Vedi ALESSANDRIA dell'anno: 1958 - 1973
ALESSANDRIA (᾿Αλεξάνδρεια, Alexandrēa)
1. La tradizione. - La città che Alessandro fondò nell'inverno del 332-331 a. C., sulla breve fascia di terra compresa fra le acque del mare Mediterraneo e quelle del lago Mareotide, di fronte a quell'isoletta di Faro dove la poesia del suo prediletto Omero (Od., iv, 351 ss.), faceva giungere Menelao peregrinante sulla via del ritorno in patria, era destinata a diventare una delle più grandi, ricche e gloriose metropoli del mondo antico; anzi, in certi periodi, la sua capitale spirituale e politica.
Una tradizione letteraria plurisecolare che va dall'età ellenistica a quella della conquista araba, ci tramanda l'eco dell'ammirazione che la grandezza non solo, ma anche la bellezza della città suscitarono nei contemporanei, fino al momento del suo tramonto. Frequentissimi sono gli attributi ammirativi (la grande, la bella, la splendida, l'immortale, la regale, la gloriosissima ecc.), che ne accompagnano il nome presso gli scrittori antichi e nei documenti trovati in Egitto, quando essa non è glorificata addirittura come "prima città del mondo". Piena di splendidi edifici sacri, pubblici e privati, essa appare al geografo Strabone (xvii, 8 ss.) e allo storico Diodoro (xvii, 52, 5) nel I sec. a. C., mentre Appiano (Bell. civ., ii, 89) ci ricorda che Cesare, sbarcando ad A., rimase ammirato della bellezza della città e Plutarco racconta (Ant., 80; Apopht., 207, B), che Ottaviano, parlando dopo Azio agli Alessandrini riuniti nel Ginnasio, annunciò di volere risparmiare la città anche perché rispettoso della sua bellezza e grandezza. Ammirate descrizioni di A. sono quelle contenute nei tardi romanzi dello Pseudo-Callistene e di Achille Tazio. Nonostante le continue rovine causate da guerre, terremoti, incendî nei primi secoli della nostra èra, il ricordo di A. come di una città superba può dirsi che non si spenga, attraverso l'età cristiana, fino alla conquista degli Arabi (642), i cui storici ne parlano ancora con ammirazione che, per quanto palesemente esagerata, si fa certo eco della tradizione anteriore.
Del fervore della vita alessandrina, della ricchezza e bellezza profuse nella città ci dànno già un'idea la letteratura poetica del III sec. a. C. (le Siracusane di Teocrito e la Mezzana di Eroda) e quelle parti del περὶ ᾿Αλεξανδρείας di Callisseno di Rodi (III sec. a. C.) trasmesseci da Ateneo (v, 196 ss.) e riferentisi alla celebre processione ordinata da Tolomeo II e ad una nave di gala fatta costruire da Tolomeo IV.
Alle bellezze e ricchezze della città in genere e della reggia in ispecie, il cui complesso di edifici occupava da solo un terzo o un quarto dell'intera città, avevano contribuito un po' tutti i monarchi che, dopo Alessandro, si erano succeduti sul trono di Egitto, fino all'ultima regina, Cleopatra. Il grande tempio forse da essa iniziato e terminato da Augusto, il Caesareum, è stato descritto da Filone (Leg. ad Gaium, 151) come amplissimo, ricco di portici, biblioteche, doni votivi, pitture, statue, ecc. Ricca e meravigliosa appare la Reggia nei versi di Lucano (x, 111, ss.; x, 527 ss.). La celebre torre luminosa, il Faro, eretta sotto Tolomeo II da Sostratos di Cnido, fu annoverata dagli antichi fra le meraviglie del mondo. Il santuario di Serapide è magnificato ancora da tardi scrittori (Ammian. Marcellin., xxii, 16, 12-13; Rufin., Hist. eccles., ii, 22-26, in P.L., p. 529 ss.; Aphthon., Progymnasm., ed. Rabe p. 38 ss.) come il più bel tempio del mondo dopo il Campidoglio, ricco di colonnati, di portici, di opere d'arte, fra cui era la colossale statua del dio fatta in parte di materiali preziosi, attribuita (sembra a torto) a Bryaxis. Bellissimo fra i monumenti della splendida città apparve a Strabone (xvii, 1, 10) il Ginnasio, ricco di portici della lunghezza di più di uno stadio.
Per quanta parte si voglia dare ad amplificazioni retoriche di questa letteratura, è fuori dubbio che essa affondi le basi nella realtà di un'A. che deve essere stata metropoli di una insigne bellezza e ricchezza; ed è questo un dato da tener presente per le questioni che si agitano intorno ad A. come centro d'arte. Comunque, può affermarsi con sicurezza che l'estensione e la ricchezza della reggia, la grandiosità del Faro e della necropoli reale, il numero e la bellezza degli edifici pubblici, l'insolita ampiezza delle strade (Diod., xvii, 52 e Strabo, xvii, 1, 18 concordano nell'indicare in 1 plettro, 30 m circa, la larghezza delle due strade principali) dovevano dare ad A. un carattere di fasto e di monumentalità nuovo rispetto alle tradizioni dell'urbanistica greca, e di un gusto tutto orientale ed ellenistico.
2. Le vicende edilizie. - Le vicende edilizie della città, quali si ricostruiscono dalle testimonianze scritte, possono così brevemente riassumersi:
Il sito dove doveva sorgere A., era già occupato in età remotissima da due nuclei di abitazioni, Rhakotis e Pharos. Il primo sembra essere stato un importante avamposto fortificato creato dai Faraoni a guardia del paese contro le scorrerie dei pirati, e rimase, anche dopo la fondazione di A., il quartiere prevalentemente abitato dalla popolazione indigena. In esso, su una bassa altura (l'acropoli di A.), sorgeva il grande tempio di Serapide. L'isoletta di Faro è già, come si è detto, ricordata da Omero nell'Odissea e in relazione con essa sono i miti greci di Proteo, di Io, di Elena, la quale ultima sarebbe stata trasportata in Egitto da un nocchiero cario di nome Pharos. Moderne indagini archeologiche sottomarine hanno indotto ad attribuire al mondo faraonico o minoico potenti gettate di un porto sommerso, identificate a N delle attuali coste; ma alcuni studiosi negano la remota antichità di quelle rovine e le attribuiscono piuttosto ad età ellenistica.
