PUŠKIN, Aleksandr Sergeevič
Poeta russo, nato il 26 maggio (6 giugno) 1799, a Mosca, da una famiglia di antichissima nobiltà ma decaduta. La madre apparteneva alla famiglia degli Hannibal, discendente da un negro di questo nome, che era stato regalato a Pietro il Grande e che il sovrano aveva battezzato ed elevato a suo favorito. L'infanzia di P. si svolse in un ambiente piuttosto disordinato, ma colto e favorevole a sviluppare la tendenza del fanciullo verso la letteratura: lo zio era un poeta abbastanza noto e il padre scriveva anch'egli versi ed era in relazioni d'amicizia con i migliori scrittori del tempo, fra cui Karamzin e Žukovskij, che per ragioni diverse ebbero tanta parte nello sviluppo sia del giovinetto sia del poeta maturo. Il fanciullo trovò nella biblioteca paterna larga messe di scrittori classici francesi e su questi coltivò dapprima il suo spirito alla poesia e al teatro. La passione per il teatro che si esplicò in questi anni con piccole composizioni per spettacoli familiari, doveva col tempo avere un posto cospicuo nella cultura del poeta. La conoscenza del francese e il servirsene abitualmente spinsero il giovinetto a poetare anche in questa lingua.
L'atmosfera letteraria continuò ad avvolgere il giovinetto anche nel liceo di Carskoe Selo, dove egli entrò nel 1811 e dove trascorse sei anni ed ebbe per condiscepoli giovani amanti della filosofia come Kaverin e Čaadaev, e futuri poeti come Delvig e Küchelbeker, con i quali strinse duratura amicizia. Durante questi anni il suo talento poetico si sviluppò rapidamente e brillantemente e la fama delle sue composizioni si sparse anche fuori delle mura della scuola. Note col nome di "poesie liceali" queste composizioni di genere diverso (imitazioni di poeti francesi e di canti popolari, poesie d'occasione, rievocazioni del mondo classico) hanno una certa importanza, perché rivelano già nel poeta quel che sarà una delle sue caratteristiche ulteriori, il contemporaneo riecheggiamento cioè di motivi diversi e la capacità a trasformare in poesia le più diverse impressioni.
Tra queste poesie liceali sono rimaste famose i Ricordi di Carskoe Selo che egli ebbe l'onore di recitare davanti a Deržavin e l'ode Per il ritorno da Parigi dell'imperatore nel 1815.
Nel liceo di Carskoe Selo, P. nutrì inoltre il suo spirito di idee non del tutto consone con i principî di una scuola imperiale, sia attraverso l'insegnamento di alcuni dei suoi professori, idealisti e liberaleggianti, sia attraverso l'amicizia con i ricordati Čaadaev e Küchelbeker. La relativa libertà che nella scuola era lasciata agli studenti fece inoltre sì che P. continuasse la sua formazione culturale nel modo disordinato e a sbalzi che aveva caratterizzato la sua infanzia. Terminati i suoi corsi, fu nominato segretario nel Dicastero degli affari esteri. Approfittò allora del soggiorno nella capitale per gettarsi avidamente nella vita mondana. Continuava però a scrivere e ad interessarsi di letteratura e soprattutto di teatro; la sua partecipazione alla società della "Lampada verde" che riuniva con rappresentanti della mondanità, poeti, musicisti, uomini politici e ove letteratura e arte erano argomenti obbligati di conversazione, prova che la vita mondana in sé non gli era sufficiente.
Egli scrisse del resto proprio in quei primi anni dopo l'uscita dal liceo le due odi Alla libertà e La campagna che rivelarono le sue aspirazioni liberaleggianti, e il poemetto Ruslan e Ljudmila, che rivelava nello stesso tempo quell'amore per la pura poesia, che doveva andarsi sempre più sviluppando in lui. Il motivo della bylina, al cui centro è il principe Vladimir, come nella più pura tradizione popolare, è rinnovato con modernità di modi e di spirito. Accolto con successo alla lettura, il poemetto fu pubblicato più tardi, a cura degli amici, perché, colpito dalla severità dello zar - mal disposto verso di lui da personaggi eminenti che egli aveva preso di mira con lo strale dei suoi epigrammi - il poeta, scongiurato un esilio più grave per l'intervento di amici, dovette partire ben presto per la Russia meridionale e più precisamente per Ekaterinoslav, dove assunse servizio presso il generale Inzov. Ammalatosi, ebbe il permesso di recarsi nel Caucaso per curarsi. In compagnia di una famiglia amica, i Raevslkij, visitò il Caucaso e la Crimea. Più tardi egli ricordò questo periodo come il più bello della sua vita. Mentre P. compiva il suo viaggio, l'ufficio del generale Inzov era stato trasferito a Kišinev (ChiŞinău), in Bessarabia, e lì dovette raggiungerlo il poeta. Gli anni di Kišinev, nonostante la primitività delle condizioni di vita in cui egli visse, furono letterariamente proficui per P. Vi scrisse egli infatti La fontana di Bachčisaraj, poemetto ispirato dal viaggio in Crimea; Gli zingari; vi concepì l'Eugenio Onegin, i cui rapporti col poemetto precedente furono mostrati da Dostoevskij, ed anche numerose poesie liriche, ispirate in parte probabilmente da un amore segreto per Maria Raevskaja, più tardi moglie del principe Volkonskij decabrista, in parte da motivi popolari come Lo scialle nero, in parte da riflessioni liriche, come La Musa e La terra e il mare.
