ALLORI, Alessandro
Pittore, nato a Firenze il 31 maggio 1535 da Cristofano di Lorenzo, spadaio, e da Dianora Sofforom. Ebbe i fondamenti dell'arte da Agnolo Bronzino, amico di suo padre, che alla morte di questo (1540) divenne amorevole protettore di lui e di tutta la sua famiglia (è errata tradizione che il Bronzino fosse suo zio). La collaborazione col maestro, documentata per i fregi degli arazzi nel Salone dei Dugento a Palazzo Vecchio (1549-1553), e, molto più tardi, per la Trinità affrescata nella cappella dei Pittori all'Annunziata (1567-71), non è stata ancora sistematicamente indagata specie nei tardi ritratti del Bronzino. Ma il suo forte influsso è evidente, più che nell'autoritratto giovanile dell'A. (Uffizi), nel bellissimo ritratto di Caterina Soderini Ginoni, tuttora presso la famiglia, che si pone intorno al 1560, e lo sarà ancora in altri eseguiti negli anni successivi per la famiglia Medici e fino in quello di Lucrezia Minerbetti,ora al Seminario di Venezia, che è del 1580. E del resto l'A. fu sempre cosciente del debito di gratitudine verso il suo maestro se nelle firme usava aggiungere il nome di lui al proprio: "alunnus Bronzini", "Alessandro del Bronzino" e, dopo la morte del Bronzino, "Alessandro Bronzino-Allori".
Sono perduti i ritratti eseguiti per la famiglia Montauti durante il soggiorno dell'A, a Roma (tra il 1554 e il 1559). Ma la portata di questo apprendimento romano appare nella prima opera datata a Firenze: la decorazione della cappella già di Bastiano Montauti alla Annunziata (1560: pala d'altare col Giudizio finale; affreschi alle pareti Cristo fra i dottori e Cacciata dei mercanti dal tempio; sul soffitto Profeti e Sibille). Qui l'euritmico purismo formale bronziniano si gonfia e si intorbida nell'imitazione spinta fino alla copia delle iperboliche forme del Giudizio di Michelangelo e nella retorica copiosità figurativa della "bella maniera"d'indirizzo raffaellesco. L'A. ne sarà, col Vasari, fra i più attivi divulgatori a Firenze, dove intanto s'affermava, collaborando nel 1564all'apparato per le esequie di Michelangelo e nel 1565 a quello per le nozze di Francesco I e di Giovanna d'Austria. Membro (1563) della Accademia del Disegno, incominciava a scrivere nel 1565 il Dialogo sopra l'arte del disegnare le figure, (pubbl. a Firenze probab. nel 1590), che ha tra gli interlocutori il Bronzino. L'imitazione michelangiolesca, ancora dominante nella Deposizione ora al Prado, copiata da un disegno del Bandinelli, cede nelle due tavolette con la Pesca delle perle e il Convito di Cleopatra, dipinte tra il 1570 e il 1571 per lo Studiolo di Francesco I in Palazzo Vecchio, alla eleganza di ritmi e al vivido cromatismo bronziniano. Ne deriverà la fantasiosa interpretazione della "maniera", spogliata da ogni enfasi per un più sottile, quasi melodrammatico, lirismo che egli mostrerà dipingendo per la famiglia Salviati, oltre ad opere oggi disperse, la decorazione del palazzo in via del Corso con Storie dell'Odissea in una loggia, della Batracomiomachia in un salone, di S. Maria Maddalena nella vicina cappella (1579-82). La stessa freschezza d'ideazione e di tocco si ritrova nei soffitti a delicate grottesche e storiette che egli dipinse, con i suoi scolari, per il primo corridoio degli Uffizi e per le salette adiacenti intorno al 1581. Dal 1576 in poi forniva cartoni per gli arazzi della manifattura medicea, con soggetti mitologici (Storie di Latona, di Fetonte, dei Centauri) o sacri (Storie della Vergine per S. Maria Maggiore a Bergamo, della Bibbia per il duomo di Como, della Passione, nel terzo corridoio degli Uffizi). E queste sue smaglianti qualità decorative si spiegano nei grandi affreschi coi quali, tra il 1579 e il 1582, egli proseguì la decorazione del salone nella villa medicea di Poggio a Caiano (Figure allegoriche sopra le porte e le finestre, Giardino delle Esperidi nel lunetrone di fronte a quello affrescato dal Pontormo e, inoltre, alcune composizioni storiche).
