ALESSANDRINISMO
. Stile o maniera artificiale, dotta, raffinata, simile a quella considerata caratteristica della letteratura, specialmente della poesia, greca, che fiorì ad Alessandria sotto i Tolomei.
La poesia classica era stata poesia occasionale; Teocrito, Callimaco, invece, scrivono idillî, inni, prescindendo da effettive circostanze religiose o politiche o civili della vita reale, creano atmosfere e quadretti secondo il libero talento della loro fantasia, rivivono dottamente ispirazioni del passato, con un mero intento letterario. Onde il loro atteggiamento di distacco, e, in Teocrito, la grazia un po' ironica che s'accompagna alla riesumazione di ciò che è arcaico; onde il carattere di solenne mascherata che assumono i modi degl'inni omerici, ripresi da Callimaco per celebrare le persone e i fasti della corte tolemaica, e sulle orme di Callimaco da Teocrito nell'Encomio di Tolomeo. Il sostrato religioso a cui si appoggiavano questi poeti era deliberato, artificiale; come rifacevano Omero, cercavano di galvanizzare a nuova vita i numi d'Omero; ma quel che sentivano era il culto piuttosto che il nume, il simbolo piuttosto che il mito, finché il più tardo ellenismo svolgerà un complesso sistema di simboli, trasponendo tutto il mondo mentale su un piano allegorico. Avvenuto il distacco dal mito, evidente è l'artificialità del simbolo; il rito è tutto, l'arte si studia di rendere la solennità col magistero dello stile, stile atteggiato, sequela di gesti soavi e precisi, in una parola, manierismo: l'elevazione della chioma di Berenice (nel carme di Callimaco) al pantheon della religione di stato s'accompagna con una dose di etichetta, di cerimoniale. Anche lo stile risponde alle leggi d'un rituale: il poeta accarezza, forbisce gli strumenti della sua espressione, configura le immagini in una cristallina emblematica, le incastona come gemme o cammei nell'oro fino del verso. Onde i technopaegnia, o giochi d'arte, poemetti dai versi disposti in forma di zampogna (Teocrito), di altare (Dosiada), di uovo, di ali, di scure (Simmia da Rodi); onde, anche, la concezione della poesia come pittura e la fomiula ut pictura poësis, la predilezione per rappresentare ogni cosa agli occhi, che si riscontra anche nei romanzieri d'età imperiale (Longo Sofista, Eliodoro, Achille Tazio, ecc.), la voga di quelle elaborate descrizioni che vogliono gareggiare in evidenza con la cosa descritta (le ἐκϕράσεις), la creazione di quel piccolo e raffinato strumento che è l'epigramma, atto a fissare in un quadretto o in un fiore di arguzia una fuggevole ispirazione di breve respiro, strumento confacente alla vita sfaccendata d'un letterato elegante e cortigiano.
La civiltà ellenistica, di cui Alessandria fu uno dei principali centri d'irradiazione, si diffuse per tutto il mondo mediterraneo e il suo retroterra, fino all'Afghānistān, al Panjab e a Giava: i tipi, le proporzioni e gli schemi ellenistici, il modo ellenistico di spazieggiare e di disporre influirono sull'arte di tutti i paesi entro questa sfera d'influenza (si pensi alla scultura Gupta); analogamente ellenistica fu l'impronta lasciata dall'antichità sulle letterature occidentali. E come ellenistica per la più parte era la statuaria antica che servì di modello nel Rinascimento e nell'età neoclassica, così ellenistici furono i più diffusi modelli letterarî nel Medioevo e nel Rinascimento: si pensi alla enorme fortuna di Ovidio e dell'Antologia Palatina: la divulgazione di quest'ultima, iniziatasi fin dallo scorcio del sec. XV, poté molto a dare un indirizzo concettistico alla letteratura del Seicento. Fenomeni della tarda Rinascenza come l'eufuismo, l'arguzia concettosa, le elaborate trame dei romanzi, in letteratura, e la magniloquenza eroica di guerrieri corazzati all'antica, ingioiellati di cammei, il gusto per il cangiantismo, per le pietre dure, per le rarità pretensiose nell'arte, risalgono direttamente all'alessandrinismo dei modelli, che facilmente poteva acclimatarsi in ambienti cortigiani che in certo modo riflettevano l'antico splendore della corte dei Tolomei. Torquato Tasso nella canzone per l'infermità di Eleonora d'Este, e in quelle in morte di Barbara d'Austria, John Donne negli Anniversaries in morte della giovinetta Elizabeth Drury, sono alessandrini nel pieno senso della parola, anche per quel loro divinizzare il personaggio cantato, fino a vedere, come fa il Donne, addirittura nella morte d'una quindicenne il segno d'un nuovo cataclisma universale.