Secondo la più accreditata tradizione, Alessandro aveva fondato la nuova città nell'inverno del 332-31 a. C. affidandone il progetto all'architetto Deinokrates di Rodi e l'esecuzione a Kleomenes di Naucrati. È oggetto di discussione se già nei disegni del Macedone la nuova città fosse stata concepita con quella funzione preminente di nuova capitale mediterranea dell'Egitto, che essa ebbe di poi. Comunque, sembra che soltanto sotto Tolomeo I (323-285) fosse effettuato il trasferimento della capitale da Memfi ad A. e che soprattutto a Tolomeo II (285-246) sia da attribuire il merito di avere ultimato e grandemente arricchito la costruzione della città con l'erezione del Faro, dell'Arsinoeo, del Museo, della Biblioteca e forse già del Serapeo. Come già si è ricordato, la città sembra essersi continuamente arricchita di nuove costruzioni sotto gli altri Tolomei fino a Cleopatra; Strabone (xvii, 1, 8; e con lui Diod., i, 50, 7) dice infatti che ognuno dei re aggiunse la sua parte ai pubblici edifici in genere e alle costruzioni della reggia in specie. I dati di scavo permettono di attribuire a Tolomeo III (246-221) l'edificazione (o una ricostruzione?) del grande tempio di Serapide, e a Tolomeo IV (221-203) quella di un tempio di Iside e Serapide lungo la via Canopica, nonché di una cappella di Arpocrate nel recinto stesso del Serapeo. Il medesimo re, secondo una notizia di Eliano (Var. hist., xiii, 22), consacrò ad Omero un edificio con la statua del poeta e delle città che si gloriavano di avergli dato i natali, e, secondo un'altra notizia di Zenobio (iii, 94; cfr. Paus., 1,7), riunì in un unico e grande mausoleo le tombe degli antenati e di Alessandro. Notizie precise non si hanno per i successori fino a Cleopatra, cui la tradizione (Eutych. Alex., Annal., in Migne, P.G., iii, c. 975 c) attribuisce aedificia magna et admiranda e che, oltre al ricordato Cesareo, sappiamo che costruì (Plut., Ant., 76-79; 84-85) un mausoleo per sé e per Antonio. Antonio stesso, durante la sua permanenza in Egitto, oltre a trasportare in A. monumenti tolti ad altre città dell'Oriente, costruì una sua dimora su un promontorio avanzato nel mare che chiamò Timonium (Strabo, xvii, 1, 9).
Per lungo tempo neppure sotto i Romani può dirsi siasi arrestata l'attività edilizia ad A., e se Ottaviano, dopo Azio, restituì alle città che ne erano state spogliate i monumenti trasferiti ad A. da Antonio e trasportò a Roma un ricco bottino di guerra, egli stesso fondò ad E della città il sobborgo di Iuliopolis o Nikopolis (Dio Cass., xv, 81, 1; cfr. Strabo, xvii, 1, 10) e quivi, sembra, egli fece anche costruire un anfiteatro e uno stadio. Ad Adriano si attribuisce una notevole opera di ricostruzione, dopo i gravi danni causati agli edifici dalle lotte contro gli Ebrei, mentre ad Antonino Pio si dovette la costruzione delle Porte, dette, della Luna e del Sole, alle opposte estremità della grande via longitudinale e, forse, il rifacimento di questa.
Non è che con l'età di Caracalla che comincia veramente la triste epoca della decadenza, dei saccheggi e delle distruzioni. Gravissimi furono i danni sotto Aureliano che, vinta Zenobia che aveva occupato A. nel 269 d. C., fece quasi per intero distruggere il quartiere del Bruchium (273), e sotto Diocleziano, che prese la città dopo un lungo assedio in seguito alla rivolta capeggiata da un certo Achilla. A lui tuttavia che, dopo la vittoria, avrebbe dimostrato clemenza verso la debellata città, fu eretta la grande colonna, detta di Pompeo, che ancora oggi, unica superstite del passato splendore, si eleva sulla collina del Serapeo.
Durante l'età cristiana (è noto che A. ebbe una parte importante nella storia del primo cristianesimo) è ricordata l'erezione di nuove chiese, fra cui quelle consacrate a S. Marco, S. Atanasio, S. Theonas, e la trasformazione in chiese di vecchi templi pagani, quali quello di Kronos trasformato in chiesa di 5. Michele, del Cesareo, divenuto la Cattedrale (la Dominica) e, forse, del Serapeo, trasformato in chiesa di S. Giovanni Battista. Ma fu proprio durante le persecuzioni e le sanguinose lotte fra pagani e cristiani e fra ortodossi ed eretici, che la città continuò a subire i danni più gravi. Gravi fra tutti, quelli provocati dal patriarca Teofilo dell'età di Teodosio I (379-395), che nella sua spietata persecuzione contro i pagani distrusse monumenti, statue, edifici, fra cui il teatro, il tempio di Dioniso, e soprattutto il Serapeo con la statua colossale del dio. Il IV sec. è anche quello di forti maremoti e terremoti che arrecarono gravi danni alla città. Altri ancora se ne verificarono per le persecuzioni del patriarca Cirillo contro gli Ebrei, durante le quali fu uccisa la filosofa Ipatia e fu distrutto il quartiere ebraico (415). Più tardi Teodora ordinò che la città fosse incendiata per punirla di non aver voluto riconoscere il vescovo Teodosio, suo favorito (536). Larghe devastazioni si verificarono per l'assedio e la conquista di Cosroe I, re di Persia (619), che Eraclio cacciò nel 629.
‛Amr Ibn al-‛Ās, generale dell'armata del califfo Omar, dopo 14 mesi di assedio prese la città nel 642. L'assedio e le vicende posteriori della conquista araba, con il trasferimento della capitale a Fustat prima e al Cairo poi, dovettero causare altri danni gravissimi e spoliazioni all'antica metropoli del Mediterraneo. E spoliazioni dovettero continuare lungamente nei secoli successivi, quando le rovine di A., che pure restò uno dei più importanti porti del Levante, furono facile preda ai naviganti che vi approdavano e divennero cava di materiali per nuove costruzioni. La decadenza della città continuò del resto inesorabile fino al principio del XIX sec., quando essa si era ridotta ad un piccolo villaggio sorto sulla lingua di terra che si era lentamente formata ai lati di quello che era stato l'antico Eptastadio, una diga (km 1,200 c.) congiungente la città propriamente detta all'isola di Faro. A. trovò allora il suo secondo fondatore in Mohammed Ali, il capostipite della dinastia che regnò in Egitto fino al 1952. Con sviluppo rapidissimo essa è diventata una delle più belle e importanti città dell'Oriente mediterraneo. Purtroppo questo stesso suo rapido sviluppo, che si è effettuato in buona parte proprio quando l'archeologia andava esplorando sistematicamente, in più fortunate circostanze, i più grandi centri del mondo antico, è stato un fattore negativo per la ricerca e lo studio delle vestigia della città antica. È accaduto, infatti, che gran parte dell'ambito di questa sia stata rapidamente occupata dalle nuove costruzioni della città moderna senza che vaste e profonde ricerche permettessero prima di stabilire l'importanza archeologica dei siti.
Tuttavia, ponendo a partito le testimonianze della tradizione, e specialmente quelle più antiche e certo più attendibili di Strabone e di Diodoro Siculo del I sec. a. C., nonché le altre, più tarde e più fantastiche, di Achille Tazio e del Pseudo-Callistene, la critica ha potuto ricostruire con una certa approssimazione la pianta d'insieme della città antica. Di essa, anzi, fu fatto un tentativo grafico di ricostruzione nel 1872 dall'astronomo Mahmud el-Falaki, in seguito a scavi ordinati dal Kedive Ismail; ma la sua attendibilità assoluta è stata giustamente revocata in dubbio dalla moderna critica (v. avanti).
3. Topografia. - A. sorse, dunque, di fronte all'isola di Faro. Costretta fra il mare a N e le acque del lago Mareotide a S, essa assunse necessariamente quella forma stretta e allungata che ha ripreso la città moderna. Strabone ne indica la lunghezza in 30 stadi (km 5,350 c.) e la larghezza in 7-8 stadi (km 1,245-1,420 c.). Queste misure noi possiamo ritenere, in base alla fisionomia dei luoghi e ai dati di scavo, come approssimativamente esatte nonostante la discordanza, spesso notevole, con altre fonti.
Le mura sembra abbiano avuto, ad un certo momento, un circuito di 15 km circa. Al di là di esse si trovavano, ad E, i sobborghi di Eleusi, piuttosto verso l'interno (sembra presso l'attuale giardino di Nuzha) e di Iuliopolis o Nikopolis verso il mare; e, ad O, l'ampia distesa della città dei morti, la Nekropolis di Strabone. Le fonti scritte tacciono delle vaste necropoli scoperte dagli scavi anche ad E.
