BRACCESI (Braccese, Bracci, Braccio, Braccia; Braccius, de Braccesis, Brachiensius), Alessandro
Nacque a Firenze il 10 dic. 1445 (Arch. di Stato di Firenze, Tratte, 41, f. 217) da Sandra e Rinaldo d'Alessandro di Santi. Primo di quattro figli, dovette ben presto provvedere al sostentamento dell'intera famiglia che versava in condizioni economiche precarie. In una lettera scritta da Siena a Piero de' Medici il 23 genn. 1493, il B. - dopo aver osservato che "è mala et aspra cosa nascere di poveri parenti, nam haud facile emergunt quorum virtutibus obstat res angusta domi" - ricorda che nella sua gioventù dovette sobbarcarsi al peso "rei familiaris col padre et madre vecchi et infermi et con maritare due sorelle col proprio sudore senza patrimonio o substantie paterne". Insieme con il fratello Giovanni fu avviato alla professione notarile, che esercitò dal 1467 fino alla morte, come risulta dai nove volumi di protocolli notarili (Archivio di Stato di Firenze, Notarile B 2317-2325), che comprendono tutti gli atti che egli redasse durante la sua permanenza a Firenze per singoli cittadini o per istituti ecclesiastici.
Il notariato aprì al B. l'accesso alle cariche pubbliche e alla vita politica. Già da alcune lettere del Michelozzi del 1465 (pubblicate da C. Marchesi, Bartolomeo Della Fonte, Catania 1900, pp. XXII ss.) risulterebbe che il B. prestava la sua opera - probabilmente come praticante - nella cancelleria della Repubblica ed era in diretto contatto e in buoni rapporti col cancelliere Bartolomeo Scala.
Col passar del tempo il suo nome compare sempre più spesso negli elenchi degli ufficiali eletti a cariche pubbliche. Prescindendo per ora dagli uffici più importanti, troviamo che il B. fu "notarius actuum Camere" per due mesi dal 7 dic. 1467 (Ibid., Tratte, 81, f. 165), notaio della Signoria durante i mesi di maggio e giugno 1474 (Tratte, 132, f. 179v), "notarius Stincharum" per sei mesi dall'8 ag. 1480 (Tratte, 82, f. 214), "notarius Turris" per sei mesi dal 17 apr. 1481 (Tratte, 82, f. 210), "notarius quinque Comitatus" per sei mesi dal 12 maggio 1488 (Tratte, 82, f. 217; 83, f. 182), "notarius Gabelle Portarum" per sei mesi dall'11 apr. 1491 (Tratte, 82, f. 211; 83, f. 179), "notarius Gabelle Pisarum" per sei mesi dal 19 apr. 1492 (Tratte, 83, f. 182v), "notarius Massariorum Camere" per un anno dal 1º marzo 1494 (Tratte, 83, f. 164) e "notarius Conducte et defectuum" per sei mesi dal 14 genn. 1497 (Tratte, 83, f. 183).
Il B. iniziò anche presto l'attività diplomatica, seguendo, in qualità di segretario, prima a Napoli e poi a Roma, dall'agosto 1470 al marzo 1471, gli ambasciatori fiorentini Iacopo Guicciardini e Pierfrancesco de' Medici, inviati da Lorenzo al re di Napoli e al papa per trattare, dopo la caduta di Negroponte, la costituzione di una lega italica contro i Turchi. Ritornato a Firenze, il B. dovette recarsi, verso la fine di ottobre del 1471, a Bologna e a Ferrara, ma non sappiamo in quale veste e per quali scopi. Notizie interessanti su questi viaggi e sull'attività svolta dal B. durante il biennio 1470-72 si ricavano - oltre che da alcune lettere al Michelozzi del fondo Ginori Conti della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e della raccolta di autografi di Tammaro De Marinis - da una silloge di lettere (ms. Auct. F.2.17, ff. 109-147, della Bodleian Library di Oxford) che contiene in copia circa un centinaio di lettere del B. o a lui indirizzate durante gli anni 1470-72. Queste lettere, scritte in latino, sono la prima testimonianza, giunta a noi, di una attività epistolare del B., il quale - com'era costume per chi intraprendesse la carriera notarile - dovette sin dall'infanzia coltivare, accanto agli studi giuridici, quelli di grammatica e di retorica.
