ALDOBRANDINI
. Nobile famiglia fiorentina, trapiantatasi nel '500 a Roma, dove molti suoi membri ascesero alle più alte dignità nella curia pontificia. Sembra che già nel Medioevo fosse divisa in tre rami: degli A. Bellincioni, saliti agli onori della magistratura nella repubblica fiorentina; degli A. di Lippo, che forse uscirono dal precedente; infine, degli A. di Madonna, detti poi anche del Papa, perché da essi discese Clemente VIII. E fu questo ultimo ramo che, nella nuova sede, ebbe maggiore e più lunga storia. I rappresentanti meglio conosciuti della famiglia, a Firenze e a Roma, furono:
Aldobrandino (1388-1453), che fu del magistrato dei priori (1417), e più volte (dal 1422 al 1446) dei dodici gonfalonieri di compagnia e dei dodici buonomini, infine gonfaloniere della repubblica (1434 e 1450). Partigiano de' Medici, fu di quelli che, nel famoso parlamento o balìa, richiamarono Cosimo a Firenze.
Giovanni (1422-1481), figlio del precedente, che tenne pure la carica di gonfaloniere della repubblica (1476), ma dovette ritirarsi dai pubblici affari della sua città, perché si scostò dalla fazione medicea. Nel 1480 fu capitano a Sarzana, dove morì.
Salvestro (1499-1558), che studiò legge a Pisa, e, avversario dei Medici, partecipò nel 1527 alla sollevazione di Firenze e coprì la carica di primo cancelliere delle riformagioni. Caduta la repubblica, fu arrestato e mandato al confino a Faenza e di là a Bibbona (1533); ma riuscì a fuggire, dapprima a Roma, poi a Napoli, dove fece parte di quel gruppo di fuorusciti che nel 1535 perorarono presso Carlo V le sorti della loro patria. Reso vano il proposito, Salvestro passò a Fano, a Bologna, a Ferrara (1538), fino a quando Paolo III lo chiamò a Roma, nominandolo (1549) avvocato concistoriale.
Ippolito, figlio del precedente (v. clemente viii).
Pietro (1572-1621), nipote di Clemente VIII, che lo nominò protonotario apostolico, avvocato concistoriale, prefetto di Castel S. Angelo e infine (1593) cardinale. Non ostante fosse di scarsa cultura, era dotato di vivace ingegno, per cui lo zio gli affidò importantissimi negozî della corte pontificia, fra i quali la questione per l'acquisto di Ferrara (1597), che l'anno dopo passò alla Chiesa. Amante del fasto, accumulò grandi ricchezze, e diede principio allo splendore della sua casa. Nominato dallo zio legato di Ferrara e di Bologna, prefetto dei brevi, camerlengo, ebbe anche altre delicate missioni diplomatiche, fra le quali quella di riconciliare (1601) Enrico IV di Francia con Carlo Emanuele I di Savoia, e far loro concludere la pace di Lione. Nel 1604 ottenne l'arcivescovato di Ravenna, dove portò il fasto della corte romana. Nel 1620, Paolo V lo nominò vescovo di Sabina. Andato a Roma l'anno dopo, per assistere al conclave, vi morì.
Cinzio (1560-1610), figlio d'una sorella di Clemente VIII, andata sposa a certo Personeni di Sinigaglia, studiò a Padova, e quando fu chiamato a Roma ottenne di assumere il cognome degli A. Cardinale nel 1593, si trovò spesso in contrasto col cugino Pietro, che lo tenne lontano dai pubblici negozî; onde decise di trasferirsi a Venezia, poi a Milano. Tornato a Roma nel 1599, ebbe la nomina a prefetto della Segnatura di Giustizia. Coltissimo nelle lettere, protesse il Tasso, alla morte del quale ne ereditò gli scritti. Nel 1604, andò legato ad Avignone, e l'anno dopo ebbe da Leone XI la dignità di penitenziere maggiore.
Gianfrancesco (1545-1601), d'un ramo collaterale a quello dal quale erano discesi un papa e parecchi cardinali, fu da Clemente VIII, non ancora pontefice, chiamato a Roma dalla nativa Firenze e dato in isposo a Olimpia, nipote diretta del papa, che bramava continuasse in Roma la famiglia. Gianfrancesco fu nominato generale di Santa Chiesa, castellano di Castel S. Angelo, governatore di Borgo; cariche tutte assai lucrose, che gli permisero di accumulare grandi ricchezze. Nel 1594 andò ambasciatore del papa a Filippo II, e l'anno appresso fu messo a capo dell'esercito pontificio, spedito in soccorso dell'imperatore Rodolfo II nella guerra contro i Turchi. Tornato in Italia con scarsa gloria militare, seguitò nondimeno a goder sempre i favori dello zio, che gli assegnò (1597) le contee di Sarsina e Meldola e molte terre nell'Emilia. Non minore imperizia dimostrò nella guerra contro i Turchi in Ungheria, dove fu inviato nel 1601, perché si mise in contrasto col duca di Mantova. Morì a Varasdino, in Croazia.
Salvestro (1590-1612), figlio del precedente, fu cavaliere gerosolimitano, e gran priore di Roma (1598), infine cardinale (1603).
Ippolito (1592-1638), fratello del precedente, e come lui cardinale (1621), quindi camerlengo (1623), fu gran fautore della politica spagnola in Italia. Con lui, ultimo dei dieci figli di Gianfrancesco, si estinse il ramo principale degli A., poiché dal matrimonio dei due fratelli (Pietro e Giorgio) non venne figliolanza mascolina. Morendo, dispose che tutte le sue ricchezze andassero in favore del secondogenito della nipote Olimpia, sposa dapprima (1631) del principe Paolo Borghese, nipote di Paolo V, poi (1647) di Camillo Pamphilj, nipote di Innocenzo X. Estinta quest'ultima famiglia (1760), la fortuna degli A. passò ai Borghese.
Camillo (1816-1902), figlio del principe Francesco Borghese, nel 1839 abbandonò il proprio nome per assumere quello degli A. per paterna disposizione testamentaria. Aderì alle idee liberali con l'esaltazione di Pio IX al pontificato (1846), e fu colonnello della guardia civica, poi membro dell'alto Consiglio (1848), infine ministro delle armi nel primo ministero Antonelli. Durò pochi giorni in quell'ufficio, dal 10 marzo al 29 aprile, quando cioè all'Antonelli succedette il cardinal Soglia. D'allora in poi si ritirò a vita privata.
Bibl.: P. Litta, Famiglie celebri italiane; F. Bonaini, Riconciliazione di Silvestro A. con Cosimo I de' Medici, in Arch. storico toscano, 1859; L. Passerini, Memorie intorno alla vita di Silvestro A., Firenze 1879; M. Menghini, La Villa A., canzone inedita del cav. Marino, in Propugnatore, 1889; C. Manfroni, Nuovi documenti intorno alla legazione del card. P. A. in Francia, in Arch. Soc. Rom. di St. Pat., 1890; L. Fumi, Il card. A. e il trattato di Lione, in Boll. gen. di St. pat., 1896.