A S della città, fra essa e il lago, correva il canale che allinentava A. delle acque del Nilo. Proveniente da SE, esso fiancheggiava tutto il limite meridionale dell'abitato, ripiegava poi bruscamente verso N, attraversando la città verso il suo limite occidentale e andandosi infine a gettare nel Kibotòs (la scatola), piccolo porto che aprivasi sulle sponde del porto Eunosto (v. avanti). Il canale, come e assai più che oggi, doveva anche costituire un mezzo di comunicazione per i traffici molto intensi con l'interno, ai quali serviva anche un porto sul lago.
Per quanto possa essere discutibile la pianta della città antica tracciata da Mahmud el-Falaki nel secolo scorso, la disposizione della rete stradale a scacchiera che vi appare, può essere confermata dallo schema rettangolare della città e dall'essere stata A. un grande centro urbanistico creato di getto alla fine del IV sec. a. C., nonché da non pochi accenni delle fonti.
Sempre in base alle fonti, confermate in parte dalle scoperte, possiamo affermare che A. era ricca di cisterne alimentate da condotti sotterranei che adducevano ad esse l'acqua del canale su menzionato. La città era legata all'isola di Faro per mezzo di una lunga diga, il ricordato Eptastadio, che veniva a dividere i due grandi porti naturali dell'O (o Eunosto) e dell'E (o Grande Porto), i quali erano messi in comunicazione per mezzo di due passaggi praticati nella diga stessa dell'Eptastadio. Questo per quanto riguarda la fisionomia della città, in generale. Quanto alla presenza e distribuzione dei principali monumenti, dalle fonti scritte e specialmente dalla chiara, per quanto breve, descrizione di Strabone, possiamo dedurre quanto segue.
La parte principale della città, un terzo o un quarto, come si è detto, era occupata dagli edifici dei quartieri reali, quali erano andati formandosi con le successive amplificazioni promosse dai varî sovrani. Dei quartieri reali facevano parte, oltre ai palazzi reali propriamente detti, vasti giardini, (in parte botanici e zoologici), gli edifici della grande Biblioteca, del Museo, nonché l'insieme delle tombe regali. Del Museo facevano parte un grande edificio per l'alloggio e i pasti in comune degli studiosi, una passeggiata e un'esedra. Nel complesso degli edifici della Reggia, Strabone distingue i palazzi del Lochiàs (un promontorio che chiudeva il Grande Porto ad E, oggi Selsileh) e quelli più interni. Un porto privato per i re era praticato nell'interno stesso del Grande Porto. In comunicazione con la Reggia, per mezzo di una specie di portico coperto (la cosiddetta σύριγξ) era il teatro che dominava dalla costa un'isoletta detta Antìrrodos. In questa era ancora un altro palazzo reale. Seguivano, procedendo ancora verso O, il Posidonium con un tempio di Posidone, l'Emporium e un braccio di terra, avanzantesi nel mare oltre il promontorio del Posidonium, su cui Antonio si costruì il Timonium. Seguivano ancora, fino all'inizio dell'Eptastadio, il ricchissimo Cesareo, le Apostàseis, o grandi magazzini, e i Neòria o Navalia, specie di cantieri navali dove più di 120 navi furono incendiate al tempo della guerra fra Cesare e Tolomeo. Attigua a queste costruzioni doveva trovarsi la grande Biblioteca, che si immagina ragionevolmente annessa al Museo, se Plutarco (Caes., 49) ci dice che l'incendio passò dai Navalia alla grande Biblioteca.
Al di là dell'Eptastadio, sulle rive dell'Ennosto, Strabone ricorda il cosiddetto Kibotòs, il già ricordato piccolo porto nel quale versava le sue acque il canale del Nilo. Al di là di un ultimo breve tratto della città propriamente detta, Strabone dice che si estendeva la necropoli ricca di tombe, di giardini e di stabilimenti per l'imbalsamazione dei morti.
Se della distribuzione dei ricordati edifici e località possiamo essere sicuri seguendo soprattutto Strabone, che li enumera come percorrendo la costa dal Lochiàs ad E alla necropoli ad O, più incerti restiamo per quasi tutti gli edifici interni della città. Dentro il circuito di questa, Strabone ricorda anzitutto il Serapeo e "altri vecchi edifici di Rhakòtis", quasi abbandonati al suo tempo per il recente sorgere di Nikopolis. Poi egli interrompe la regolarità della sua descrizione e se la sbriga dicendo che la città (interna) era piena di monumenti e di luoghi sacri, menziona con ammirazione il Ginnasio (che è da collocarsi nella parte orientale della città, non lontano, sembra, dalla Porta Canopica), il Dikastèrion, che era invece forse verso il centro, e la collina sistemata a giardino del Paneum, donde l'occhio poteva spaziare sulla grande distesa della città. Incerta resta l'ubicazione dell'Ippodromo che, stando a Strabone, dovremmo situare comunque al di fuori della Porta Canopica, che formava l'estremità orientale della grande arteria longitudinale. Di uno stadio, diverso da quello ricordato di Nikòpolis, esistente ai piedi dell'acropoli, sembra far cenno Aftonio, e con esso sembrava fosse da identificare quello le cui vestigia furono viste e rilevate dagli studiosi della missione napoleonica alle pendici meridionali della collina del Serapeo. Secondo recenti studî (Maricq) invece, in queste rovine sarebbe da identificare piuttosto un altro ippodromo, al quale le fonti danno talvolta il nome di Làgeion.
Degli altri principali edifici la cui esistenza è testimoniata da fonti scritte, vanno ricordati, a partire dall'estremità orientale della città: il Nemesion, in cui Cesare avrebbe fatto seppellire la testa di Pompeo; la palestra, situata presso il teatro, e, attiguo, un edificio non bene identificato, detto il Meandro; la già ricordata grande Biblioteca che, nonostante i danni subiti, ancora in età romana era la più ricca che avesse conosciuto il mondo antico, e che è da distinguersi dalla Biblioteca "figlia" del Serapeo e da una "Adrianè Bibliothèke " di incerta ubicazione; l'Arsinoeo dell'architetto Timochares, che Tolomeo II fece costruire in onore della sorella e sposa Arsinoe (m. 270 a. C.) e che è da collocarsi presso i Neòria, cosi come un tempio della dea Bendis. Al centro della città sono da collocarsi l'agorà, un tetràpylon, mentre verso il limite SO era il più volte ricordato Serapeo. Degli altri edifici di più o meno incerta ubicazione si ricordino: una stoà, un Adrianèion, i santuarî di Agathodàimon, di Dioniso, di Hermes, di Efesto, di Kronos, di Iside (più di uno), di Tyche etc., nonché il santuario-heròon che Cleopatra fece costruire per sé e per Antonio; secondo alcuni, verso il centro della città, non lontano da dove si opina fossero le altre tombe reali; secondo altri, non lontano dal promontorio Lochiàs, se è da identificare col tempio d'Iside-Lochiàs il tempio d'Iside presso il quale sembra si trovasse la tomba.
Nell'isola di Faro (v.), oltre la celebre torre luminosa di Sostratos di Cnido (v.), opera insigne oltre che per la sua monumentalità (si è calcolato avesse circa 120 m di altezza) anche, sembra, per le sue decorazioni in marmo e in bronzo, sono forse da collocare un heròon di Efestione, uno del leggendario Proteo, un tempio di Nettuno, che si ritiene sorgesse presso l'estremità occidentale dell'isola, e quasi certamente un tempio d'Iside Pharia.