Già il Michelozzi, nel 1465, dava lode al B. per la sua "admirabilis in scribendis litteris disciplina" e per la "copiosissima scribendi elocutio", cioè per la sua padronanza dello stile epistolare, che in parte doveva alla consuetudine di lavoro e alla guida del cancelliere Bartolomeo Scala. Le lettere del B., cui allude il Michelozzi, sono andate perdute, ma quelle che ci sono giunte della raccolta oxoniense, pur distinguendosi per una certa spontaneità di espressione, non sembrano avallare il giudizio entusiastico del Michelozzi, anche se, da un punto di vista contenutistico, offrono preziose testimonianze sugli avvenimenti politici del tempo e nuovi, interessanti particolari sulla biografia, gli studi classici, l'attività poetica e gli interessi culturali del B. e dei suoi corrispondenti. Il B. appare, tra l'altro, in contatto con vari esponenti della cultura umanistica (oltre che col Michelozzi e lo Scala, col Naldi, il Tridentone, il Campano, il Becchi, ecc.), ai quali talvolta fa anche pervenire (lo si ricava dalle lettere) delle poesie in latino, ricevendone ampi riconoscimenti ed elogi.
Il B. dovette iniziare assai presto a scrivere versi in volgare e in latino; ma è intorno al 1470 (negli anni cioè della corrispondenza col Michelozzi e in quelli immediatamente successivi) che la sua attività poetica andò intensificandosi, come si può facilmente arguire da uno studio cronologico delle poesie che confluirono nelle ampie raccolte, che il B. allestì proprio in quegli anni. Dotato di indubbie qualità personali, egli subì - come altri giovani della sua cerchia - il fascino che Cristoforo Landino esercitava come maestro di scuola e poeta. Non ci sono prove che il B. seguisse i suoi corsi universitari, ma è certo che a lui egli si ispirò nella composizione delle sue poesie latine, e che da lui derivò, in egual misura, l'interesse per le lettere e la poesia degli antichi e il culto per la tradizione poetica volgare.
Infatti una prima raccolta, che comprende soltanto poesie in volgare, fu allestita dal B. intorno al 1473. Ci è pervenuta nel codice Vat. lat. 10681. La raccolta è dedicata al giovanissimo conte Giovanni di Carpegna, signore di Montefeltro, ed è divisa in due sezioni: La prima (ff. 1-37v) consta di un canzoniere amoroso, che comprende tra sonetti, canzoni, sestine, capitoli, ecc. cinquantadue composizioni. Il poeta sviluppa concetti comuni alla lirica di imitazione stilnovistica e petrarchesca, ma - pur tra le inevitabili deficienze di un genere ormai abusato - dimostra garbo e misura, evitando eccessive sottigliezze o troppo arditi artifizi. Nella seconda sezione (ff. 38-115v) trovano invece posto duecento sonetti caudati, in cui il B., facendo la "bertuccia del Burchiello", ci dà il meglio di sé come poeta, rivelando notevoli doti di brio, freschezza e spontaneità. Passando dalla burla al sarcasmo e alla beffa, egli trova il modo di dar libero sfogo, in un linguaggio estroso di stampo popolaresco (in cui abbondano i giochi di parole, i doppi sensi e i motti furbeschi), al suo umore bizzarro e al suo vivace e attento spirito di osservazione, che gli fa scoprire negli assurdi e stravaganti casi della vita di ogni giorno motivi di riso e, talvolta, di amara riflessione. D'ispirazione affine sono i quattro gustosi canti carnascialeschi, che furono pubblicati per la prima volta a Lucca da Rinaldo Bracci da un codice di sua proprietà andato perduto. Di questi canti non si conosce la data di composizione, ma si dovrà ritenere che siano stati scritti dal B. negli stessi anni in cui andava componendo i suoi sonetti burchielleschi.
