Jodorowsky, Alejandro
Regista e attore cinematografico e teatrale, drammaturgo e sceneggiatore cileno, di origine russa, nato a Iquique il 7 febbraio 1929. Dotato di una fantasia scatenata, eccessiva, iperbolica, che si espande in ogni ambito creativo, dal romanzo al teatro, dal cinema al fumetto, J. ha riversato nei suoi film (realizzati soprattutto in Messico) una serie di ossessioni di matrice surrealista e psichedelica, ma anche un alfabeto simbolico-visionario desunto dalle più diverse culture metafisiche, magiche e spirituali, dall'alchimia allo sciamanismo precolombiano, dai tarocchi all'astrologia e alla saggezza orientale. Il suo cinema, non privo di un buffonesco esibizionismo formale, può essere inteso anche come un attraversamento trasgressivo dei generi, dal western alla fantascienza, dal film d'avventura alla fantasy, e come un barocco e teatrale 'cerimoniale' dell'inconscio, sganciato dalle logiche narrative usuali e risolto in una visionarietà liberatoria, non di rado grottesca e disturbante.Il nonno era un ebreo russo sfuggito alle persecuzioni in Ucraina e stabilitosi in Cile. Il padre emigrò nel Nord del Paese, al confine con il Perù e la Bolivia, dove incontrò e sposò una cantante d'opera, figlia di un ballerino anch'egli di origine russa. Questo mélange di origini avventurose segnò precocemente J., che fin da bambino si modellò su una vocazione cosmopolita e su una fervida immaginazione, divorando i romanzi d'avventura di A. Dumas e di P. Féval. Nel 1942 si trasferì con la famiglia a Santiago, dove terminò gli studi liceali e frequentò per due anni l'università, seguendo corsi di filosofia e psicologia. In quel periodo diede sfogo all'impulso recitativo e al forte senso del teatro facendo il clown in un circo e dedicandosi agli spettacoli di marionette. Una vocazione che lo condusse nel 1955 a Parigi, dove studiò mimo con Étienne Décroux e Marcel Marceau (per il quale scrisse due pièces) e lavorò con Maurice Chevalier per un recital al Théâtre Alhambra. Nel 1957 girò il suo primo film, oggi perduto, il mediometraggio Les têtes interverties, tratto dal racconto di Th. Mann Die vertauschen Köpfe. Ma l'incontro chiave fu quello con due personalità artistiche eccentriche, epigone del surrealismo, in sintonia con J. in virtù di una comune tendenza al delirio visionario: lo scrittore e regista Fernando Arrabal e il disegnatore e scrittore R. Topor. Tra il 1960 e il 1962 i tre diedero vita a un movimento d'avanguardia, Panique, il cui nome evocava lo scatenamento bizzarro e inquietante del dio Pan e i ri-tuali dell'ebbrezza istintuale e della 'confusione estetica', e che voleva suscitare un atteggiamento e uno sguardo sul mondo tendenti all'esplosione onirica dei sensi esteriori e interiori. Questa visione del lato profondo e istintivo della vita e dell'immaginazione sarà per J. una costante formale e tematica.Trasferitosi in Messico nel 1965, cominciò a delineare il suo mondo visuale prima in un fumetto, Fábulas pánicas (di cui fu disegnatore e soggettista), e poi nell'attività teatrale, mettendo in scena testi di A. Strindberg, E. Ionesco, S. Beckett e Arrabal. Creata la casa di produzione Producciones Pánicas, girò il suo primo lungometraggio, Fando y Lis (1967; uscito in Italia nel 1972 con il titolo Il paese incantato), ispirato alla pièce di Arrabal del 1958, storia dell'amour fou tra un vagabondo e una piccola paralitica alla ricerca del mitico paese di Tar. El topo (1970), di cui J. fu anche interprete, è la bizzarra storia di un pistolero che si fa giustiziere di quattro figure simboliche dette 'i quattro maestri': vi si condensa una forza immaginativa che usa i codici del western svuotandoli di consequenzialità narrativa e spostandoli in una logica onirica, stipata di simboli sessuali ma anche di accensioni violente mistiche e metafisiche che richiamano il Luis Buñuel del periodo messicano. Ma fu la coproduzione messicano-statunitense La montaña sagrada, noto anche come The holy mountain (1973; La montagna sacra), che suscitò davvero scalpore, diventando subito un cult movie della controcultura psichedelica: J. vi si rivelò un affabulatore (anche eccessivo) nel coniugare, lungo l'iter iniziatico della scalata alla montagna mistica, i simbolismi più disparati, in un crogiolo visionario che voleva ripercorrere il processo alchemico e si compiaceva di barocchismi, tra cui il mistificatorio finale metacinematografico, che chiama in causa lo spettatore stesso. J. sciolse quindi la propria casa di produzione, e nel 1975 rientrò in Francia.