4. I dati delle scoperte archeologiche. - Forse di poche città antiche che hanno avuto un altrettanto glorioso passato, il tempo ci ha conservato così poco come di A., e forse di poche altre città le vestigia, proprio perché povere e disperse rispetto alla perduta grandezza, sono altrettanto poco note e considerate come quelle di Alessandria. Pure esse appaiono del più grande interesse perché, se raramente lumeggiano o confermano i dati della tradizione, ne aggiungono, tuttavia, di nuovi e costituiscono, in ogni caso, la base più concreta di ogni nostro discorso di topografia e di architettura alessandrina.
Nel 1872 l'astronomo Mahmud el-Falaki pubblicava la ricordata pianta dell'antica A. che ha costituito, di poi, argomento di discussione e base per nuovi tentativi di ricostruzione. La pianta comprende il tracciato delle mura e una rete stradale di sette vie longitudinali (direzione EO) e di undici vie trasversali (direzione NS). Dalla succinta memoria che accompagna l'edizione della pianta, si rileva che el-Falaki deve aver lavorato non senza coscienziosità, ma certo anche nella misura e maniera che gli consentivano i tempi e la sua assai modesta preparazione specifica. Ma per quanta parte egli abbia fatto all'ipotesi, il suo tracciato di strade e di mura può ritenersi sostanzialmente fondato. Da alcuni dati che egli fornisce nella sua memoria e da quanto si è potuto constatare dagli scavi posteriori, si deduce che la città che egli ha incontrato è una città di epoca tarda e non quella ellenistica. Di epoca tarda doveva essere certamente, per esempio, il tratto di mura da lui incontrato a SE del Lochiàs, se esso era costruito "con pietrame e polvere di mattoni". E più di una volta, quando è stato possibile un controllo scientifico, si è, sì, incontrato il lastricato delle sue strade, ma si è constatato anche che esso poggiava su strati più antichi di edifici distrutti, da attribuirsi all'età ellenistica. Se e fino a che punto poi il tracciato di Mahmud el-Falaki abbia ripetuto quello di una città più antica è impossibile oramai precisare; ma bisogna dire che talvolta la corrispondenza sembra essere stata provata. Altro elemento di discussione è l'estensione della città verso E. Ammettendo come esatto il tracciato di mura di el-Falaki, bisogna anche ammettere che la città alla quale esso ha appartenuto si fosse estesa considerevolmente oltre i limiti della città ellenistica, se densi cimiteri di questa si sono scoperti entro quello stesso circuito di mura.
Più e più volte, a partire dalla fine del secolo scorso, sono state segnalate scoperte di colonne e di fondazioni antiche nel sottosuolo della città moderna. Purtroppo raramente le segnalazioni sono state accompagnate da grafici e da dati precisi. Quando questo si è verificato, si è potuto constatare che le vestigia della città più antica, poggianti sulla roccia, sono costruite con una buona tecnica di grandi blocchi di calcare squadrati, disposti a filari; che spesso queste vestigia sono state coperte successivamente da strati di detriti e da più o meno rozze costruzioni posteriori (per esempio nell'ambito dei quartieri reali); che colonnati e lastricati del tipo di quelli segnalati da Mahmud el-Falaki sono non solo, come si è detto, costruiti per lo più su strati di detriti e resti di edifici anteriori, ma spesso anche con materiali di secondo impiego. Delle fondazioni da attribuire all'età ellenistica il più importante e meglio noto complesso è quello rinvenuto fra il 1935 e il 1937 nella regione dei quartieri reali e del teatro; da questa regione provengono anche importanti frammenti di sculture ed elementi architettonici di assai fine fattura trovati occasionalmente in anni precedenti.
Fra i non numerosi avanzi di mosaici rinvenuti nella città va segnalato specialmente, per la sua intrinseca importanza e per l'interesse stratigrafico della scoperta, un grande mosaico con scene di amorini alla caccia, trovato verso il presunto limite orientale dei quartieri reali, a circa 3 m al disotto del livello di un tratto di strada di età romana del tipo di quelli segnalati da Mahmud el-Falaki; conferma, anche questa, dell'età relativamente tarda della rete stradale da lui ricostruita. Fra i trovamenti, frequentissimi, di colonne, in molti siti della città, son da ricordare per il numero e l'importanza, quelli segnalati da Mahmud el-Falaki sulla via Canopica fra le vie R1 e R2 del suo piano, insieme con "enormi muri di fondazione" che gli facevano identificare il sito come quello del Ginnasio, e l'altro presso l'attuale scuola De Menasce (Boulev. Sultan Hussein) dove furono trovate colonne di granito e colossali capitelli corinzi in basalto, di alta età tolemaica. Una di queste colonne e uno di questi capitelli ornano oggi il centro della prossima piazza Kartum.
Resti di colonnati antichi sono stati più volte segnalati verso il centro della città, presso a poco lungo la via Nabi Daniel, che, secondo alcuni studiosi di topografia alessandrina, seguirebbe il tracciato della grande strada trasversale incrociantesi con la Canopica (che altri spostano, invece, verso E), e ai piedi di Kôm el-Dik, lungo la via Abd el-Moneim. Ma i dati di scavo (stratificazione, materiali di secondo impiego) inducono ancora una volta ad assegnare queste vestigia ad un'epoca assai posteriore a quella ellenistica.
Non lontano dal sito indicato, verso O (attuale circolo Mohammed Aly), lungo il tracciato dell'antica Canopica, furono trovate, in circostanze quasi del tutto ignote, le tavolette di fondazione di un tempio dedicato da Tolomeo IV e da Arsinoe III ad Iside e Serapide.
Il Gaesareum è, insieme col tempio suddetto e col grande Serapeum, il terzo edificio di A. di cui conosciamo con precisione il sito. Fino alla seconda metà del secolo scorso si trovavano infatti ancora sul posto i due obelischi ricordati da Plinio (Nat. hist., xxxvi, 69) come in esso esistenti. Essi furono poi trasportati l'uno a Londra e l'altro a New York. Sul sostegno bronzeo a forma di enorme crostaceo che sorreggeva quest'ultimo, è un'iscrizione bilingue da cui deduciamo che esso fu elevato nel 13 a. C. a cura del prefetto P. Rubrio Barbaro sotto la direzione dell'architetto Pontius.
Sulla collina del Serapeo, il grande santuario elevato nel vecchio quartiere di Rhakotis e che sembra doversi distinguere da un Serapeo noto come opera dell'architetto Parmeniskos, gli scavi del Rowe hanno restituito, anche qui, le tavolette di fondazione del santuario consacrato da Tolomeo III a Serapide e quelle di una cappella consacrata ad Arpocrate da Tolomeo IV. Essi hanno anche permesso di riconoscere gran parte del tracciato di una recinzione del santuario più antica (tolemaica) e di una più recente e più ampia (romana), che confermano la forma rettangolare della planimetria generale del santuario, suggerita dallo studio delle fonti scritte; ma purtroppo non hanno restituito nulla che ci dia una pur pallida idea delle forme dell'elevato e del passato splendore del tempio. Tuttavia è da ricordare che non poche sculture, alcune di stile egizio, altre di stile greco, sono state raccolte nell'ambito del santuario in scavi precedenti. Fra quelle di stile greco è la nota testa femminile di stile patetico del museo di Alessandria (v. appresso).