Qualche anno dopo - agli inizi del 1477 - il B. raccolse anche le sue poesie latine, dividendole in tre libri: un Amorum libellus, dedicato al mercante Francesco Sassetti, un Secundus libellus elegiarum ad amicos e un Epigrammatum libellus, dedicato a Lorenzo de' Medici. La raccolta ci è stata tramandata dal codice Laur. 91 sup. 40, cui si affianca, fornendo preziosi dettagli sulla formazione dei tre libri, il codice Ricc. 3021, che fu copiato dall'archetipo stesso del poeta, successivamente alla pubblicazione della silloge.
Il primo libro (che consta di ventinove elegie) è quasi interamente consacrato alla narrazione di una vicenda d'amore. Il B. rappresenta, con una certa efficacia e vivezza, le alterne vicende del suo amore per Flora, anche se l'influsso degli elegiaci latini, ma soprattutto l'imitazione della Xandra del Landino (che ormai era diventata il libro d'uso e il modello preferito dei poeti d'amore della Firenze medicea) si facciano sentire prepotentemente sia nell'invenzione di motivi e situazioni poetiche, sia nei continui prestiti linguistici e stilistici. Si tratta - sia nel caso dell'Amorum libellus che del Canzoniere volgare - di una storia amorosa condotta secondo prestabiliti moduli letterari, mentre più vari e interessanti da un punto di vista storico-ambientale sono il secondo e il terzo libro della silloge latina del B., che contengono rispettivamente dodici poesie (di cui nove elegie) destinate ad amici e sessantadue epigrammi. In questo genere di poesia, che richiede un minore impegno letterario, il B. rivela più schiettamente le sue doti umane e la sua abilità di versificatore, riuscendo a cogliere, con bonarietà e arguzia - soprattutto negli epigrammi - aspetti caratteristici della vita di ogni giorno. Le poesie sono dedicate a illustri personaggi della Firenze medicea (dal Michelozzi allo Scala, dal Landino al Verino, dal Naldi al Cennini, dal Poliziano al Ficino, ecc.), coi quali il B., ormai inserito nella società letteraria del tempo, intrattiene cordiali rapporti di amicizia, ricevendone plauso e incoraggiamento. Il libro degli Epigrammi è dedicato a Lorenzo de' Medici, ma stupisce constatare quanto siano discreti i riferimenti al Magnifico in tutto il canzoniere, e con quanta dignità - diversamente dai suoi coetanei - il poeta si tenga lontano da ogni forma di smaccata adulazione.
Di questi tre libri di poesie latine il B. curò poi, a circa dieci anni di distanza, una seconda redazione, che dedicò al quindicenne Guidobaldo di Montefeltro, e che ci è giunta nell'archetipo autografo (il codice Laur. 91 sup. 41) e nell'esemplare di dedica Vat. Urb. 741. I tre libri notevolmente ampliati (l'Amorum libellus portato a trentuno composizioni, il Liber secundus epistolarum ad amicos a ventiquattro, l'Epigrammatum libellus a settantatré) presentano sensibili modificazioni. Il B. ha eliminato o trasformato radicalmente alcune poesie della prima redazione, ne ha aggiunto delle nuove, ha modificato l'ordine che le poesie hanno nei singoli libri, trasferendone alcune da un libro ad un altro, ma soprattutto ha riveduto e corretto il testo della prima redazione, apportandovi delle variazioni di contenuto e di stile. In tronco invece è rimasta una seconda redazione del Canzoniere in volgare e dei Sonetti burchielleschi. In una sezione del già citato zibaldonearchetipo Laur. 91 sup. 41 figurano, infatti, trascritte di mano del B., tutte le poesie che facevano parte del canzoniere tramandatoci dal Vat. lat. 10681, seguite da altre diciannove, che il poeta compose successivamente, con l'intento di arricchire la raccolta in vista di un'eventuale nuova edizione. E, analogamente, in un fascicolo mutilo, venuto a far parte del codice Ricc. 2725, si ritrovano, disposti in un nuovo ordine e con ritocchi del testo, circa la metà dei sonetti burchielleschi che componevano la vecchia raccolta, e intercalati ad essi altri trentacinque, che il B. compose successivamente alla pubblicazione dell'edizione dedicata al conte di Carpegna.
