MEZZABATI, Aldobrandino
de’. – Nacque nel 1250 circa a Padova, da Ugone Denario, giudice. In quella città visse stabilmente, a parte brevi periodi trascorsi a Firenze e a Vicenza, esercitando come il padre la professione di giudice.
I dati biografici del M. sono stati ricostruiti con puntualità di riscontri da M. Barbi nel saggio del 1898, Due noterelle dantesche. Lisetta e il codice Strozzi di rime antiche citato dall’Ubaldini e dalla Crusca, e i risultati delle sue ricerche storiografiche sono stati solo marginalmente integrati o corretti dagli studi successivi.
Il nome «Aldobrandinus de Medioabbatibus» compare per la prima volta nel 1275 nella Descriptio civium per quatuor quarteria Patavinorum, posta in appendice al trattato Delle rime volgari di Antonio Da Tempo, tra i cittadini residenti nel quartiere Pontis Altinatis, assegnato tradizionalmente ai giudici, all’interno della cosiddetta insula fluviale in cui è attestato il più antico insediamento della città. In un documento successivo, datato 1277 e reso noto da A. Gloria, egli risulta aggregato al Collegio padovano dei giudici e anche a quello dei doctores giuristi, titoli a cui si accedeva dopo il compimento dei venticinque anni. Proprio sulla base di questi elementi si è potuta fissare la data di nascita intorno al 1250. Dagli stessi documenti si ricava il nome del padre e un loro comune intervento in una vendita registrata nel 1279 nel monastero di S. Antonio. Nel 1284 il M. ricoprì l’incarico di «gastaldo», ovvero di priore dello stesso Collegio dei giudici (Gloria, p. 240). Sempre in collaborazione con il padre figurava come arbitro in una lite fra privati cittadini datata 29 marzo 1289.
Accanto alla professione di giudice, il M. ricoprì importanti incarichi pubblici fuori dalla sua città. Dal maggio del 1291 fino al maggio dell’anno successivo fu capitano del Popolo a Firenze e nel 1294 podestà di Vicenza. Infine nel 1297 intervenne come consulente, con il titolo di professore «leggente» (equiparabile al moderno insegnamento di diritto civile, non incompatibile a quel tempo con l’ufficio di giudice), in un’aspra lite tra il patriarca di Aquileia e gli abitanti di Treviso; anche in questa causa accanto al suo nome figura quello del padre.
Il 1297 è l’ultima data in cui il M. è documentato.
I dati biografici testimoniano una carriera di prestigio sia in ambito giuridico sia in ambito pubblico; tuttavia, il suo nome è indissolubilmente legato a una vicenda squisitamente letteraria che presso tutti i dantisti è nota come la «questione di Lisetta», dal nome della baldanzosa protagonista femminile del sonetto CXVII (Per quella via che la bellezza corre) delle Rime di Dante (Contini, p. 213), la cui intraprendenza viene bruscamente frenata dal poeta.
La questione, sulla quale esiste una cospicua bibliografia e che non può dirsi ancora del tutto risolta (cfr. Gorni), ha per oggetto, tra l’altro, un componimento che la tradizione manoscritta attribuisce inequivocabilmente al Mezzabati.
Due codici di area settentrionale (Milano, Biblioteca Ambrosiana, Mss., O. 63 sup., c. 7b e Venezia, Biblioteca naz. Marciana, Mss. it., cl. IX, 191 [=6754], c. 61a) tramandano con alcune varianti un sonetto di risposta per le rime a quello di Dante sopra ricordato, Lisetta vòi de la vergogna stòrre, in cui l’autore prende cavallerescamente le difese della calunniata Lisetta, messa a tacere dalla voce interiore con cui Dante aveva drammatizzato la tentazione amorosa tempestivamente respinta, vv. 7-9: «odesi voce dir subitamente: / Volgiti, bella donna, e non ti porre: / però che dentro un’altra donna siede» (per una sintesi dell’argomento cfr. Contini, pp. 211 s.). L’esito poetico fu giudicato alquanto goffo e oscuro, anche se non privo di buone intenzioni (Folena, p. 303). Sulla base del sonetto di risposta, Barbi non solo reintegrò in quello dantesco, ai vv. 3 e 12, la corretta lezione «Lisetta», scomparsa nelle stampe a partire dalla Giuntina del 1527, ma fece anche piena luce sull’identità dell’autore, il M. di cui riaffiorava una originale produzione poetica fino ad allora sconosciuta. Lo scambio poetico con Dante lascia supporre un vero e proprio incontro tra i due, collocabile senza difficoltà tra il maggio del 1291 e il maggio del 1292, quando il M. si recò a Firenze a reggere l’ufficio di capitano del Popolo (Malato, 1999).