5. Necropoli. - Oscura resta ancora la conoscenza della necropoli reale che comprendeva le tombe di Alessandro e dei suoi successori (il celebre σῶμα o σήμα), dopo i risultati negativi degli scavi e dei saggi stratigrafici praticati negli anni intorno alla II guerra mondiale nella zona di Kôm el-Dik e, specialmente, nei pressi di quella moschea Nabi Daniel nel cui sito parecchi studiosi avevano creduto poter collocare quei monumenti. Oggi è da credere che una revisione critica dei dati della tradizione scritta e di quelli topografici indurrà forse a spostare in altro sito, piuttosto verso E, la necropoli reale. Le frammentarie e spesso contraddittorie notizie che se ne hanno permetterebbero, secondo H. Thiersch di stabilire che la necropoli comprendesse: a) il tempio funerario fatto erigere da Tolomeo II per accogliervi le spoglie del Macedone che avevano avuto una prima sepoltura in Memfi; b) le tombe dei primi tre Tolomei; c) il grande Mausoleo collettivo (Ptolemàion) fatto costruire da Tolomeo IV per riunirvi le spoglie dei suoi predecessori e dello stesso Alessandro; d) le tombe di Tolomeo IV e dei successori fino a quella che Cleopatra VII fece costruire per sé e per Antonio. Allo Ptolemàion si riferirebbero le notizie che abbiamo sulle varie visite compiute al sepolcro del Macedone in età romana.
Quanto alla tomba originaria di Alessandro essa dovette avere fin dall'inizio, e conservare anche in seguito, il carattere di un tempio funerario dove si svolgevano le cerimonie in onore dell'eroe fondatore della città. Egli vi era stato sepolto in un sarcofago d'oro che deve essere stato trasferito da Tolomeo IV nello Ptolemàion, per esservi, poi, sostituito da Tolomeo XI (108-89 a. C.) con un sarcofago di vetro. Si ritiene da parecchi che di questa originaria tomba di Alessandro conservino il ricordo alcuni ipogei privati alessandrini di alta età ellenistica (Shatbi, Sidi Gaber, Wardian ecc.). Una delle caratteristiche passate da quella a questi sarebbe l'uso, di tradizione macedone, del letto funebre.
Quanto allo Ptolemàion, esso avrebbe contenuto, al centro dei suoi ambienti sotterranei, il nuovo sepolcro di Alessandro e, in una specie di colombario, le urne dei dinasti precedenti Tolomeo IV. Sul complesso degli ambienti sotterranei si sarebbe poi elevato un grande tumulo di terra che il Thiersch propendeva addirittura ad identificare coll'altura del Panèion di cui parla Strabone. Da questo grande Mausoleo dei Lagidi sarebbero derivati i mausolei romani di Augusto, dei Flavî e di Adriano.
Quanto alle tombe degli ultimi Tolomei, che avrebbero per lo più adottato il rito della mummificazione, esse sarebbero state sormontate da monumenti a piramide.
Sono fortunatamente più ricche, in base ai dati di scavo, le nostre conoscenze circa le necropoli alessandrine che si estendevano al di fuori dell'ambito della città propriamente detta. Come abbiamo già ricordato, dobbiamo totalmente agli scavi la conoscenza dei cimiteri della zona orientale, di cui non è traccia nella tradizione scritta, forse perché, all'epoca cui essa risale, quei cimiteri, generalmente di epoca ellenistica, erano già abbandonati e in parte coperti.
Per quanto anche in questo caso sia stata impossibile un'esplorazione sistematica e completa dei siti e quasi sempre gli scavi abbiano dovuto tener dietro a scoperte occasionali, possiamo dire di conoscere abbastanza bene l'architettura funeraria alessandrina che, specialmente dopo il 1933, si è venuta arricchendo di complessi insigni come quello della necropoli monumentale di Mustafa Pascià situata presso a poco nell'antico sobborgo di Nikòpolis, ad E di Alessandria.
A parte i vasti e fitti cimiteri a cielo scoperto (Shatbi, Ibrahimieh, Hadra) a inumazione e a cremazione, con tombe a fossa e con loculi o pozzetti, spesso sormontati da piccoli monumenti funerari, che hanno per l'architettura un'importanza relativa, le necropoli alessandrine si sono rivelate ricche di ipogei scavati nella roccia, talvolta con-cepiti come tombe di famiglia o di comunità. Il tipo originario e più antico era formato da un numero limitato di ambienti, fra cui si distingueva uno principale con un banco o un sarcofago in forma di letto funebre di evidente influsso macedone. Nei tipi più recenti, di età romana, gli ipogei diventano spesso assai più vasti con l'aggiunta, forse progressiva, di numerose e ampie diramazioni con file sovrapposte di loculi ad un nucleo originario centrale, in cui possono riconoscersi elementi del tipo più antico.
Fra gli ipogei più antichi, di età ellenistica (Shatbi, Sidi Gaber, Mustafa Pascià, Anfushi ecc.) si distinguono due tipi fondamentali, riflettenti forse forme della contemporanea casa alessandrina; quello in cui i vari ambienti sono disposti su un solo asse, con la cappella funeraria in fondo, preceduta dalla sala delle preghiere e da una corte (tipo cosiddetto a òikos), e quello in cui i vari ambienti sono aggruppati intorno ad una corte con peristilio o pseudo-peristilio (tipo cosiddetto a peristilio).
Quasi sempre questi ipogei alessandrini presentano istallazioni per il culto (pozzi, bacini, altari, trapeze, banchi ecc.) che ne indicano chiaramente la funzione non solo di casa del morto ma anche di tèmenos, di heròon.
Un importante tipo a parte, finora unico fra questi ipogei ellenistici, è quello della tomba n. 3 del complesso di Mustafa Pascià che presenta bensì un succedersi di ambienti sullo stesso asse come nel tipo a òikos, ma con la cameretta funeraria e l'alcova con letto funebre dietro ad una facciata architettonica, che è una vera imitazione di una frons scaenae, con tre porte reali al centro e due finte porte ai lati, e un podio con due scalette di accesso; il tutto ad un livello superiore della corte aperta, sul cui fondo è praticata un'esedra con banco e loculi.
Meno frequente, ma sicuramente documentato, è un tipo di tomba circolare di età ellenistica (cosiddetto Ipogeo dei Mercenarî; tombe di Hadra) con loculi e nicchie disposti lungo le pareti. Esso potrebbe riallacciarsi alla tradizione dei mausolei circolari della necropoli reale, secondo l'ipotesi più sopra citata. Ambienti circolari con copertura a cupola si trovano anche in ipogei posteriori (Gabbari, el-Wardian, Kôm el-Shogafa).
Avanzi di una costruzione funeraria assai più sontuosa degli ipogei ellenistici di cui si è detto, e di un tipo architettonico diverso, sono quelli di una camera rettangolare in cui pareti e soffitto erano costruiti con ciclopici blocchi di alabastro. Si tratta di un ambiente intermedio da immaginare fra altri oggi scomparsi e disposti sullo stesso asse. In una delle pareti si apre una porta con inquadratura del tipo "dorico" analoga alle porte delle contemporanee tombe di Mustafa Pascià. Il fatto che gli enormi blocchi di alabastro appaiano lavorati solo nella faccia interna, autorizza l'ipotesi che la camera e il complesso di cui essa doveva far parte, fossero coperti e nascosti sotto un tumulo. È questo il monumento più lussuoso di cui si siano trovati gli avanzi in A. e deve essere appartenuto ad un personaggio di eccezione. Trovasi verso il limite orientale della città, nel recinto dell'attuale cimitero latino.
