Aleppo
(ittita Khalap; accadico Khallaba; gr. Βέϱοια; lat. Beroea; arabo Ḥalab)
Capoluogo della prov. (muḥāfaza) omonima della Rep. Araba Siriana, situato nella piana del fiume Quwayq (Queyq), in corrispondenza della grande direttrice E-O che unisce il Mediterraneo, via Antiochia, alla valle dell'Eufrate. La città medievale si sviluppò nel sito e sui resti della città ellenistica, utilizzandone pure l'acropoli e l'impianto stradale di matrice ippodamea.
La città antica, fondata da Seleuco Nicatore tra il 301 e il 281 a.C., conquistata dai Romani nel 65 a.C. (Will, 1959), fu nei primi secoli del cristianesimo centro commerciale fiorente dell'Impero d'Oriente; saccheggiata dai Sasanidi nel 540, nella seconda metà del sec. 6° venne radicalmente restaurata da Giustiniano, che vi eresse tra l'altro la cattedrale. A. nel 637/15 a.E. fu presa dagli Arabi, che però rimasero a lungo in minoranza rispetto ai Cristiani e agli Ebrei che conservarono i loro luoghi di culto; solo dopo un secolo la comunità musulmana fu tale da richiedere la costruzione della Grande moschea, che sorse sul sito dell'antica agorá. Dopo un periodo oscuro sotto gli Abbasidi, la città fu elevata al rango di capitale dagli Hamdanidi (945-1004), dinastia araba sciita fondata da Sayf al-Dawla, che costruì una vasta residenza suburbana, al-Halba, posta a km. 1 a O di Aleppo. Nonostante due occupazioni bizantine, nel 962 a opera di Niceforo Foca (incendio della Grande moschea) e nel 996 da parte di Giovanni Zimisce, A. divenne importante centro di cultura e sede di brillanti attività letterarie. Passata ai Fatimidi nel 1017 e ai Selgiuqidi dell'Iran nel 1070 - con i quali si rafforzò la presenza dell'elemento turco, insediato in un proprio quartiere extra moenia, a S - dopo anni di incertezza politica, e dopo due attacchi da parte dei crociati nel 1100 e nel 1103, A. nel 1146 fu ceduta agli Zangidi, atabeg (comandanti) turchi di Mosul, che ricostruirono le mura, la cittadella, la Grande moschea, i mercati, gli acquedotti e dotarono la città di numerose scuole teologiche (madrasat) in funzione pro-sunnita, di conventi sufi (khānaqā), di un ospedale (māristān) e di un palazzo di giustizia (dār al-'adl).
Nel 1181 iniziò, con gli Ayyubidi, l'apogeo di A. medievale, segnato da una accresciuta stabilità politica e sicurezza difensiva ed espresso da grandi opere di architettura militare, religiosa e civile, nonché da nuove strutture commerciali (tra cui un'agenzia permanente della Repubblica di Venezia, con la quale si stipularono trattati nel 1207 e nel 1254). Poco prima della devastante conquista della città da parte dei Mongoli, avvenuta nel 1260, la Siria entrò a far parte dei domini dei Mamelucchi d'Egitto (1250-1517), che assicurarono un nuovo lungo periodo di sviluppo, favorendo inoltre l'espansione di A. verso E, ben oltre le mura, e la nascita di nuovi quartieri satelliti, alcuni dei quali abitati da comunità cristiano-orientali (Armeni, Maroniti) che fornivano tra l'altro intermediari e interpreti. Sulla topografia urbana e sul patrimonio monumentale del sec. 13° (in parte non pervenuto per successive demolizioni e trasformazioni) offrono ampia documentazione alcune fonti coeve (Sauvaget, 1933; Sourdel, 1952; 1953).
Ai primi decenni del periodo ottomano risale la più antica raffigurazione di A., opera del miniaturista e cronista Matrakçi Naṣūh (Descrizione delle fasi della campagna del sultano Solimano nei due Iraq, Istanbul, Üniv. Kütüphanesi, T. 5964, c. 105 v; Yurdaydın, 1976), importante per il carattere oggettivo della rappresentazione e per la sua data di esecuzione (1537) che ne fa un documento prezioso dell'immagine della città in epoca tardomedievale, prima delle trasformazioni, per lo più di carattere edilizio, dei secoli seguenti.
La cinta muraria della città medievale conservò a lungo, utilizzandone i tratti superstiti, il tracciato ellenistico a pianta pressoché quadrata di m. 1000 ca. di lato, appoggiata a E alla cittadella. Vi si riconoscono, pur restaurate a più riprese, le murature ayyubidi del sec. 13°, con le porte Bāb al-Naṣr, Bāb Anṭākya, Bāb Qinnasrīn, e una serie di rifacimenti mamelucchi del sec. 15° (includenti altre quattro porte: Bāb alFaraj, Bāb al-Maqām, Bāb al-Ḥadīd, Bāb al-Jinān), nonché i completamenti ottomani del 16° e 17° secolo. La cittadella (qal'a), che costituisce il più cospicuo monumento della città e uno dei più completi esempi di architettura difensiva islamica del sec. 13°, andò a occupare lo sperone roccioso di forma ovoidale (ove si erano succeduti i templi semitici, l'acropoli ellenistica, le residenze dei governatori romani e bizantini) la cui vasta sommità (m. 275 x 375 ca.), regolarizzata e resa pianeggiante per accogliere i diversi edifici, fu collegata alla città da un ponte in pietra che scavalca il fossato.
