MOCHI, Aldobrandino
– Nacque l'8 genn. 1874 a Castel Pulci, presso Firenze, da Giorgio.
Conseguì la laurea in scienze naturali il 18 luglio 1894 nell’Istituto di studi superiori di Firenze, discutendo una tesi in campo antropologico sul tema dell’indice cefalo-rachidiano: a tal fine aveva raccolto i risultati di numerose indagini, circa 686 crani umani appartenenti a diverse razze, in aggiunta ad abbondanti osservazioni necroscopiche e a qualche rilevazione su esemplari di crani di antropoide (L’indice cefalo-rachidiano. Tesi per la laurea in scienze naturali, in Archivio per l’antropologia e la etnologia, XXIX [1899], pp. 107-160).
Grazie alla preparazione teorica e alle competenze pratiche fu scelto dal suo maestro, P. Mantegazza, come assistente del Museo nazionale di antropologia ed etnologia di Firenze, con l'incarico di riordinare e illustrare i materiali del museo stesso.
A quei primi tempi, sul finire di secolo, risalgono le collaborazioni e le amicizie con i personaggi che ben rappresentavano la vivacità del clima culturale dell’epoca, come E.H. Giglioli e G.A. Colini, e i propizi rapporti con O. Beccari, S. Sommier, L. Loria, E. Modigliani e diversi altri. Fu un periodo scientificamente fiorente per il M., caratterizzato dalla pubblicazione di numerosi lavori su differenti argomenti (I caratteri antropologici degli Italiani riassunti da A. M., in Riv. geografica italiana, VI [1899], 2-3, estratto; Le ossa di Paolo Emilio Demi scultore livornese, in Arch. per l’antropologia e la etnologia, XXVIII [1898], 3, estratto). Meritano di essere ricordati lo studio sul significato della produzione e dell’uso di utensili e beni di varia tipologia in specifiche aree geografiche (Gli oggetti etnografici delle popolazioni etiopiche posseduti dal Museo nazionale di antropologia in Firenze, ibid., XXX [1900], pp. 87-172), quello sulle somiglianze di origine culturale tra gli abitanti del Congo e gli antichi Egizi, condotto esaminando la raccolta di oggetti etnografici congolesi di Ernesto Brissoni (La civiltà egiziana tra i selvaggi dell’Africa. A proposito di alcuni manufatti congolesi moderni di tipo egiziano antico, in Boll. della Soc. geografica italiana, s. 3, IV [1903], 4-5, pp. 361-374) e, infine, il lavoro di confronto tra i fenomeni di civilizzazione mediterranea e malese (Rapporti tra l’antica civiltà mediterranea e la malese, in Arch. per l’antropologia e la etnologia, XXXIII [1903], pp. 626-632). Il caso di un lavoro rimasto incompleto è significativo della onestà intellettuale del M. che, compilando in capitoli I popoli dell’Uaupé e la famiglia etnica Miranhà (per cui v. ibid., XXXII [1902], pp. 437-541 e XXXIII [1903], pp. 97-130), decise di interrompere la pubblicazione per lasciare la giusta visibilità a Th. Koch-Grünberg, che stava compiendo esplorazioni sul posto a quel proposito. Il M. difendeva l’originalità del lavoro «sul campo» e lui stesso, insieme con altri (tra i quali O. Marinelli, G. Dainelli e Loria), sperimentò pochi anni più tardi le difficoltà di una missione che lo vide in Eritrea per raccogliere dati antropometrici, durante la quale tenne un diario personale (Missione scientifica in Eritrea (ottobre 1905 - gennaio 1906): risultati antropologici. Nota preventiva, Firenze 1906).
Lo studio dei popoli primitivi consentiva, apparentemente, di spiegare gli stadi culturali primordiali. Dai primi anni del Novecento, il M. si dedicò alla raccolta organizzata di oggetti risultanti dal cosiddetto folklore della nazionalità italiana (Per l’etnografia italiana, in Arch. per l’antropologia e la etnologia, XXXII [1902], pp. 642-646). La sua lunga e doviziosa attenzione per l’argomento trovò un importante momento di concretizzazione nella nascita del Museo di etnografia italiana, fondato a Firenze nel 1906 insieme con Loria (Museo di etnografia italiana di Firenze: sulla raccolta di materiali per la etnografia italiana. Opuscolo, Milano 1906 [in collab. con L. Loria]; Necrologio di Lamberto Loria, in Arch. per l’antropologia e la etnologia, XLII [1912], pp. 352-356). Alla cura delle collezioni conservate a Firenze si aggiunse l’importante dote di una personale collezione del M. di oggetti popolari provenienti da varie regioni d’Italia, che era cominciata nel 1902 con la donazione di materiale valdostano da parte di Modigliani.