Fra i grandi ipogei, che si estendevano numerosi ad O della città, ne vanno ricordati specialmente due: le catacombe del Mex (più esattamente del Wardian) e le catacombe di Kôm el-Shogafa. Le prime (ritrovate nel 1951 dopo che erano state ritenute distrutte), presentano un grandioso e chiarissimo piano di cui le parti principali, allineate sullo stesso asse, sono: un vestibolo rettangolare ad otto pilastri, un lungo corridoio di passaggio (queste parti non sono oggi più visibili), un peristilio a cielo scoperto con dodici pilastri, un altro ampio vestibolo rettangolare e un ambiente circolare a cupola su cui si aprono tre cappelle a croce greca contenenti ciascuna tre alcove con sarcofàgo. Nella sobria decorazione architettonica di carattere greco sembra entrasse solo timidamente qualche elemento egizio. Influenze egizie si è anche creduto di riconoscere, forse a torto, nella planimetria. Comunque, è innegabile che le catacombe del Wardian costituiscano uno dei capisaldi per lo studio dell'architettura alessandrina, di cui attestano, con la limpida chiarezza del loro piano, la vitalità ed originalità in un'epoca già avanzata della sua storia (sono probabilmente da assegnare al I sec. a. C. circa), dandoci anche, per riflesso, un'idea dell'importanza della grande architettura contemporanea della città propria.
Ancora più notevoli per l'originalità della concezione architettonica, la complessità del piano e la grandiosità delle proporzioni, sono le catacombe di Kôm el-Shogafa scoperte da G. Botti nel 1892. Si tratta di un complesso di 3 o 4 piani (quello superiore probabilmente scomparso) di ipogei scavati nella roccia, accessibili per una scala a chiocciola. Il suo corpo centrale è costituito da un chiosco circolare, con attigue un'ampia sala rettangolare a triclinio e una cappella funeraria a triplice nicchia, ciascuna contenente un sarcofago a ghirlande. Un sistema di corridoi con file sovrapposte di loculi abbraccia su tre lati questo corpo centrale, mentre altri corridoi, forse estranei alla concezione originaria del monumento, si diramano da essi. Il monumento presenta inoltre singolari ricerche di effetti scenografici con la cappella funeraria principale aprentesi, ad un livello inferiore, al fondo di scale e colonnati che l'occhio abbraccia dall'alto della camera circolare centrale. È da assegnare all'età fra la fine del I sec. d. C. e la prima metà del II e presenta una fusione assai interessante, se non altrettanto fine per lo stile e l'esecuzione, di elementi decorativi egizi e greci. Un altro interessante esempio di eclettismo greco-egizio è quello che presenta, nella sua ricca decorazione dipinta, un piccolo ipogeo del I-II sec. d. C., scoperto nel 1952 ad E della città (via Tigrane Pascià).
6. Altre vestigia. - Fra le vestigia di edifici non funerari incontrati al di fuori dell'àrnbito della città, sono da ricordare le seguenti:
Quelle dello Stratòpedon, accampamento della guarnigione romana ad A., le cui rovine esistevano fin verso la fine del secolo scorso laddove è oggi l'accampamento militare di Mustafa Pascià (presso la ricordata necropoli ellenistica); di esso possediamo un vecchio piano e alcuni testi epigrafici; le vestigia di una costruzione con colonne segnalate sotto l'attuale moschea di Sidi Gaber, e quelle attribuite all'antico Thesmophòrion del sobborgo di Eleusi nell'odierno quartiere di Smuha. Di qui provengono frammenti di due statue colossali di granito, di stile misto greco-egizio in cui si era creduto riconoscere un Antonio-Osiride e una Cleopatra-Iside. Un tempietto votivo tetrastilo ionico su podio, con scalea di accesso, di età romana, è stato scoperto nel 1936 nella località di Ras el-Soda, ad E di Alessandria. In esso fu trovato un interessante complesso di sculture in marmo che si conservano oggi al Museo Greco-romano di Alessandria.
Pur nel naufragio quasi totale della città antica, una quantità di materiale architettonico, divenuta oggi imponente, si è andata lentamente accumulando nel museo, in seguito a scavi e a scoperte occasionali. Esso va dalla più antica età ellenistica all'età cristiana e, quando sarà metodicamente studiato, potrà dare certamente un importante contributo allo studio delle forme decorative dell'architettura alessandrina. Fra i monumenti di età ellenistica sono da ricordare la bella serie di capitelli ionici di calcare di finissima fattura, provenienti dall'ambito dei quartieri reali; il grandioso, già ricordato, capitello corinzio di basalto, oggi in piazza Kartum, unico superstite di un ricco insieme distrutto; numerose varianti di capitelli corinzi di calcare, nonché di capitelli di stile misto greco-egizio, fra i quali alcuni di calcare di finissima esecuzione e con avanzi di policromia. Rari appaiono invece i capitelli di pura tradizione egizia. Non mancano naturalmente i capitelli dorici isolati; ma è nella necropoli di Mustafa Pascià che l'ordine dorico è più e meglio rappresentato.
Per il resto, sono frequentemente rappresentate le altre forme peculiari dell'architettura ellenistica: colonne scanalate solo nella parte superiore; semicolonne addossate a pilastri, pilastri e semicolonne rivolti con la fronte in un vano di passaggio, colonne d'angolo cosiddette a foglia d'edera, ecc. Da segnalare ancora alcune espressioni di una tendenza "illusionistica" o scenografica dell'architettura alessandrina: facciate con false porte e false finestre, finestre rappresentate come dischiuse con impiego di colore azzurro nei vani per dare l'illusione dell'atmosfera visibile attraverso di esse, accorgimenti prospettici e deformazioni lineari per accentuare o ottenere effetti di profondità, ecc. Un'accentuata tendenza scenografica impronta anche l'architettura dei grandi ipogei del Wardian e di Kôm el-Shogafa.
Fra il materiale architettonico raccolto è frequente quello di piccole proporzioni da attribuire probabilmente a monumentini o edicole funerarie, a inquadrature di finestre, ad attici elevati su colonnati, ecc.
Se, fino a pochi anni addietro, di scarso interesse per lo studio dell'architettura classica in Egitto erano quasi sempre apparse le vestigia di età greco-romana trovate fuori di A., abbiamo oggi ad Hermopolis Magna (v.), Ashmunein, imponenti resti di una basilica romana (età di Arcadio?) e di un santuario tolemaico, trovati in seguito agli scavi colà eseguiti dall'Università Faruk I di A. (A. J. B. Wace). Il santuario tolemaico (età di Tolomeo III; ordini corinzio, dorico e ionico), che era stato sepolto sotto la basilica romana, rappresenta, anzi, il complesso più bello e più importante di architettura ellenistica in Egitto e rispecchia certo, degnamente, forme della grande architettura scomparsa della capitale.
Infine, e per quanto allo stato dei nostri studi sembri ancor prematuro riconoscere con certezza influssi di architettura alessandrina, che pure sono largamente ammessi fuori di Egitto, è da avvertire che in taluni casi il problema di tali influssi già si pone còn una certa chiarezza per ragioni di rapporti politici (per es. nel caso dell'Arsinoeo e della Porta di Tolomeo di Samotrace o in quello del Palazzo di Tolemaide di Cirenaica) o di richiami di forme architettoniche (per es. nel caso di taluni ipogei di Cipro, della Palestina o di Napoli) (v. Alessandrina, arte).