Il volgarizzamento, anzi rifacimento, dell'Historia de duobus amantibus di E. S. Piccolomini conclude questa felice stagione letteraria del Braccesi. L'opera, che venne dedicata al giovanissimo Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici fu composta, come risulta dal proemio, nel 1478 o 1479, in tempi "noiosi e gravi per più rispecti et specialmente per la alteratione et spavento che ne dà la peste".
Il B., già "cogli anni presso a mezzo giorno", ma ancora sensibile ai pensieri e casi d'amore, si prefigge con questo volgarizzamento di far cosa "utile e grata" agli amanti, i quali, ammaestrati dai casi di Eurialo e Lucrezia (i due personaggi del romanzo del Piccolomini), impareranno "in che modo ne' loro ardori si habbino a gubernare". Per rendere la storia più gradevole e meglio accetta ai lettori, egli non userà "l'officio del buono et fedele traduttore", ma rielaborerà il testo dei Piccolomini, sostituendo "molte parti poco accomodate al dilettare" con episodi di propria invenzione più consoni al fine propostosi. Il B. ha per esempio mutato radicalmente il finale, dando alla vicenda (che si concludeva con la morte di uno dei due innamorati) un esito lieto, ed ha inserito nel contesto narrativo, attribuendoli ad Eurialo, otto sonetti di sua composizione. Il volgarizzamento in questa forma ci è pervenuto soltanto nel codice di dedica Ricc. 2094, ma poco dopo il B. preparò una seconda redazione, che presenta varie modificazioni nel testo e l'aggiunta di partì nuove (sei poesie, ad esempio, di cui quattro già figuravano tra le poesie d'amore del Canzoniere in volgare). Questa nuova redazione fu data alle stampe a Milano tra il 1481 e il 1483, ed ebbe un grande successo, come appare dall'alto numero di ristampe che se ne fecero durante i secoli XV e XVI.
Alle soglie degli anni '80 il B. ebbe accesso a magistrature più impegnative, e fu molto probabilmente lo Scala ad agevolargli la carriera e a volerlo suo stretto collaboratore. Da documenti dell'Archivio di Stato di Firenze risulta, infatti, che il B. venne eletto il 14dicembre dell'anno 1479 (accanto allo Scala che fungeva da primo segretario) "secundus cancellarius Dominorum" col compito di "rogare et scribere litteras inter iurisdictionem Comunis Florentini scribendas" (Dieci, Delib., 21, f. 140v). Successivamente, il 24 marzo 1480, fu eletto cancelliere dei Dieci di Balia (ibid., f. 172v), e poi il 3 luglio e il 30 ottobre dello stesso anno (con salario fissato in data 29 settembre) notaio e "scriba" degli Otto di Pratica (Otto, Delib., 1, ff. 3, 10, 15). Con la riorganizzazione della Cancelleria, avvenuta nel novembre-dicembre 1483, il B. fu nominato il 5 dic. 1483 tra i sei segretari della Repubblica, con le mansioni indicate dalla delibera del 31 dicembre dello stesso anno, e scaduto dopo tre anni il mandato fu riconfermato nello stesso ufficio per un altro anno, a decorrere dal 1º genn. 1487, con deliberazione del 22 dic. 1486. Spirato questo termine, in seguito a un nuovo riordinamento della Cancelleria, il B. fu destinato, con deliberazione del 22 genn. 1488, a dirigere insieme a Francesco Gaddi la cancelleria degli Otto di Pratica "ad negotia quae nuncupantur externa", ufficio che doveva aprirgli la via alle successive importanti missioni diplomatiche.
Ma prima di parlare di queste ambascerie, che occuparono gli ultimi dieci anni di vita del B., converrà accennare al volgarizzamento delle Storie di Appiano, che fu l'ultima sua fatica letteraria di un certo rilievo. In un primo tempo egli tradusse quattro libri delle Guerre esterne (puniche, siriache, partiche e mitridatiche), dedicandoli a Giovampaolo Orsini, poi, in un secondo momento, i cinque libri delle Guerre civili, che dedicò a Gentile Virginio Orsini, capitano del re Ferdinando d'Aragona.