Ma il suo 'film della vita' avrebbe potuto essere, e non fu, l'adattamento di Dune, capolavoro dello scrittore di fantascienza F. Herbert: fu a lungo fantasticato, e anche disegnato in infiniti storyboard, per i quali J. chiamò grandi artisti come il fumettista Mœbius (J. Giraud), gli illustratori H.R. Giger e Ch. Foss, e il disegnatore e tecnico degli effetti speciali Dan O'Bannon. In quel progetto visivo si contaminavano visioni orientali, esotiche e neosurrealiste, e un cifrario magico-religioso in anticipo sui tempi del postmoderno e della New Age. L'impresa passò nelle mani di Dino De Laurentiis, che affidò la regia a David Lynch, il cui Dune (1984) è peraltro segnato anch'esso da una torbida visionarietà. Tusk (1979), produzione francese girata in India e tratta dal romanzo Poo Lorn of the elephants dell'inglese R. Campbell, fu poco più di un diversivo stucchevolmente filosofico, incentrato sul comune destino di un elefante e di una ragazza inglese nati nello stesso giorno. Nel decennio 1978-1988 J. si dedicò, in associazione con Mœbius e altri disegnatori, a sceneggiare vertiginosi mondi fantastici per numerose serie di fumetti presto divenute di culto, a partire dal ciclo L'Incal.
Soltanto nel 1989 ha fatto ritorno al cinema, con l'avventura cruenta e raccapricciante, ma ricca di trasposizioni autobiografiche sul piano del meraviglioso, della coproduzione italo-messicana Santa sangre, noto anche come Sangue santo, che unisce ai deliri orrorifici una funambolica fantasia felliniana, tra un manicomio e un circo equestre, massacri di fanciulle e braccia materne amputate, sette segrete e ironici funerali di elefanti. Un film a suo modo coerente con il gusto dell'eccesso di J., mentre The rainbow thief (1990; Il ladro dell'arcobaleno), produzione inglese ambientata tra i clochards di Parigi, pur avvalendosi delle divertite partecipazioni di attori come Omar Sharif, Peter O'Toole e Christopher Lee, si è rivelato niente di più che un omaggio agli umori parasurrealisti del vecchio feuilleton, arricchito da colori fiabeschi un po' esangui.
Nel frattempo J. ha continuato un'intensa attività di scrittore, dai romanzi del 1985 Les araignées sans mémoire e Le paradis des perroquets al libro-intervista del 1995 Psicomagie. Approches d'une thérapie panique. Nel 1994 Louis Mouchet ha realizzato in Francia un documentario su di lui, La constellation Jodorowsky. Nel 2002 J. ha curato personalmente Dune, il film che non vedrete mai, un'esposizione, presentata a Napoli, delle tavole originali inerenti al progetto del film non realizzato.
J. Siegel, The holy mountain, in "Show", December 1973, pp. 20-29.
N. Simsolo, Alexandro Jodorowsky, in "Cinema 74", 1974, 184, pp. 78-86.
E. Domínguez Aragonés, Tres extraordinarios: Luis Spota, Alejandro Jodorowsky, Emilio 'Indio' Fernández, México (DF) 1980.
M. Larouche, Alejandro Jodorowsky: cinéaste panique, Montréal 1985.
A. Jones, Santa sangre, in "Cinémafantastique", 1989, 20, pp. 34-37.
M. Monteleone, La talpa e la fenice: il cinema di Alessandro Jodorowsky, Bologna 1993.