Proprio l’originario nucleo espositivo costituì il punto di partenza per la grande mostra etnografica che si tenne a Roma nel 1911 per celebrare il cinquantenario dell’Unità, in concomitanza con il primo congresso di etnografia a Perugia (Il primo congresso di etnografia italiana, in Lares, I [1912], pp. 25-38; recensione a Catalogo della Mostra di etnografia italiana in piazza d'Armi, Roma… 1911, in Arch. per l’antropologia e la etnologia, XLI [1911], pp. 291 s.). Si segnò in quel momento una svolta per alcuni tradizionali aspetti della etnografia: tale disciplina fu distinta dalla antropologia e ne uscì rafforzata l’idea che i fenomeni culturali dipendessero in larga misura dalle influenze ambientali e geografiche, potendo studiare l'uomo con gli strumenti delle scienze naturali. Dopo di allora, il museo cambiò denominazione diventando Museo di usi e costumi popolari italiani.
Frattanto, nel 1902, il M. aveva promosso in seno alla Società italiana di antropologia e etnologia la creazione di una commissione incaricata di compilare una tabella per la raccolta dei dati antropometrici nelle scuole, al fine di istituire una sorta di archivio antropometrico, sulla base del primo progetto di F.L. Pullè. Perseguendo l'intreccio degli obiettivi della antropologia di primo Novecento, impegnata nel disegno di una carta etnografica, il M. propose, nel corso della terza riunione della Società italiana per il progresso delle scienze tenutasi nel 1909, la costituzione del Comitato per l'Atlante antropologico d'Italia.
Nonostante il polo centrale dei suoi interessi scientifici fosse costituito dalla etnologia, il M. continuò ad alimentare un filone parallelo di ricerca sulla antropologia fisica. Al riguardo, conserva una certa curiosità la lettura del lavoro intitolato La posizione antropologica dei Giapponesi (in Rivista d’Italia, VII [1904]), nel quale sostenne il ruolo degli Aïno nella genesi dell’etnia del Giappone, mentre descrisse con cura Lo scheletro di un Dancalo di Assab (in Archivio per l’antropologia e la etnologia, XXXIV [1904], pp. 404-428). Alla operosità del M. in tale direzione si deve la creazione di un laboratorio antropometrico all’interno del Museo di antropologia, che ricordava soprattutto l’attività del maestro Mantegazza (si veda il volume: L'istituzione di un laboratorio antropometrico nel Museo nazionale d'antropologia dell'Istituto di studi superiori in Firenze, Firenze 1901).
Nel 1904 il M. ottenne la libera docenza in antropologia, con una tesi sui Rapporti tra lo sviluppo intellettuale e la morfologia craniense (in Archivio per l'antropologia e la etnologia, XXXIV [1904], pp. 83-142). Durante il biennio 1905-06 sostituì Mantegazza nel corso di insegnamento di antropologia, presso l’Istituto di studi superiori a Firenze e nel 1908 venne nominato aiuto.
Proseguiva allora nelle sue ricerche, in particolare sui Bongo e i Denka (Sull’antropologia dei Denka, ibid., XXXV [1905], pp. 17-70), sui Sandé (Dati craniologici sui Sandé, ibid., XXXVI [1906], pp. 175-187), sui Turco-Mongoli (Crani di popolazioni turco-mongole, ibid., XXXV [1905], pp. 71-83). E ancora, con lo sguardo rivolto all'Estremo Oriente (Crani cinesi e giapponesi. A proposito delle forme craniensi di Homo Sinicus, Sergi, ibid., XXXVIII [1908], pp. 299-328), o sugli Arabi (Sulla antropologia degli Arabi, ibid., XXXVII [1907], pp. 411-428). L’intendimento del M. andava ben oltre la semplice visione basata sulle misurazioni antropometriche, abbracciando sia la morfologia somatica sia l’antropologia etnica e inserendosi così nel dibattito allora assai attuale delle correlazioni tra la scienza morfologica, di cui G. Sergi era maggior esponente, e quella antropometrica, facendosi promotore di una prospettiva che conciliava le forme craniometriche con i rispettivi indici (La discriminazione delle forme craniensi e il sistema del Sergi, ibid., XXXVIII [1908], pp. 87-126).