Artista ufficiale della corte, salito in grande notorietà, egli, coi suoi scolari, esercita ora un'attività vertiginosa. Innumerevoli si succedono le opere, quasi tutte datate, e da lui fedelmente registrate, dal 1579 al 1584, nel Libro dei ricordi (edito da I. Supino, in Bibl. della Rivista d'arte, II, Firenze 1908), dove si legge come, frattanto, alla sua vaga interpretazione della maniera subentrino ricerche di unitarietà luminosa e pittorica già annunciatesi nel tardo Bronzino, e permanentemente ostacolate dalla sua puristica precisione disegnativa. Un viaggio a Roma, nel 1581, dove simili intenti già preludevano all'imminente rinnovamento caravaggesco, non poteva che confermarlo in questa strada il cui procedere si può seguire nelle sue opere.
Ne indichiamo alcune dal catalogo dato dal Venturi e dal Gamba; i Santi Martiri del 1574 e l'Adultera del 1577 in Santo Spirito; la Madonna e Santi del 1574, ora all'Accademia, come l'Annunciazione del 1579; gli affreschi e la pala nella Badia di Passignano (1579-80); il Cenacolo oggi nell'Accad. Carrara a Bergamo (1582); la Resurrezione per il Carmine di Pisa (1581); la Madonna in gloria nella chiesa di Olmi in Mugello, dov'era anche il bel ritratto a fresco di Bianca Cappello ora agli Uffizi (1584). Ma nell'arida macchinosità di queste opere tornano spesso, specie in certi inserti di natura morta, vive reminiscenze dei luminosi valori cromatici bronziniani. Così nel Miracolo della manna che l'A. affrescò nel 1597 nel refettorio di S. Maria Novella intorno alla tela col Cenacolo del 1581-84. E questa innata sensibilità pittorica, per quanto sempre avulsa da ogni approfondita indagine del reale, avviverà di particolati sentiti con un gusto quasi fiammingo della materia le opere degli ultimi anni, come il S. Giacinto in S. Maria Novella (1592), l'Incoronazione della Vergine all'Accademia di Firenze (1593), la Resurrezione di Lazzaro in S. Francesco di Pistoia (1594), mentre vani restano i suoi sforzi, visibili in certi quadretti (Noli me tangere del 1590, di proprietà Volpi di Misurata; S. Pietro che cammina sulle acque del 1596 agli Uffizi, il Sacrificio d'Isacco del 1601 pure agli Uffizi), verso il linguaggio totalmente pittorico del Correggio e dei Veneti. Quella percezione di valori resterà il suo apporto positivo al superamento della maniera che, mentre altrove era già in atto la riforma del Caravaggio, doveva dare a Firenze l'aggraziato, arcaicizzante naturalismo di Santi di Tito e dell'Empoli. E in questo movimento terranno un posto onorevole le sue opere più tarde come la Natività della Vergine in S. Maria Nuova a Cortona (1595); a Firenze, il S. Fiacre in S. Spirito (1596), la Natività della Vergine all'Annunziata (1602), la squisita piccola Annunciazione all'Accademia (1603), le Nozze di Cana in S. Agata (1606).
L'A., già sofferente di gotta, morì a Firenze il 22 sett. 1607, dopo che aveva tenuto nel 1605-06 la carica di podestà di Cascina.
Bibl.: G. Vasari, Le Vite... con nuove annotazioni e documenti di G. Milanesi, Firenze 1878-81, VIII, p. 606 e passim; R. Borghini, Il Riposo, Firenze 1584, pp. 623-631; A. Fumo, La vita e le rime di A. Bronzino, Pistoia 1902, DD. 27-30; C. Gamba, A proposito ds A. A. e di un suo ritratto, in Riv. d. R. Ist. di archeologia e storia dell'arte, I, 2 (1929), p. 265 (con catal. delle opere); U. Middeldorf, A. A. e il Bandinelli, in Riv. d'arte, XIV (1932), p. 483; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 6, Milano 1933, pp. 76-115 (con bibl. e catal. di opere); Mostra del Cinquecento toscano, catalogo, Firenze 1940, pp. 45 s., 57, 59 s., 144; P. Bargellini, Le pitture di A. A. nel Palazzo Salviati da Cepperello, Firenze 1953; M. Gregori, in Catalogo della Mostra del Cigoli e del suo ambiente, S. Miniato 1959, pp. 195 s.; L. Berti, A. A. Note brevi su inediti toscani, in Bollettino d'arte, XXXVIII (1953), pp. 280 s.; D. Heikamp, Arazzi a soggetto profano su cartoni di A. A., in Riv. d'arte, XXXI (1956), pp. 105-155; U. Thieme F. Becker, Allgem. Lexikon der bildenden Künstler, I, pp. 319-321 (con ulteriore bibl.); Encicl. Ital., II, pp. 557 a.; U. Galetti-E. Camesasca, Encicl. della pittura ital., pp. 39 s.