Da Kišinev P. fu trasferito nel 1823 a Odessa, alla dipendenza del generale-governatore Voroncov. Il vantaggio di ritornare in un ambiente colto fu amareggiato al poeta dai cattivi rapporti in cui venne ben presto a trovarsi col suo superiore, ché mentre il generale Inzov aveva apprezzato il suo ingegno, e gli aveva lasciata molta libertà, il generale Voroncov non solo si dimostrò nei suoi riguardi duro, freddo ed eccessivamente esigente nel servizio, ma lo sottopose a una vigilanza umiliante che arrivava fino all'apertura delle lettere private. Per alcune espressioni in una lettera sequestrata, nelle quali si volle vedere una vera e propria professione di ateismo, P. fu denunziato al governo centrale, che gli ordinò di ritirarsi nella tenuta paterna di Michajlovskoe nel governatorato di Pskov. Quando nel giugno 1824 il poeta lasciò Odessa, il suo patrimonio poetico s'era arricchito di un ampio frammento di un altro poemetto, I fratelli masnadieri, rimasto poi incompleto, dei primi due canti dell'Eugenio Onegin, del poemetto Il prigioniero del Caucaso, che, cominciato nel 1821, fu da lui finito solo a Odessa, e di alcune fra le più belle sue poesie liriche tra cui il famoso addio Al mare. A Odessa inoltre P. aveva frequentato con grande entusiasmo il teatro e ampliato la sua cultura col passaggio dall'entusiasmo per Byron, a cui si richiamano i poemetti scritti in quegli anni, al primo interesse per Shakespeare. Questo interesse caratterizzò in buona parte l'esilio di Michajlovskoe, al cui centro si trova la composizione del dramma Boris Godunov, finito nel 1825, ma pubblicato solo nel 1830 e con molti tagli. Nell'ambiente di Michajlovskoe, lontano dalle tentazioni e distrazioni della vita cittadina, in mezzo a una natura invitante alla meditazione e agli studî, a contatto immediato col popolo della campagna, P. raggiunse la sua piena maturità spirituale e artistica. Oltre il Boris Godunov scrisse nuovi canti dell'Eugenio Onegin, allontanandosi dalla primitiva concezione byroniana; scrisse liriche perfettissime come: Se la vita ti ingannerà, Ricordo il divino momento, Sera d'inverno; iniziò il racconto Il negro di Pietro il Grande; scrisse le Imitazioni dal Corano e il racconto Il Conte Nulin. La morte di Alessandro I e l'avvento al trono di Nicola I ridiedero al poeta una relativa libertà; accolta la domanda di grazia nel settembre 1826, egli ottenne il permesso di ristabilirsi nella capitale. Le condizioni poste dal sovrano, che volle farsi personalmente censore delle sue opere, non furono però favorevoli a un'attività letteraria di largo respiro. In ogni modo il poeta poté riprendere contatto col mondo letterario e interessarsi direttamente degli avvenimenti russi. Si rafforzò in questi anni la sua concezione della poesia come missione, concezione espressa nelle poesie Il poeta, La plebe, e più tardi nel Profeta; gli studî storici già compiuti per il Boris Godunov gli suggerirono l'idea del poemetto storico Poltava, mentre dal ripiegamento su se stesso, a cui l'aveva abituato la solitudine di Michajlovskoe, uscivano gli ultimi capitoli dell'Eugenio Onegin. La lirica di questo periodo rivela un tono di tristezza che il poeta non aveva mai così acutamente manifestato. Neppure un nuovo viaggio nel mezzogiorno, e questa volta senza l'incubo di un servizio da compiere, risollevò a pieno il suo spirito, agitato anche dalle difficoltà della vita quotidiana. Ossessionato dai ricordi del passato, dalla diminuzione della popolarità di cui, nonostante l'esilio, aveva goduto fino allora, offeso dalla sorveglianza spesso meschina del conte Benkendorf, egli si abbandonò per qualche tempo a una misantropia che fece dubitare di nuove