Se si eccettuano una cisterna di epoca bizantina, la moschea di Ibrāhīm eretta nel 1167 da Nūr al-Dīn Zangī e alcune torri del sec. 12°, la maggioranza delle strutture difensive (fossati, torri, rivestimento della scarpata in blocchi calcarei ben levigati), civili (palazzo, bagno, depositi) e religiose (Grande moschea, del 1214) fu realizzata, a partire dal 1209, dal sultano ayyubide al-Malik al-ẓĀhir Ghiyāth al-Dīn Ghāzī (figlio del Saladino), rinnovatore e rifondatore del sito, che alla funzione di semplice fortezza aggiunse quella, già introdotta in parte dall'hamdanide Sayf al-Dawla, di grande residenza principesca. Dopo la distruzione dei Mongoli nel 1260, il sito fu restaurato dai Mamelucchi con i quali, per effetto dello spostamento verso E della cinta urbana, la cittadella venne a essere inglobata dall'abitato, perdendo gran parte del suo valore strategico. L'impianto viario della città ricalcò, pur con vistosi adattamenti e modifiche, il tracciato delle insulae rettangolari della città seleucidica, soprattutto nel settore centrale, tra la cittadella e il Bāb Anṭākya, ove il cardo maximus, con direzione E-O e a suo tempo colonnato, divenne l'asse primario del mercato coperto (sūq) che, con il suo sviluppo di km. 12 ca. di botteghe, è ancora oggi la più completa e meglio conservata struttura commerciale urbana del Vicino Oriente, suddivisa come di consueto per settori merceologici e per attività artigianali. Tale struttura include pure, entro le sue maglie ortogonali, numerosi caravanserragli (khān), per lo più del tipo a corte interna porticata (ma gli edifici attuali risalgono nella maggioranza al sec. 15°), nonché altri edifici pubblici quali alcuni bagni (ḥammām) e alcune madrasat, tra cui la Ḥallāwiyya, che utilizza il sito e alcuni elementi architettonici della cattedrale bizantina, e inoltre la Grande moschea, il cui ampio cortile (ṣaḥn) coincide anche topograficamente, oltre che per la sua funzione di luogo di incontro, con l'agorá ellenistica.
Il sistema dei luoghi di culto si completò via via con l'edificazione di numerose moschee decentrate, a servizio dei quartieri e delle comunità periferiche: tra le più antiche la Jāmi' al-Tūt (1149) e le moschee Ḥusayn e Shaykh Muḥassin, entrambe erette nel 1212 fuori le mura a O della città, ancora legate all'obbedienza sciita dei Fatimidi e degli Hamdanidi. Alla prima metà del sec. 13° risalgono pure le moschee Shaykh Ma'rūf e Dabbāgha al-'Ātiqa. Tra le moschee di epoca mamelucca si possono ricordare: la moschea al-Karimiyya (1256), la Altunbughā (1318), la Fustuq (1349), la Rūmī (1365), la Bayād (1402), la Uṭrūsh (1403) e la Daraj (1408). Complementare e connesso con quello delle moschee era il sistema delle madrasat; tra le più antiche, di epoca ayyubide: la già citata Ḥallāwiyya (1147), e la Muqaddamiyya (1168), entrambe ricavate da trasformazioni di chiese bizantine; tra quelle del primo periodo mamelucco: la Zāhiriyya (1217), la Sultāniyya (1223), la Atabakiyya (1223), la Kāmiliyya (inizio sec. 13°), la Firdaws (1235) e la Sharafiyya (1242). Delle sedi di confraternite e collegi sufi si conservano la Khānaqā Farafra (1237) e la Zāwiya Bazzāziyya (sec. 13°).
Tra i monumenti del potere civile si conserva solo, oltre a quelli interni alla cittadella, il c.d. Maṭbakh al-'Ajamī, che include resti di un palazzo dell'emiro Nūr al-Dīn (sec. 12°) restaurati nel 15° e 16° secolo.
Tra le opere pubbliche occorre segnalare alcuni bagni: lo Ḥammām al-Jawhari (1384), quello di al-Labbādīa (sec. 14°), nonché il diffuso e capillare sistema delle fontane (qasṭal o sabīl) realizzate soprattutto nel periodo mamelucco. Degli ospedali si conserva in parte il Māristān Nūrī, fondato nel sec. 12° da Nūr al-Dīn Zangī (ma restaurato nel sec. 15°) e quello, ancora quasi intatto, di Argūm (1354).