Ma l'influsso diretto dell'alessandrinismo classico può anche seguirsi fino nella poesia di un Alexander Pope, dal momento che egli portò a perfezione quel distico eroico che, sotto l'influsso di Ovidio e degli epigrammi, s'era venuto configurando già fin dal Seicento in schemi antitetici. E se in letteratura era d'origine alessandrina tutta la simbologìa erotica con i suoi vezzosi e scherzanti amorini (chi più alessandrino, in molte cose, di Ronsard?), e tutta l'emblematica di Heinsius, di Vaenius e seguaci, in arte le scoperte delle antichità di Ercolano nella seconda parte del Settecento dettero nuovo incentivo a questo gusto europeo già da lungo tempo saturo di alessandrinismo. Quegli amorini che guidavan cocchi tirati da cigni o da delfini o da grifi, quei genî alati che si esercitavano al ballo o al suono, o facevan giochi puerili, o s'applicavano a varie arti e mestieri, o recavano simboli e strumenti, dischi, canestri, bacili, tirsi, erano in tutto simili alla falange che avevano creata gli emblematisti, soprattutto olandesi. I motivi ellenistici che l'Europa aveva già conosciuto per altro tramite e sfruttato fin dall'Umanesimo, li riscopriva nella seconda metà del Settecento nelle vivaci pitture di Ercolano. I cui sfondi architettonici, le cui immagini di mobili, suggerirono il nuovo gusto d'arredamento che fu codificato da Percier e Fontaine nel Recueil de décorations intérieures.
Se nei casi che sono stati citati la discendenza diretta dai modelli alessandrini è evidente, più sottile e capziosa può riuscire l'applicazione del termine "alessandrino" a ogni artista che per concettosità, artificiosa elaborazione, compiacimento in particolari esornativi, e in genere ispirazione squisitamente erudita e libresca faccia pensare ai poeti della corte dei Tolomei; basterà ricordare alcuni evidenti esempî. Il Foscolo delle Grazie appartiene a quella fase del neoclassicismo che va appunto sotto il segno della grazia, e, curiosamente parallela al manierismo del Cinquecento, rivela assai chiaramente la sua origine alessandrina. Walter Savage Landor, autore di epigrammi, sia di quegli epigrammi veri e proprî per cui egli è un tardo fiore sbocciato sulla corona di Meleagro, sia di quegli epigrammi più vasti che sono le Imaginary Conversations, ove un effetto analogo si consegue mettendo a fronte due persone anziché due parole o due concetti, è un alessandrino. E alessandrino può chiamarsi il Tennyson per il suo atteggiamento di fronte alle leggende eroiche, per quel suo far ragionare le sue Enid e le sue Elaine come compite misses vittoriane, a quel modo che Callimaco e Teocrito portavano gli dei e gli eroi al livello di quella società di parvenus che era la società alessandrina; e anche per l'erudita squisitezza dei suoi versi, per il sofisticato colorito popolaresco e sentimentale di poemetti come Enoch Arden; e del resto il Tennyson sentì i suoi legami con i poeti della corte dei Tolomei, scrisse "idillî", s'ispirò a Teocrito in Oenone, e a Virgilio: Virgilio che fu, in parte, un romano Teocrito, come Tennyson fu, in parte, un Virgilio redivivo.
E continuando questa rassegna, si potrebbero nominare tra gli alessandrini inglesi Robert Bridges, che riflette splendori di Lucrezio e di Milton, e tratta con squisita maestria nuove forme di verso (soprattutto si pensi al Testament of Beauty) e il romanziere George Moore, che in un gruppo di romanzi (The Brook Kerith, Héloïse and Abélard, Aphrodite in Aulis) sotto l'influsso di Longo Sofista circonfonde i suoi temi d'una maliosa atmosfera pastorale, tra le cadenze d'una prosa soave, frutto d'un paziente lavoro di lima; tra gli alessandrini francesi Lecomte de Lisle, Heredia, e i parnassiani in genere, nonché il loro precursore Louis Ménard; tra gl'italiani il D'Annunzio dell'epoca "bizantina" (il bizantinismo stesso, del resto, non è che ellenismo o alessandrinismo medievale), il Pascoli dei Poemi conviviali.
Bibl.: A. Rostagni, Poeti alessandrini, Torino 1916; R. Hinks, Myth and Allegory in Ancient Art, Londra 1939; J. Hutton, The Greek Anthology in Italy to the Year 1800, Ithaca, Cornell University Press, 1945; id., The Greek Anthology in France and in the Latin Writers of the Netherlands to the year 1800, ivi 1946; M. Praz, Studî sul concettismo, 2ª ed., Firenze 1946; S. L. Wolff, The Greek Romances in Elizabethan Prose Fiction, New York 1912.