I due volgarizzamenti non sono datati, ma poiché in una lettera da Siena a Niccolò Michelozzi del 9 dic. 1491 (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Ginori Conti, 29, 17, f. 20) il B. dice di aver portato con sé la traduzione delle Guerre civili per farla recapitare all'Orsini, di cui si attendeva il ritorno a Bracciano, bisognerà arguire che questa parte dell'opera fosse già pronta in settembre, quando il B. partì da Firenze per Siena, e che quindi il precedente volgarizzamento delle Guerre esterne risalga a qualche anno prima. Il B. non conosceva bene il greco e quindi fu costretto a servirsi della versione latina di Appiano di Pier Candido Decembrio. Nell'interessante lettera di dedica a Giovampaolo Orsini egli giustifica la sua fatica con il "fructo e diletto" che dalla lettura delle storie possono ricavare anche coloro che non conoscono le lingue classiche, dato che dalla storia "si cognosce... quanto in tutte le cose humane possa più lo ingegno et la virtù che la forza o la potentia, et quanto sia grande la temerità et ludibrio della volubile Fortuna". Il B. stesso curò la stampa delle Guerre esterne, che uscirono a Roma nel 1502; le Guerre civili invece furono edite per la prima volta soltanto nel 1519, a cura di G. Pandolfini.
Dalla lettera al Michelozzi ricordata ora s'è visto che il B. si trovava verso la fine del 1491 a Siena. Fu questa la prima delle sue ambascerie, e durò più di tre anni. A dire il vero già all'inizio del 1490 il B. era stato inviato da Lorenzo a Città di Castello come arbitro per una contesa di confini, ma si era trattato di una questione di scarso rilievo. Questa volta invece, nel caso di Siena, la posta che si trovava in giuoco era assai alta.
I rapporti tra Siena e Firenze non erano facili, anche se dal 1487 era ritornata al potere, con l'aiuto del Magnifico, la fazione filomedicea. In città serpeggiava il malcontento, e molti fuorusciti premevano sui Fiorentini, che si vedevano perciò costretti a una politica che non scontentasse né gli uni né gli altri. L'ambasciatore doveva destreggiarsi coi potenti oligarchi senesi, che per mantenersi saldamente in sella avevano assoldato il signore di Piombino, ma pretendevano, con ogni sorta di pressioni e di ricatti, di farlo stipendiare dai Fiorentini. Questa faccenda lunga e delicata mise alla prova l'abilità del B., che riuscì a procrastinare ogni impegno da parte fiorentina e a non disgustare i Senesi. Il signore di Piombino fu licenziato all'inizio del 1493, ma non per questo la situazione migliorò. Altre difficoltà si profilarono all'orizzonte (per es. il pericolo che i Senesi si accostassero al papa, il malumore dei cittadini verso i Fiorentini che proteggevano i Petrucci invisi alla maggioranza, ecc.), ed il B. ebbe non poco da faticare per tutelare gli interessi fiorentini in un ambiente così difficile.
Il B. rimase a Siena dal settembre 1491 ai primi del novembre 1494. Alla caduta dei Medici fu richiamato in patria e con delibera della Signoria in data 16 novembre rimosso dal suo ufficio di segretario (Sig.,Coll.,Delib., ord. aut., 96, f. 94v; Sig.,Coll.,Delib.,dupl., 26, f. 588v). Il provvedimento cautelativo ebbe però scarsa durata, perché già alla fine del 1494 il B. veniva restituito al suo ufficio, e poco dopo riprendeva le sue missioni diplomatiche. Fu inviato a Perugia in più riprese, dall'inizio del 1495 al luglio del 1496, per contrastare l'invadenza di Siena (rimasta fedele ai Medici) e dei fuorusciti fiorentini; sempre all'inizio del 1495 fece anche una capatina a Lucca per indurre quella città a lasciar passare le milizie assoldate dai Fiorentini per la guerra contro Pisa. Ma la missione più delicata gli fu affidata dalla Signoria il 3 marzo 1497. Papa Alessandro VI, per legare a sé Firenze in un momento in cui l'influenza del Savonarola in città si andava facendo sempre più profonda, aveva fatto sapere che si sarebbe adoperato per la restituzione di Pisa, se i Fiorentini si fossero staccati dal re di Francia e avessero accettato di far parte della Lega santa. Per trattare questo delicato problema (cui sin dall'inizio venne affiancandosi quello assai più spinoso della predicazione del Savonarola) fu inviato a Roma il B., non in qualità di pubblico oratore, ma come mandatario segreto, perché fosse di aiuto all'ambasciatore ufficiale Ricciardo Becchi.