Le residenze delle classi più elevate seguivano il modello delle case a corte interna (rinfrescata da bacini zampillanti, con giardini di alberi fruttiferi, fiori e rampicanti) sulla quale affacciano i diversi ambienti e in particolare un grande īwān a volta e la sala dei ricevimenti (qā'a) coperta a cupola; molte di esse sono pervenute nei rifacimenti del sec. 17°, non molto diversi per tipologia dalle costruzioni medievali.
Come è stato osservato, l'architettura di A. appare in generale segnata da una diffusa omogeneità d'espressione, raggiunta non solo attraverso l'adozione di tipi edilizi sostanzialmente invariati nel tempo, ma anche attraverso l'impiego costante della pietra calcarea locale nelle sue sfumature di cava, dal giallo al grigio al rosa, che si presta alla formazione di apparecchiature murarie accurate, di superfici levigate, e anche alla minuta lavorazione dei dettagli costruttivi e decorativi (inclusi i bassorilievi, gli intarsi, gli alveoli), nel solco della tradizionale architettura in pietra dell'alta Siria. Ciò non significa che i maestri aleppini restassero isolati, dato che accolsero a più riprese influssi esterni soprattutto iranici e mesopotamici, ma anche provenienti dall'Occidente medievale, rielaborandoli in modo originale e fungendo peraltro da tramite per l'ulteriore diffusione di tipi e linguaggi artistici verso l'Anatolia da un lato, verso l'Egitto dall'altro.
Una forma di compenetrazione e sintesi felice di apporti diversi si osserva già nel più antico tra i monumenti ben conservati di A., il minareto della Grande moschea (costruito nel 1090 dall'architetto Ḥasan ibn Mufarrij al-Sarmanī), il cui fusto slanciato di base quadrata si suddivide in cinque piani, segnati da cornici e ulteriormente individuati da leggere arcatelle cieche 'iraniche' e da tre fasce di iscrizioni (precoce esempio, assieme alla facciata occidentale della moschea alTūt del sec. 12°, di cufico fiorito), offrendo un saggio di equilibrata integrazione tra epigrafia e contesto architettonico.
Anche le architetture difensive della città, in gran parte di epoca ayyubide (1183-1260), che, come le altre opere della stessa dinastia in Siria, Palestina ed Egitto, appaiono concepite come giustapposizione di volumi essenziali, concentrano i sobri e controllati momenti decorativi in corrispondenza di inquadrature di porte e finestre, nicchie, cornici, soprarchi. Si veda per es. l'applicazione di tale principio compositivo nei compatti dispositivi di controllo che torreggiano alle due estremità del viadotto per la cittadella.
Nell'architettura religiosa e civile (moschea, madrasa, convento, ospedale, caravanserraglio) prevale, naturalmente, il tipo a corte interna (talvolta dotata di bacino), del quale si sperimentano contemporaneamente diversi sistemi di delimitazione dello spazio: la parete chiusa, la parete a īwān, il portico ad arcate, con le possibili combinazioni che si ottengono alternando tali elementi sui quattro lati della corte stessa. Si realizzano così, soprattutto nelle moschee e nelle madrasat, un gran numero di varianti, con la comune tendenza a includere almeno un īwān sull'asse principale di simmetria.
È interessante osservare l'esempio della madrasa al-Firdaws (1233-1235), la cui corte ha tre lati porticati (che danno accesso alla sala di preghiera e ad altri ambienti comunitari, tutti coperti da cupolette in serie) e il quarto rivolto a un grande īwān a fondo cieco.
Tra gli elementi decorativi più diffusi e generalizzati sono le stalattiti (muqarnas) e l'intarsio marmoreo, entrambi destinati a smaterializzare le strutture murarie: le prime ricorrenti alla base di volumi aggettanti, con funzione di cornici, nei catini dei portali (di cui la Siria offre prototipi del sec. 12°), nonché nei raccordi tra superfici cave e nelle volte; il secondo riservato soprattutto agli interni e in particolare al miḥrāb. Per ottenere risultati di maggior finezza e preziosità, quali si osservano nel miḥrāb della madrasa Habbasiyya (1241) e nel minbar della Grande moschea (sec. 13°), si ricorreva al legno scolpito placcato d'avorio. Nel periodo mamelucco, ritenuto da molti poco creativo e non molto innovatore, si osserva in realtà la ripresa e la continuità dei tipi e dei temi già sperimentati, con l'introduzione, però, di dispositivi di grande dimensione (per riflesso forse di alcuni monumenti del Cairo), consentiti dalla accresciuta disponibilità di mezzi: si veda la grandiosa impaginazione di alcune facciate spartite da profondi incassi incorniciati da larghe lesene che inquadrano due ordini di finestre (per es. nella moschea al-Uṭrūsh, 1403), chiuse in alto con potenti architravi e cornici orizzontali incavate da stalattiti. Si generalizzò pure l'uso di pietre bicolori (ablaq) non solo nelle mostre di portali e finestre, e nell'apparecchiatura di archi a piattabande (conci a incastro di sapiente complessità geometrica), ma anche nei paramenti delle pareti; mentre negli interni si sistematizzò la tarsia marmorea policroma, talora con incrostazioni di ceramica, soprattutto nei muri qiblī e nelle cavità dei miḥrāb.
Bibliografia
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