È quindi da identificare senz’altro con il M. quell’«Ildebrandinum Paduanum» che Dante avrebbe ricordato più tardi nel De vulgari eloquentia come l’unico veneto che si fosse sforzato di allontanarsi dal volgare municipale: «Inter quos omnes unum audivimus nitentem divertere a materno et ad curiale vulgare intendere videlicet Ildebrandinum Paduanum» (I, xiv, 7), citazione che ne ha tramandato la notorietà ai posteri.
Tale identificazione fu avanzata per la prima volta da P. Rajna, che la introdusse nella sua edizione del trattato dantesco (cfr. Toynbee).
Oltre che nelle occupazioni ufficiali, il M. fu dunque impegnato in un’altrettanto proficua attività poetica, di cui ci sono rimasti soltanto due scarni ma preziosi esemplari, che lo portò a essere riconosciuto dallo stesso Dante come il primo rimatore veneto toscaneggiante.
Anche il secondo componimento del M., relativo alla corrispondenza poetica con il letterato Reolfino da Ferrara, testimonia un suo incontrastato ruolo di caposcuola svolto nell’ambiente letterario del tempo. Questo carteggio è trasmesso dal codice marciano già segnalato da Barbi (Mss. it., cl. IX, 191 [=6754], c. 121). Il sonetto di Reolfino diretto a m[esser] Aldobrandino Alto di senno e di saper fontana allude senza mezzi termini alla fama di cui dovette godere il M., contro la quale a nulla potevano valere gli attacchi o le maldicenze degli avversari (vv. 9-10: «Vantasi dunque e foll’è chi si crede / aver lumera che ‘te più non sia»). Nella replica del M., giudicata migliore rispetto alla prova precedente indirizzata a Dante – si tratta questa volta di un sonetto responsivo, ma non per le rime – Veduta parmi che porti di talpa, è ravvisabile un’«abilità tecnica di tipo guittoniano» con cui l’autore stronca il rivale (vv. 9-12: «Così come colui che mira, troppo / inver lo cielo fiso avendo il viso / che cade inanzi che finisca l’opra, / fece costui ch’è grande come toppo»: Brugnolo, pp. 371-373).
L’astro del M., con cui si era inaugurata in direzione così profondamente toscana la linea della lirica volgare nel Veneto, era destinato, tuttavia, a esaurirsi rapidamente: il suo nome, infatti, viene del tutto ignorato dall’autore della Leandreide (cfr. Nadal), poema in cui vengono passati in rassegna i nomi dei rimatori veneti in auge nel XIV secolo.
Fonti e Bibl.: A. Da Tempo, Delle rime volgari: trattato, a cura di G. Grion, Bologna 1869, p. 249; Monumenti della Università di Padova (1222-1318), a cura di A. Gloria, Venezia 1884, pp. 239-241; D. Alighieri, Rime, a cura di G. Contini, Torino 1965, pp. 211-213; Id., De vulgari eloquentia, a cura di P.V. Mengaldo, Padova 1968; La Leandreide, in C. Del Balzo, Poesie di mille autori intorno a Dante Alighieri, II, Roma 1890, pp. 257-456; P. Toynbee, Ildebrandinus Paduanus, The De vulgari eloquentia, in Id., Dante: studies and researches, London 1902, pp. 300 s.; M. Barbi, Due noterelle dantesche. Lisetta e il codice Strozzi di rime antiche citato dall’Ubaldini e dalla Crusca, in Problemi di critica dantesca. Seconda serie, 1920-1937, Firenze 1965, pp. 215-251; F. Brugnolo, I toscani nel Veneto e le cerchie toscaneggianti, in Storia della cultura veneta, diretta da G. Arnaldi - M. Pastore Stocchi, 2, Il Trecento, Vicenza 1976, pp. 371-390; E. Lippi, Per l’edizione critica della «Leandreide» di Giovanni Girolamo Nadal. La tradizione e sua classificazione, in Quaderni veneti, VIII (1988), pp. 7-33; G. Folena, La presenza di Dante nel Veneto, in Id., Culture e lingue nel Veneto medievale, Padova 1990, pp. 302-304; Letteratura italiana, a cura di A. Asor Rosa, Gli autori, Dizionario bio-bibliografico e Indici, II, Torino 1991, p. 1190 (scheda di S.M. Cingolani); G. Gorni, Lisetta (Dante, «Rime», CXVII, CXVII, LIX), in Omaggio a Gianfranco Folena, Padova 1993, I, pp. 477-490; C. Bologna, Poesia del Centro e del Nord, in Storia della letteratura italiana, diretta da E. Malato, I, Dalle origini a Dante, Roma 1995, p. 418; E. Malato, Dante, Roma 1999, p. 122; Enc. dantesca, III, pp. 669 s., 937.
G. Milan