Dalla fitta corrispondenza del B. coi Dieci possiamo seguire passo per passo le varie fasi della missione, che ebbe sin dall'inizio momenti burrascosi. Il B., infatti, sin dal primo abboccamento, fece presente al papa che i Fiorentini non erano disposti a ripudiare l'alleanza coi Francesi, né tanto meno a sconfessare il Savonarola. Ammiratore da tempo del frate - anche se non pare si possa riferire a lui un Salmo, che il B. aveva composto molti anni prima -, il B. si assunse più volte, con cautela ma decisamente, le sue difese al cospetto del papa, cercando di scagionarlo dalle accuse che gli venivano mosse e adoperandosi perché fosse assolto dalla scomunica, anche in vista del turbamento che ne sarebbe venuto alla città. Il B. cercò anche di accattivarsi alcuni cardinali (di Perugia, Capaccio, ecc.), vigilando nello stesso tempo sui movimenti di Piero de' Medici, che non aveva rinunciato all'idea di rientrare da padrone a Firenze. Dai verbali dei processi e interrogatori del Savonarola e dei suoi collaboratori si rileva che il B., sia direttamente, sia per tramite del genero Battista Firenzuola, informava il Savonarola su ciò che avveniva a Roma, prestandosi anche a far da intermediario quando il frate si rivolse ad alcuni cardinali per la convocazione di un concilio straordinario.
Alla fine del dicembre 1497 a successore del B. fu nominato Domenico Bonsi, che raggiunse la sede appena un mese dopo. La situazione però era così grave che i Dieci ordinarono al B. di rimanere per collaborare col nuovo ambasciatore. Egli rimase a Roma, benché in seguito alla riforma della Cancelleria del 13 febbr. 1498, fosse stato eletto per due anni, con deliberazione del 18 febbraio, cancelliere della seconda cancelleria, cessando da primo segretario della Signoria. Sopravvenne la crisi e il B. (che anelava a rientrare a Firenze) fu posto sempre più in disparte dal Bonsi, che alla corte pontificia faceva una politica chiaramente antisavonaroliana. Alla morte del frate, il B., avendo "operato in favore de' frateschi" (Parenti, cod. II, IV, 170, f. 39v della Bibl. Naz. Centr. di Firenze), fu rimosso dai suoi uffici, e in data 8 giugno richiamato da Roma e invitato a presentarsi alla Signoria (Sig.,Coll.,Delib., ord. aut., 100, f. 57). Il B. non si presentò subito, ma ottenne varie proroghe, rispettivamente il 22 e 27 giugno e il 9 e 30 luglio (ibid., ff. 63v, 65v, 78 e 86). Comparve al cospetto dei Signori soltanto l'8 agosto (ibid., f. 86), quando evidentemente ritenne che le acque si fossero calmate. Al suo posto di capo della seconda cancelleria era stato eletto nel frattempo (il 19 giugno 1498) Niccolò Machiavelli.
