Alessandra Biffi
Una vita dedicata ai bambini
Studiando le malattie genetiche dei bambini è riuscita a riparare danni del DNA con un metodo del tutto innovativo: nelle cellule staminali dei pazienti si introducono geni sani attraverso il virus (modificato) dell’HIV, che diventa un benefico ‘cavallo di Troia’ prima di reinfondere le staminali modificate nei malati.
Nel suo curriculum c’è la storia di una donna che dedica la propria vita ai bambini. Da specialista in farmacologia e pediatria ha sempre studiato malattie genetiche che riguardano soprattutto i bambini perché li colpiscono appena nati, anzi determinano il loro destino prima ancora che vedano la luce. Si chiama Alessandra Biffi, dirige un gruppo di lavoro al Centro di ricerca clinica pediatrica al San Raffaele Telethon Institute for Gene Therapy.
Negli anni più recenti si è dedicata alle cosiddette ‘malattie da accumulo lisosomiale’: sono ereditarie e, a causa di errori nella funzione di minuscole parti delle cellule chiamate lisosomi, provocano l’accumulo di sostanze tossiche con gravissimi danni al sistema neurologico. Il problema sta nel DNA, in alcuni difetti che si tramandano da generazione a generazione, ed è un problema molto grosso perché arrivare a riparare i geni che stanno nel nucleo delle cellule è una delle principali difficoltà della moderna medicina (e della genetica). Sappiamo che esistono malattie la cui soluzione starebbe nella riparazione di un DNA sbagliato, cioè difettoso in uno o più dei suoi geni, ma a lungo quella riparazione non è stata possibile perché non esistevano metodi sicuri per infilarsi dentro il nucleo delle cellule malate e portare (e integrare) i geni sani. So riparare il gene, ma come arrivo nel nucleo delle cellule per sostituire i pezzi difettosi? Era questa la domanda, tanti possibili vettori sono stati studiati senza un successo sicuro. In pratica, si era capaci di creare il gene sano ma non si trovavano metodi per infilarlo nelle cellule umane in modo da guarirle.
Poi, ecco l’idea. Perché non usare qualcosa che invece è capacissimo di arrivare al nucleo delle cellule? In fondo
anche i nemici possono diventare preziosi se sappiamo usarli bene. E Alessandra Biffi con il suo gruppo ha scelto nientemeno che il virus dell’AIDS: HIV, responsabile di una delle malattie più pericolose al mondo, che nelle mani di questi ricercatori diventa una specie di ‘cavallo di Troia’ che porta nel cuore delle cellule un DNA riparato. Lo hanno modificato togliendogli alcune caratteristiche (che ne determinano la pericolosità), ma preservando la sua astuzia nell’infilarsi nelle cellule. Il ‘cavallo di Troia’ HIV, quindi, è diventato il cosiddetto ‘vettore lentivirale’ per geni sani assemblati in laboratorio.
I primi risultati sono stati pubblicati nel 2013 e hanno creato speranza e scalpore. Alessandra Biffi e i suoi colleghi hanno prima rimosso cellule staminali ematopoietiche (danno origine alle componenti del sangue) dai pazienti e usato il vettore lentivirale per introdurre in queste cellule un gene terapeutico, poi hanno reinfuso le staminali modificate nei pazienti. Si sono occupati di 3 piccoli pazienti con leucodistrofia metacromatica, causata dalla mutazione del gene ARSA: molto presto dopo la reinfusione di cellule guarite i parametri di malattia in questi bambini si sono normalizzati nella maggioranza delle cellule. E, ciò che più importa, a distanza di 2 anni non c’è più stato segno di progressione della malattia.
Perché sono state usate cellule staminali? Perché hanno la capacità di replicarsi, cioè dare origine a nuove cellule, un numero infinito di volte: introdurre nell’organismo cellule riparate implica garantire che queste cellule daranno tante cellule figlie in grado di curare la malattia negli anni successivi. Altrimenti l’effetto si perde con la morte naturale delle cellule sane. Grazie alla capacità riproduttiva delle staminali il sangue dei bambini trattati dai ricercatori del San Raffaele è costituito oggi da circa l’80% di cellule guarite. Fino a qui le buone, anzi ottime notizie. Però la scienza chiede la cautela nel giudizio perché da ogni risultato nascano conseguenze virtuose e non controproducenti illusioni. Sulla pagina Internet che la riguarda Alessandra Biffi spiega che i risultati sono stati ottenuti su malattie nel cosiddetto ‘stato preclinico’, cioè prima che i sintomi e i segni si sviluppassero in modo pesante e serio. Fermare una malattia nel pieno della propria maligna espressione è tuttora impossibile: la cura con il vettore lentivirale e le staminali corrette funziona nei piccoli pazienti che ancora non abbiano grossi sintomi. Per chi si trova in uno stadio avanzato il cammino della speranza è ancora lungo.
Un’altra notizia meno buona riguarda le persone che hanno permesso di arrivare a questi risultati: la notizia
della cura dei bambini è uscita insieme alla polemica per lo stipendio di alcuni di questi ricercatori che pare arrivi a poco più di 1000 euro ogni mese. Se è così, c’è da chiedersi se abbiano un futuro più promettente in una squadra di calcio di serie A.
Il team vincente
Solo donne nel gruppo di ricerca di Alessandra Biffi al San Raffaele. La terapia con cellule staminali ematopoietiche è il cuore dei diversi filoni di ricerca che questo gruppo approfondisce. Alessandra Biffi è group leader dell’Unità TIGET, con lei 12 colleghe tra post-doc, specializzande e frequentatrici in formazione. Il loro obiettivo: mettere a punto le terapie efficaci per le cosiddette ‘malattie da accumulo lisosomiale’ riparando i geni, cioè sostituendo i difetti nei geni con l’inserzione di DNA sano nel nucleo delle cellule.