Bibl: In generale e per la precedente bibl. si vedano le voci relative ad A. in: Pauly-Wissowa, I, 1894 (E. Puchstein); Enc. It., II, Roma 1929 (E. Breccia); A. Calderini, Dizionario dei nomi geografici e topografici dell'Egitto greco e romano, I, Il Cairo 1935; Enciclopedia Italiana, Appendice, I, Roma 1948 (A. Adriani). Nel dizionario del Claderini si troveranno anche raccolte tutte le notizie, i rinvii agli autori antichi e la bibliografia, relativi ai singoli monumenti e località ricordati dalla tradizione. Per le caratteristiche di A. come centro di cultura, d'arte e di commercio, v. la bibl. in A. Calderini, op. cit., p. 178 ss. e soprattutto le parti consacrate ad A. della grande opera di M. Rostovtzeff, Social and Economic History of the Hellenistic World, Oxford 1941. Cfr. anche Fr. Cumont, L'Egypte des Astrologues, Bruxelles 1937, p. 86 ss. Per i porti pre-ellenici, G. Jondet, Les ports submérgés de l'ancienne île de Pharos, in Mém. Inst. Egypte, 1916; K. Lehmann-Hartleben, Die antiken Hafenanlagen des Mittelmeres, in Klio, XIV, 1923, pp. 10, 134, 216.
Per la pianta della città antica, Mahmoud el-Falaki, Mémoire sur l'antique Alexandrie, Copenaghen 1872 (cfr. R. Martin, L'Urbanisme dans la Grèce antique, Parigi 1956, p. 116 ss.). Altri tentativi di ricostruzione della pianta della città, basati sempre sulle fonti o su queste e i dati di Mahmud el-Falaki sono dovute al Neroutzos, al Botti, al von Sieglin, al Kiepert e al Breccia (v. E. Breccia, Alexandrea ad Aegyptum, Bergamo 1922, figg. 24-27 e id., Enc., It., I, p. 306). Cfr. anche A. Adriani, Saggio di una pianta archeologica di A., in Ann. del Museo gr. romano, 1932-33, p. 53 e ss. Per le riserve espresse sul piano di el-Falaki, specialmente, D. G. Hogarth, in Egypt Explor. Fund, 1894-95, p. 17 ss.; A. von Gerkan, Griech. Städtanlage, Berlino 1924, p. 67 ss. Per il làgeion, A. Maricq, in Rev. Arch., XXXVII, 1951, p. 26 ss. Per la documentazione monumentale; D. T. Neroutzos, L'ancienne Alexandrie, Parigi 1888; D. G. Hogarth, op. cit., p. i ss. (scoperte degli anni anteriori alla fondazione e alla prima attività del museo di Alessandria). Per gli anni successivi le scoperte si trovano più o meno ampiamente e regolarmente registrate nel Bulletin de la Soc. Arch. d'Alex., 1898 e ss.; (G. Botti e E. Breccia), nei Rapports sur la Marche du Service du Musée, 1895-1922 (G. Botti e E. Breccia); in Le Musée gréco-romain, 1923-23, Alessandria 1924; 1925-31, Bergamo 1932; 1931-32, Bergamo 1933 (E. Breccia); in Annuario del Mus. gr. rom., 1932-33, Aless. 1934 (A. Adriani); in Annuaire du Mus. gr.-rom., 1933-35, Aless. 1936; 1935-39, Aless. 1940; 50, Aless. 1952 (A. Adriani) e in Bulletin de la Soc. Arch. d'Alex., XLI, 1957, pp. 1 ss. e 63 ss. (A. Adriani).
I risultati di alcuni scavi e studî eseguiti da una missione tedesca e finanziati da Ernest von Sieglin, negli ultimi anni del secolo scorso, furono pubblicati in una grande opera, Expedition Ernest von Sieglin, divisa in tre parti: I. Die Nekropole von Kom esch-Schukafa, Lipsia 1908 (Th. Schreiber ed altri); II. Die griech. ägypt. Samml. Ernest von Sieglin (a sua volta suddivisa in tre parti), Lipsia 1913 ss. (v. appresso); III. Ausgrabungen im Königsviertel und im Serapeum von Alexandria (rimasta inedita). Sugli scavi eseguiti dalla missione nei quartieri reali abbiamo tuttavia una preziosa relazione preliminare pubblicata da F. Noack, in Ath. Mitt, XXV, 1900, p. 215 ss.
Per altre scoperte nella stessa zona, A. Adriani, Annuario, 1932-33, p. 11 ss.; p. 53 ss.; id., Annuaire, 1935-39, p. 24 ss.; id., Sculture monumentali del Mus. gr.-rom. di A., Roma 1946; A. J. B. Wace, Journ. Hell. St., XLV, 1945, p. 106 ss.; id., in Univ. Faruk I, Bull. Fac. of Arts, V, 1949, p. 151 ss. Per i materiali architettonici, E. Breccia, Alex. ad Aeg., Bergamo 1922, p. 90 ss.; p. 200 ss.; p. 208; K. Ronczewski, in Bull. Soc. Arch. Alex., n. 22 (suppl.) 1927; A. Adriani, in Annuaire, 1935-39, p. 45 ss. Per il Caesareum e i suoi obelischi: I. King, Cleopatra's Needle, Londra 1884; C. E. Meldencke, The New York Obelisk, New York 1891; E. Sjöqvist, in Opuscula romana, I, 1954, p. 86 ss. Per le tavolette di fondazione del tempio d'Iside e Serapide al centro della città lungo la via Canopica e per quelle del Serapeo, A. Rowe e E. Drioton, Annales du Serv. d. Antiq., Cahier, 2, 1946. Per le necropoli reale, oltre lo studio fondamentale di H. Thiersch, in Jahrbuch, XXV, 1910, p. 55 ss., v. la bibliografia raccolta nel dizionario del Calderini (p. 149, v. s. v. σςμα); A. Adriani, in Annuaire, 1935-39, p. 55 ss.; E. Breccia, Egitto greco e romano, Napoli s. d., p. 3 ss.; A. J. B. Wace, Univ. Faruk I, Bull. Fac. of Arts, II, 1944, p. 6; A. Lane, ibidem, V, 1949, p. 151 ss.; M. L. Bernhard, in Rev. Arch., XLVII, 1956, p. 129 ss. Per l'architettura funeraria, R. Pagenstecher, Nekropolis, Lipsia 1919 (studio critico d'insieme sulle necropoli alessandrine). In particolare: 1) Per i cimiteri orientali a cielo scoperto, per ultimo A. Adriani, in Annuaire, 1935-39, p. 65 ss. e p. 128 ss. (qui, cronistoria delle scoperte dal 1871 al 1939); id., in Annuaire, 1940-50, p. 8 ss. 2) Per le tombe a camera, R. Pagenstecher, Nekropolis, p. 97 ss., e per ultimo A. Adriani, in Annuaire, 1933-35 (La nécropole de Moustafa Pacha), 1935-39, p. 124 ss.; 1940-50 (Nécropoles de l'île de Pharos) e in Bull. Soc. Arch. Alex., 41, 1955, p. 49 ss. (Ipogeo dipinto della Via Tigrane Pascià). Per le tombe circolari (dei Mercenari e altre), R. Pagenstecher, Nekropolis, p. 15 ss.; id., in Am. Journ. Arch., XIII, 1909, p. 405 ss.; A. Adriani, in Annuaire, 1935-39, p. 88 ss. Per la tomba di alabastro, A. Adriani, in Annuaire, 1935-39, p. 15 ss. Per le grandi catacombe del Wardian, per ultimo, R. Pagenstecher, Nekropolis, p. 134 ss.; Fasti Arch., VI, 1953, n. 3462. Per quelle di Kôm el-Shogafa, oltre la grande pubblicazione dello Schreiber già ricordata, R. Pagenstecher, Nekropolis, p. 142 ss.; A. Rowe, in Bull. Soc. Arch. Alex., XXXV, 1942, p. 3 ss.