Estromesso dalla vita pubblica, il B. dovette riprendere la sua professione notarile per poter mantenere la sua numerosa famiglia. Non abbiamo altre sue notizie fino al novembre 1502, quando fu di nuovo inviato dalla Signoria presso la corte pontificia, in aiuto all'ambasciatore fiorentino, (che per un certo tempo fu Giovan Vittorio Soderini). La sua missione però durò pochi mesi, perché colpito da forti febbri morì, dopo pochi giorni di malattia, il 7 luglio 1503, lontano dalla patria e dalla famiglia. Fu sepolto nella chiesa di S. Prassede, e sulla sua tomba fu posto, alcuni anni dopo, un epitafio dal nipote Angelo Firenzuola, che ricordò il nonno con parole di elogio anche nella prefazione alla sua versione di Apuleio.
Edizioni. 1) Volgarizzamento dell'Historia de duobus amantibus di E. S. Piccolomini [stampato a Milano, Leonhard Pachel e Ulrich Schinzenzeler, 1481-83]. Edizioni successive: [Firenze, Bartolomeo de' Libri, 1485 c.]; Firenze, Francesco di Dino, 1489; Brescia, Battista Farfengo, 31 ott. 1491; Bologna, Ercole Nani, 31 ag. 1492; Firenze [Lorenzo Morgiani], 1500 c. Il volgarizzamento ebbe una notevole diffusione nella prima metà del sec. XVI (se ne contano circa una quindicina di edizioni, quasi tutte veneziane), poi fu ristampato nel 1832 a Capolago, insieme al testo latino del Piccolomini e una versione a fronte di C. M. Massa, condotta in parte su quella dei Braccesi. Le stampe successive (circa una decina fino a quella del Rizzoli di Milano del 1936) seguono la versione più fedele al testo del Massa. Un prospetto, non sempre attendibile, delle edizioni del volgarizzamento del B. nell'articolo di G. Zannoni, Per la storia d'una storia d'amore, in La Cultura, IX (1890), pp. 91 ss.
2) Volgarizzamento delle Guerre esterne e delle Guerre civili dei Romani:Le Guerre esterne furono edite in Roma da Euchario Silber (Franck Alamano) il 22 apr. 1502; le Guerre civili in Firenze "per li Heredi di Philippo di Giunta nell'anno del Signore MDXIX". Edizioni successive: a cominciare dalla ristampa delle Guerre esterne del 1520 "per li heredi di Philippo di giunta", le due parti del volgarizzamento del B. furono riedite, insieme o separate, circa una ventina di volte a Firenze e a Venezia durante il secolo XVI, e poi, più tardi, nel sec. XVIII a Verona nel 1730-32 e a Roma nel 1791-92. In molte di queste edizioni figurano anche i volgarizzamenti delle parti di Appiano ignote al B., a cura di Paolo Manuzio, Lodovico Dolce e Giacomo Ruscelli.
3) Canti carnascialeschi: Tutti i Trionfi,Carri,Mascherate o Canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del Magnifico Lorenzo de' Medici fino all'Anno 1559, Cosmopoli 1750, pp. 548-55. L'edizione uscì in realtà a Lucca e fu curata da Rinaldo Bracci (sotto il nome di Neri del Boccia), che si servì di un manoscritto andato perduto. Il ritratto del B. si trova a p. 549. Dei quattro canti del B., uno (la "Canzona de' savi") fu ristampato tra i Canti carnascialeschi del Rinascimento, a cura di Ch. S. Singleton, Bari 1936, p. 216.
4) Poesie latine: Alexandri Braccii Carmina, a cura di A. Perosa, Firenze 1954. Edizione critica di tutte le poesie latine del B. giunte a noi, e cioè della raccolta in tre libri (Amorum libellus,Liber secundus epistolarum ad amicos,Epigrammatum libellus) e delle poche extravaganti. Su questa edizione cfr. la rec. di N. Terzaghi, in Leonardo, n.s., XV (1946), pp. 108-12, e la risposta di A. Perosa, Postilla ad un'edizione critica, ibid., pp. 381-84.