possibilità creative. Nel 1829 si innamorò di Natalia Gončarova e le nozze, celebrate nel febbraio 1831, pur mettendo da principio un termine alla vita sregolata del poeta, ne aggravarono da una parte la situazione finanziaria, perché la moglie amava il lusso e la vita mondana, e dall'altra le condizioni di spirito, ché per queste stesse sue tendenze ella gli procurò preoccupazioni di carattere sentimentale e morale. Nonostante tutto, l'attività artistica di P. riprese e tra il 1830 e il 1831 egli scrisse alcuni muovi lavori drammatici come Il cavaliere avaro, Mozart e Salieri, Il convitato di pietra e riprese con ardore a scrivere in prosa, creando i racconti noti col titolo di Racconti di Belkin (Il colpo di pistola, La tempesta di neve, Il fabbricante di bare, Il capostazione). Gli avvenimenti storici gli suggerirono inoltre due poesie di contenuto patriottico, Ai calunniatori della Russia e L'anniversario di Borodino, che dovevano diventare famose e suscitare lunghe polemiche sulla conversione politica del poeta. Nel 1831, dopo aver trascorso alcuni mesi a Carskoe Selo, dove il poeta fu in rapporti quasi quotidiani con Žukovskij e Gogol′, i P. si stabilirono a Pietroburgo, dove, accanto al servizio nel Dicastero degli affari esteri, il poeta ebbe l'incarico, da lui sollecitato, di lavorare negli archivî per scrivere una storia di Pietro il Grande. Nei suoi studî, dall'epoca di Pietro il Grande P. passò all'epoca seguente, fermandosi in particolar modo sulla rivolta dei contadini, guidata dal Pugačev. Nell'autunno del 1833 egli si recò nei governatorati di Kazan′ e di Orenburg per visitarvi i luoghi della rivolta e nel viaggio di ritorno si fermò due mesi nella propria tenuta di Boldino, dove scrisse Il cavaliere di bronzo, celebrazione di Pietroburgo, Angelo, un poemetto che trasformava la tragedia shakespeariana Measure for Measure, e due favole di carattere popolare, ricordo delle serate di Michajlovskoe in cui la nutrice Arina Rodionovna l'aveva dilettato coi suoi racconti. Dai materiali raccolti, oltre alla Storia della rivolta di Pugačev, il poeta trasse anche il suo capolavoro in prosa: La figlia del capitano. Il ritorno nella capitale significò per P. un aggravarsi della malinconia, con la quale n'era partito. La nomina a kamerjunker, grado che veniva dato di solito ai giovani e a lui fu conferito all'età di 34 anni, aveva scosso definitivamente la sua posizione nella società; l'ostilità degli ambienti letterarî conservatori, che vedevano di mal'occhio il favore che gli dimostrava l'imperatore, gl'intrighi di carattere mondano che circondavano la moglie e che la sua fantasia aumentava ed esagerava, non trovavano più compenso nell'amicizia e nella stima dei migliori come Žukovskij, Vjazemskij, Gogol′. Nel 1836, per avere un proprio organo ad opporsi al dominio del cosiddetto triumvirato giornalistico, formato da Bulgarin, Greč e Senkovskij, che lo ignoravano o l'attaccavano, e ognuno dei quali aveva una propria rivista, P. fondò il Sovremennik (Il contemporaneo) che, se non ebbe subito una grande risonanza, servì però più tardi a circoli più avanzati di quelli rappresentati dalla critica ufficiale.
Un improvviso gravissimo incidente, in relazione con la corte troppo evidente che l'emigrato francese barone Dantès, cognato della moglie di P., faceva a questa, la diffusione cioè di un infame libello anonimo, in cui l'onore del poeta era offeso in modo sanguinoso, spinse P. a un passo disperato: cercato un pretesto qualunque, egli sfidò il Dantès a duello, e, ferito gravemente, due giorni dopo, il 29 gennaio 1837, moriva.
Il suo corpo fu sepolto nel monastero di Svjatogorsk, non lontano dalla tenuta dei suoi genitori.