Il M. proponeva un nuovo statuto della etnoantropologia che nella sua complessità riuscisse a definire campi di competenza separati, tra i metodi dello studio fisico e quello delle indagini socio-culturali, ma non indipendenti. A Novecento inoltrato non si potevano più risolvere il culturale e il sociale nel biologico, rompendo con una tendenza di stampo evoluzionistico darwiniano. Al ritorno da una partecipazione al Congresso internazionale degli americanisti, tenutosi a Buenos Aries nel 1910, il M. si soffermò con qualche riflessione sulla teoria, globalmente accettata, dello scienziato argentino Florentino Ameghino, per il quale l’uomo americano e più in generale tutta l’umanità derivavano da un comune progenitore americano, offrendo una interpretazione storica che rovesciava quei convincimenti (Nota preventiva sul Diprothomo platensis, Ameghino, in Revista del Museo de La Plata, s. 2, 1910, vol. 4, pp. 69 s.; Appunti sulla paleoantropologia argentina, in Arch. per l’antropologia e la etnologia, XL [1910], pp. 203-254).
Quando morì Mantegazza, nel 1910, il M. ricevette l’incarico della docenza al Museo di Firenze e della direzione dell’Istituto, che mantenne fino al 1924-25. Ottenne la cattedra di antropologia a Firenze nel 1924 e divenne presidente della Società italiana di antropologia e etnologia, fondata da Mantegazza. Dal 1911 in poi, il M. si avviò agli studi di preistoria, imprimendo una nuova spinta a un settore per certi versi sopito in Italia. Egli fu certamente in grado di mettere in luce le intersezioni tra diverse discipline, favorendo le esplorazioni sul territorio e intensificando le attività di scavo, alla ricerca di ogni segno e reperto delle successive fasi culturali dello sviluppo dell’umanità (Aiguilles ou Poincons avec trou, de Grimaldi et de Lumignano, da Bull. de la Société préhistorique française, 24 juillet 1913). Le scienze naturali, grazie al M., aprivano un dialogo con l’archeologia, profilando le evoluzioni del vasto e variegato settore della ecologia.
Il suo sguardo scientifico si orientò verso il Paleolitico, legando il proprio nome alla grotta Romanelli (Industria paleolitica (aurignaziana) della grotta Romanelli in Terra d’Otranto, in Arch. per l’antropologia e la etnologia, XLI [1911], pp. 281-288; Ricerche in alcune grotte delle Alpi Apuane, in Bull. di paletnologia italiana, XLI [1915], pp. 1-4; Sull’età geologica del Mousteriano scoperto dallo Strobel nel Preappennino Parmense, ibid., XLII [1916-17], pp. 1-4), il Neolitico e l’Eneolitico (Contributo all’antropologia dei neolitici ed eneolitici italiani, in Arch. per l’antropologia e la etnologia, XLII [1912], pp. 330-347; Aspetti e periodi del Neolitico nell'Italia continentale e peninsulare, ibid., XLV [1915], pp. 241-291). Inoltre, fornì per primo le prove del Paleolitico superiore in Italia, contrastando le tesi della scuola romana facente capo a L. Pigorini (La succesion des industries paléolithiques et les changements de la faune du pleistocène en Italie, in Congrés international d’anthropologie et d’archéologie préhistorique, Genève 1913, I, pp. 255-276; Osservazioni alla memoria del prof. R. Battaglia intitolata «Il Paleolitico superiore in Italia», in Bull. di paletnologia italiana, XLIX [1929], pp. 1-12).
La sua dinamicità intellettuale gli permise di trasformare, con l’aiuto di D.A. Costantini, il Comitato per le ricerche di paleontologia umana in Italia, voluto nel 1913 da G.A. Blanc e Modigliani, in un vero e proprio Istituto di paleontologia umana, di cui fu direttore tecnico. Dal 1921 appartenne alla Massoneria nella loggia «La Concordia» di Firenze.
Affetto da una malattia, che s'era protratta per alcuni anni, e nel pieno della maturità scientifica, il M. morì a Firenze il 20 maggio 1931.
Fonti e Bibl.: Necr., in Journal de la Société des Américanistes, 1931, vol. 23, 2, pp. 461-463 (P. Rivet); in Riv. geografica italiana, XXXVIII (1931), pp. 105-107; in Liburni Civitas, V (1932), p. 31. Si veda inoltre: P. Battara, Le osservazioni antropometriche eseguite dal prof. A. M. in Eritrea (Missione scientifica eritrea 1905), in Arch. per l’antropologia e la etnologia, LXIII-LXIV (1933-34), pp. 5-175; V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori. Piccole biografie di massoni famosi, Roma 2005, p. 188; S. Puccini, L'itala gente dalle molte vite. Lamberto Loria e la Mostra di etnografia italiana del 1911, Roma 2005, ad ind.; La Piccola Treccani, VII, sub voce.