Sokurov, Aleksandr Nikolaevič
Regista cinematografico russo, nato a Podorvicha (Irkutsk, Siberia meridionale) il 14 giugno 1951. Considerato il regista tra i più originali e importanti della sua generazione, S. si è rivelato autore capace di fondere insieme tecnologia e tradizione, ricerca formale e attenzione al passato, in un percorso creativo sempre innovativo e caratterizzato da una continua sperimentazione. Nel 1997 ha vinto al Festival di Mosca il Premio speciale della giuria per Mat′ i syn (Madre e figlio) e nel 2003 gli è stato assegnato al Festival di Cannes il Premio Fipresci della critica internazionale per Otec i syn (Padre e figlio).
Iniziò ad apprendere le tecniche del cinema lavorando dal 1969 al 1975 come assistente alla regia e aiuto regista per la televisione di Gorkij (od. Nižnij Novgorod). Nel 1979, dopo essersi laureato in storia presso l'università di Gorkij, si trasferì a Leningrado, dove ottenne il diploma in regia al VGIK. Il suo saggio di diploma era originariamente Odinokij golos čeloveka (1978, ma uscito nel 1987, La voce solitaria dell'uomo), tratto da A.P. Platonov, ma venne rifiutato perché giudicato formalista. S. utilizzò allora la prima delle due parti di quello che sarebbe diventato un film per la televisione di Stato, Marija, krest′janskaja elegija (1978, ma uscito nel 1988, Maria, elegia contadina). Grazie a una segnalazione di Andrej A. Tarkovskij, S. venne poi assunto come regista presso gli studi Lenfil′m; negli stessi anni, iniziò a lavorare, con notevoli difficoltà, presso gli Studi per la produzione di documentari di Leningrado.Tra il 1980 e il 1987 S. ha realizzato due lungometraggi, dei cortometraggi e sei documentari che vennero però tutti 'congelati' fino al 1987, anno in cui l'Unione dei cineasti, sotto la direzione di E. Klimov, lo ha ammesso tra i propri iscritti, permettendo che i suoi lavori tornassero a circolare ed evidenziando il talento e la personalità del giovane regista. Già nelle prime opere, come Odinokij golos čeloveka, o Razžalovannyj (1980, Il degradato) e Ampir (1987, Impero), realizzate con la volontà di far emergere un mondo interiore fatto di solitudine e di distacco dagli eventi materiali, S. ha iniziato a interessarsi alle vicende della storia russa, sentendo la necessità di recuperarne le immagini in chiave poetica e non semplicemente come veicolo di contenuti. È in questo senso che la serie delle Elegie, che S. avrebbe realizzato nel corso di oltre vent'anni, è diventata nel tempo un vero e proprio percorso filmico in cui la Russia, il suo presente, il suo passato, e in particolare le forme assunte dal potere politico nel corso del tempo, vengono raccontati per mezzo di un linguaggio partecipe e distaccato insieme, attento ai particolari apparentemente più insignificanti, che si rivelano invece immagini pregnanti e ricche di senso ‒ come la lunga sequenza di ritratti dei funzionari politici sovietici in Sovetskaja elegija (1989, Elegia sovietica), simboli del potere e, allo stesso tempo, icone astratte e spettrali, prive quasi di consistenza. Le Elegie cinematografiche di S. si configurano quindi come ritratti accennati eppure intensi ‒ come Moskovskaja elegija (1987, Elegia moscovita) dedicato a Tarkovskij ‒ o dipingono eventi storici consegnati allo sguardo della macchina da presa, che ne coglie gli elementi privati, come in Prostaja elegija (1990, Elegia semplice) dove il blocco economico che la Federazione russa ha imposto alla Lituania viene rappresentato attraverso una lunga sequenza, in cui il presidente V. Landsbergis suona il pianoforte mentre la vita nella città appare come sospesa.Il rapporto tra presente e passato, tra pesantezza ed evanescenza del potere sono al centro anche di film come Moloch (1999), sulla figura di A. Hitler, e Telec (2000, Toro), incentrato sugli ultimi giorni di Lenin. Lontano da ogni intento agiografico, l'occhio di S. si concentra qui sulla drammatica spettralità del potere raffigurato nei due personaggi storici, mostrando come il cinema sia un dispositivo in grado anche di esplorare un mondo invisibile, fatto di sentimenti e di desideri che trascendono i corpi e gli spazi pur manifestandosi attraverso di essi. In questo senso, le descrizioni dei rapporti tra madre e figlio in Mat′ i syn, o tra padre e figlio in Krug vtoroj (1990, Il secondo cerchio) e in Otec i syn, sono naturali continuazioni dei film dedicati a figure storiche imponenti ovvero progetti che nascono da personali interpretazioni dei classici della letteratura, come Tichie stranicy (1993, Pagine sommesse), percorso nella città di San Pietroburgo attraverso le pagine di F.M. Dostoevskij, e Kamen (1992, Pietra) sulla figura evanescente e visionaria di A.P. Čechov in . La ricerca formale di S. non si configura come estetismo o formalismo, ma come indagine delle possibilità del cinema di rendere visibili elementi invisibili della realtà, restituendogli quindi tutto il suo potere evocatore e creatore, splendidamente sintetizzato in uno dei più straordinari affreschi filmici della storia russa e delle sue immagini, Russkij kovčeg (2002; Arca russa). Nel film il museo dell'Ermitaž di San Pietroburgo diventa uno spazio in cui il tempo si espande in molteplici direzioni grazie allo sguardo in soggettiva di una macchina da presa che, percorrendone i corridoi in un unico piano-sequenza, sembra evocare, attraverso le immagini dei suoi quadri e dei personaggi storici che lo hanno abitato, la grandezza e la decadenza della Russia, della sua storia e della sua cultura.
E. Bokšickaja, Storia edificante di Aleksandr Sokurov, studente del VGIK, in Esteuropa '80, vol. 1°, Gli schermi di Gorbaciov, Venezia 1987, pp. 181-94.
F. Jameson, On Soviet magic realism, in The geopolitical aesthetic: cinema and space in the world system, Bloomington-London 1992, pp. 87-113.
L. Arkus, Sokurov, Sankt-Peterburg 1994.
Aleksandr Sokurov. Eclissi di cinema, a cura di E. Ghezzi, S. Francia di Celle, A. Jankowski, Torino 2003.