Il periodo di esilio a Michajlovskoe fu il punto culminante dello sviluppo spirituale e artistico di P.: in quegli anni, libero da influenze e da contingenze esteriori, egli acquistò coscienza della sua maturità creativa senza gl'indugi e le ricerche che, sia con l'interesse per i classici francesi (Molière, Voltaire, Parny, Chénier ed altri), sia con l'entusiasmo per Byron, avevano caratterizzato il periodo precedente. Quello che più recisamente fu eliminato dalla sfera degl'interessi del poeta fu Byron, forse perché era stato quello che più lo aveva precedentemente dominato, ma più certamente poiché solo col ritorno agl'ideali dell'arte classica egli poté trovare in sé stesso le radici della propria creazione, di cui l'esperienza romantica non era stata che un arricchimento, non la sostanza. Essenziale per la maturità puskiniana fu la conoscenza di Shakespeare, in quanto che, senza piegarsi a una vera e propria imitazione, egli trasse dal tragico inglese quegli elementi di realismo ("realismo romantico" secondo l'espressione del poeta), che formano l'originalità non solo del Boris Godunov, ma dei canti dell'Eugenio Onegin scritti durante e dopo l'esilio di Michajlovskoe, dei drammi minori, dei nuovi poemetti e in particolar modo delle opere in prosa (Racconti di Belkin, La figlia del capitano). Bisogna tuttavia aggiungere che se il procedimento tecnico di questo "realismo" puškiniano, che P. stesso definì come la capacità di dire semplicemente le cose semplici, ci si presenta come una conquista per quanto riguarda la prosa a cui egli si volse solo tardi, nella poesia esso era stato sempre a base di tutta la creazione del poeta. E fu senza dubbio la sua più autentica conquista di fronte ai poeti che lo avevano preceduto e con i quali per tante altre ragioni era ancora legato, conquista faticosa, perché il rispetto che il poeta aveva per l'antica lingua e letteratura russa era in lui in continua lotta con la necessità di esprimere tutto un nuovo mondo di sentimenti e di pensieri. La soluzione egli la trovò mirabilmente, introducendo nella creazione poetica la lingua popolare, alla quale nel sec. XVIII si era rivolta così scarsa attenzione. Con la lingua naturalmente entrarono nell'arte anche altri elementi riferentisi al popolo, che trasformarono e vivificarono il magistero dell'arte, come, dal punto di vita esteriore, la descrizione della natura russa in contrapposizione con le descrizioni di maniera degli scrittori pseudo-classici, sentimentalisti e romantici, e, dal punto di vista interiore, la caratterizzazione dello spirito o, più genericamente, dell'anima russa.
Se ciò fu in lui, come in ogni grande poeta, conseguenza della sua stessa sensibilità artistica, per cui non soltanto i pensieri e i sentimenti si trasformarono in poesia, ma ogni pensiero e sentimento era concepito e sentito poeticamente, con l'implicita risoluzione del contenuto nella forma, bisogna aggiungere tuttavia che, come in ben pochi altri poeti, questo processo abbracciò, oltre il puro e immediato spirito nazionale, anche lo spirito di altri popoli, così che pur non cessando per questo di essere poeta profondamente nazionale, egli seppe, come bene ha mostrato Dostoevskij, assurgere a poeta universale.
Universale la sua poesia era del resto anche perché rivelava la molteplicità spirituale del poeta in quanto uomo i cui sentimenti e aspirazioni trovarono rispondenza ed espressione, fuori di ogni scuola. Se per i poemetti dell'esilio meridionale gli si può dare l'appellativo di romantico o più strettamente quello di byroniano, e per i riecheggiamenti lirici della giovinezza quella di classico, e per le opere in prosa quello, divenuto poi di moda, di scrittore realistico, per quanto riguarda la lirica della maturità, null'altro appellativo gli si confà che quello di poeta, nel senso più semplice e insieme più pieno della parola. Poeta sincero in ogni caso e in possesso di una sicurezza di espressione (immagini, colore, tono, musicalità) quale la letteratura russa prima di lui non aveva conosciuto e che da lui dovevano apprendere tutti i poeti che lo seguirono, sia che dessero maggior peso al contenuto della loro poesia, sia che nella poesia facessero predominare il fascino della forma; ché in P. l'una cosa e l'altra raggiunsero in più di un momento la perfezione assoluta nei due termini di nobiltà d'ispirazione e bellezza di espressione.
Ediz. delle opere: a cura di P. O. Morozov, voll. 8, Pietroburgo 1903-05; a cura di P. A. Efremov, voll. 8, Pietroburgo 1903-05, ed. dell'Accademia delle scienze, incompleta; a cura di S. A. Vengerov con articoli introduttivi alle opere, agli avvenimenti della vita, note, ecc., Pietroburgo 1907. Sull'ed. dell'Accademia: L. M. Majkov, Materialy dlja akademičeskago izdanija sočinenij P., Pietroburgo 1903. Per l'epistolario ed. dell'Accademia delle scienze, a cura di V. I. Saitov, 1906-1908; Pisma Puškina i k Puškinu a cura di V. Brjusov, Mosca 1926. Per la biografia: N. O. Lerner, Trudy i dni P. (Le fatiche e i giorni di P.), Pietroburgo 1910; la raccolta Puškin v žizni (P. nella vita) a cura di V. Veresaev, 5ª ed., Mosca 1932 e P. Guber, Don Žuanski spisok P. (L'elenco dongiovannesco di P.), Pietrogrado 1923.
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