Per il Faro, H. Thiersch, Pharos, Lipsia 1909; G. Reincke, in Pauly-Wissowa, XIX, cc. 1867-869, s. v. Pharos; Ch. Picard, in Bull. Corr. Hell., LXXVI, 1952, p. 161 ss. Per lo Stratopedon, A. Calderini, Dizionario, p. 148. Per il c. d. Thesmophorion e le sue statue, A. Calderini, Dizionario, p. 115 e B. van de Walle, in Chronique d'Egypte, 1949, p. 19 ss. Per il tempietto romano di Ras el-Soda, A. Adriani, in Annuaire, 1935-39, p. 136 ss.
Nessuna casa è stata trovata nel circuito della città di Alessandria; ma la casa alessandrina può essere studiata nei riflessi che essa ha avuto sulle tombe a camera, sulle abitazioni della provincia, nonché attraverso i dati della tradizione scritta: Fr. Luckardt, Das Privathaus im ptol. u. röm. Aegypt., Giessen 1914; A. R. Schütz, Der Typus d. hell.-aegypt. Hauses, Würzburg 1936; I. Noshy, The Arts in Ptol. Egypt, p. 54 ss. Per la basilica e il santuario di Hermopolis Magna, di cui curerà la pubblicazione A. J. B. Wace, v.: Journ. Hell. Stud., XLV, 1945, p. 109; Opuscula romana, I, 1954, p. 95 ss.; Bull. of the Fac. of Arts Faruk I Univ., III, 1947, p. 1 ss. Per gli edifici di Samotrace: H. Thiersch, Pro Samotrake, in Sitzb. Akad. Wiss. Wien, 1930, p. 212 ss. Per gli ipogei di Napoli, Cipro, Palestina, A. Adriani, in Annuaire, 1933-35, pp. 67, 78 e passim. Per il Palazzo di Tolemaide, G. Pesce, in Il "Palazzo delle Colonne" di Tolemaide di Cirenaica, Roma 1950.
(A. Adriani)
7. Personificazione. - La personificazione della città di A. appare per la prima volta, come figura femminile con un copricapo di pelle di elefante e indosso un corto chitone con doppio peplo, spighe nella destra, un vessillo nella sinistra (a volte solo un vessillo o uno scettro), su monete posteriori ad Alessandro Magno. In altre monete A. è rappresentata dalla Tyche della città, una figura femminile indossante lungo chitone e peplo, con corona turrita sul capo, un timone ed una piccola statua di Iside Pharia in mano. Un terzo tipo mostra A. con chitone e peplo, cornucopia (talvolta spighe) in una mano ed un timone nell'altra, fra due figure recumbenti (una delle quali caratterizzata come il Nilo) ed una nave sullo sfondo.
Il tipo di A. con il copricapo di pelle di elefante lo troviamo spesso durante il periodo imperiale romano su monete di Nerone, Otone, Vespasiano, Antonino Pio, Alessandro Severo, Giulia Mamea. Il tipo in cui A. è raffigurata come la Tyche appare in monete di Emilio Lepido nelle quali la città è rappresentata da una testa femminile con corona turrita e adorna di orecchini e collana. Nelle monete di Adriano, A. si presenta sotto due aspetti: nel primo la città porta gli attributi geografici e commerciali (figura femminile giacente con chitone e himàtion, appoggiata contro un cesto d'uva, con un mazzo di racemi nella sinistra e spighe nella destra, mentre spighe fioriscono dal suolo, cioè con attributi molto simili a quelli di Aegyptus, v.); il secondo, solo nei denari, in cui la personificazione della città accentua il proprio carattere religioso; A. porta tutti gli attributi del culto di Iside: lo himàtion che lascia scoperta la parte destra del petto, il sistro, la tazza contenente il serpente sacro (uraeus). In un sestertius del British Museum celebrante l'adventus di Adriano che visitò la città tra il 130 ed il 131 (Spart., Vita, 20, 2, 12, 1) vediamo A., con un chitone ed un himàtion raccolto sulla spalla destra e il cui lembo inferiore passa sotto il ginocchio, con nella sinistra un oggetto non ben identificato (uno scorpione? una borsa ? la situla per trasportare l'acqua del Nilo?). Nelle monete di Antonino Pio A. ha nella sinistra un uccello (ibis? cicogna?) e nella destra una corona. In altre monete dello stesso imperatore, la personificazione è vista di profilo, avanzante verso destra con un fiore di loto sulla fronte ed una corona in mano; davanti a lei è un coccodrillo, dietro di lei fioriscono tre spighe di grano. In una moneta di Diocleziano, A. tiene il busto di Serapide nella destra ed uno scettro nella sinistra.
Nel campo della statuaria va ricordata una figurazione di A. al British Museum, con chitone a maniche corte e himàtion, sandali e copricapo molto elaborato. La mano destra è restaurata; nella sinistra ha una situla, che ricorda l'acqua del Nilo. Una statuetta bronzea, pure al British Museum, ha le stesse caratteristiche. Nella Casa del Meleagro, a Pompei, A. è raffigurata in un affresco insieme alle personificazioni dell'Asia e dell'Africa.
Un mosaico del museo di Alessandria, firmato da Sophilos, la mostra coronata dalla prua di una nave e con la barra d'un timone dietro le spalle (v. p. 229), e il busto di A. compare su un mosaico da Alicarnasso al British Museum.
Bibl: Monete post-alessandrine: Cat. Greek Coins in the British Museum, Alessandria, p. lxxxiii, tav. XXIV, 998, 1687, tav. XXVIII, 868, 244; b) tav. XXIV, 1000; cfgr. XVI, XXV; con molte varianti b. 1684, 1989, 2032, 2982, 1532; c) tav. XXIV, 1173. Moneta di Lepido: H. A. Grueber, Cat. Coins of the Roman Republic in the Brit. Mus., I, Londra 1910, p. 449; III, tav. XLVI, 9, 10. Monete imperiali: Cat. Brit. Museum, Alessandria, Nerone tav. XXIV; Vespasiano tav. XXIV, 244; Antonino Pio n. 998; Alessandro Severo n. 1687; Giulia Mamea 1756, Adriano tav. XXVII, 868, 870; L. Forrer, The Weber Collection, Londra 1912-29, III, parte II, Otone tav. CCCVII n. 8113, Vespasiano tav. CCCVIII n. 8317; Adriano n. 8340. Monete adrianee: Mattingly-Sydenham, The Roman Imperial Coinage, II, Londra 1930, p. 374, n. 300 tav. XIII, n. 267; p. 446, nn. 843, 844; p. 376, nn. 317, 318, pp. 451-452, nn. 876, 87; Antonino Pio: ibidem, III, pp. 104, 105, 106, nn. 577, 578, 593, tav. V, n. 100. Moneta di Diocleziano: T. Forrer, Weber Collection, tav. 311, n. 8406. Statua al Brit. Museum: J. M. C. Toynbee, The Hadrianic School, Cambridge 1934, pp. 39-47 e passim, tav. XXIII, 3. Statuetta bronzea: Percy, P. Gardner, in Journal Hell. Stud., IX, 1888, p. 47, tavv. V. Affresco pompeiano: G. E. Rizzo, Pittura ellenistico-romana, Milano 1929, p. 47, tav. LXXXIII.
(L. Rocchetti)