memoriale. Non è dato sapere quale effetto ebbero le minacce del F., ma è significativo che un ordine d'arresto nei suoi confronti, vergato da Mussolini il 16 luglio, non ebbe seguito.
Da allora la condotta del F. fu ambigua e contraddittoria: sempre fermo nell'affermare la propria estraneità al delitto, prima fece trapelare e poi ritrattò rivelazionì sul diretto coinvolgimento di Mussolini; né alla commissione del Senato incaricata dell'istruttoria a carico di E. De Bono, né al processo di Chieti nel marzo 1926 il F. portò comunque elementi di fatto decisivi per l'accertamento della verità.
Intanto il suo comportamento lo aveva posto ai margini della vita pubblica e fatto oggetto di insistenti accuse circa indebiti arricchimenti e speculazioni affaristiche. Nel 1928 il F. non venne ricandidato alla Camera e visse nell'ombra fino al 1938, allorché manifestò la propria opposizione ai provvedimenti per la difesa della razza. Il contrasto sulla politica razziale determinò nel 1942 la sua espulsione dal partito e il suo riavvicinamento alla comunità israelitica.
Durante l'occupazione tedesca il F., che viveva in una villa nei pressi di Palestrina, si adoperò per trasmettere ai partigiani informazioni sui movimenti delle truppe tedesche (il comando nazista si era insediato nella sua villa). Questa attività clandestina venne scoperta e il F., tratto in arresto, venne rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli.
Il 24 marzo 1944 fu fucilato dai nazisti nell'eccidio delle Fosse Ardeatine.
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