5) Canzoniere,Sonetti alla burchia:Del Canzoniere e dei Sonetti alla burchia non esistono edizioni integrali a stampa. Tre poesie del Canzoniere con altre otto scritte appositamente furono pubblicate dallo stesso B. nella sua edizione del volgarizzamento della Historia de duobus amantibus del Piccolomini, e sono state riprodotte in tutte le edizioni successive. Singole poesie di ambedue le raccolte sono state poi pubblicate da J. Lamius, Cataloguscodicum manuscriptorum qui in Bibliotheca Riccardiana Florentiae adservantur, Liburni 1756, p. 87 (due sonetti burchielleschi), F. Flamini, La lirica toscana del Rinascimento, Pisa 1891, p. 191 (una poesia del Canzoniere), G. Mazzoni, A proposito dei sonetti di Cesare Pascarella, in Rivista d'Italia, IV (1901), 1, p. 23 (due sonetti burchielleschi), B. Agnoletti, A. B., Firenze 1901 passim (undici poesie del Canzoniere e trentacinque sonetti burchielleschi, non sempre integralmente), A. Perosa, cit., pp. 157 s. (due sonetti extravaganti).
6) Lettere: le lettere private e d'ufficio del B., scritte parte in latino e parte in volgare, sono numerosissime e nella quasi totalità inedite. La maggior parte di esse si trova nell'Archivio di Stato di Firenze; sono dirette, quasi esclusivamente, a Lorenzo e a Piero de' Medici (cfr. Archivio mediceo avanti il Principato, Inventario, I-IV, Roma 1951-59, ad Indices) e ai Dieci di Balia o ad altri ufficiali della Repubblica. Un gruppo importante di quarantacinque lettere, dirette a Bernardo e a Niccolò Michelozzi, si trova nel fondo Ginori Conti 29, 17della Bibl. Naz. Centrale di Firenze. Poche altre sono conservate da codici o particolari raccolte: tre (allo Scala, a Francesco Gaddi e a Niccolò Michelozzi) dal Laur. 91 sup. 41, ff. 71, 75 s.; nove (a Bartolomeo e a Benedetto Dei) dal carteggio Dei del Laur. Ashb. 1481 (cass. I, 52-54, 56-59; II, 37-38); tre (a Francesco di ser Barone) dal Magl. VIII, s. IV, VIII, ff. 3-5;nove (a Battista Serristori e a Giovanni Bernardo Iacopi) dal Maruc. A 16, ff. 35-43; cinque (a Niccolò Michelozzi) dalla raccolta di Tammaro De Marinis a Firenze. Quasi tutte queste lettere sono originali autografe. In copia possediamo la silloge già citata del codice Auct. F. 2. 17 della Bodleian Library di Oxford, che contiene circa una quarantina di lettere del B. dirette al Michelozzi, al Naldi, allo Scala e ad altri umanisti. Di questa imponente corrispondenza del B. sono stati finora pubblicati (spesso parzialmente) soltanto singoli pezzi da O. Tommasini, La vita e gli scritti di N. Machiavelli, I, Torino 1883, pp. 184 s. (estratti); L. Thuasne, Iohannis Burchardi Diarium, Paris 1884, pp. 668 ss. (quattro lettere); A. Gherardi, Nuovi documenti e studi intorno a Girolamo Savonarola, Firenze 1887, pp. 149, 153, 164, 167, 171, 173 (sette lettere); B. Agnoletti, cit., pp. 143 n. 1, 144 n. 1, 151, 165, 207, 217 (sei lettere); A. Perosa, cit., pp. 156 e 158 (tre lettere); P. O. Kristeller, An unknown correspondence of A. B...., in Classical Mediaeval and Renaissance studies in honor of B. L. Ullman, Roma 1964, pp. 349 ss. (otto lettere); T. De Marinis-A. Perosa, Nuovi documenti per la storia del Rinascimento, Firenze 1970, pp. 43 ss. (cinque lettere).
Bibl.: Un quadro schematico della vita, delle opere e della relativa bibliografia alla voce "Alessandro Braccesi" curata da A. Perosa nel fascicolo di saggio del Repertorio degli umanisti italiani, progettato dall'Istituto nazionale di Studi sul Rinascimento, Firenze 1943, pp. 3-5. Sul B. l'unica monografia è quella già citata di B. Agnoletti (Firenze 1901), che allo stato attuale degli studi è del tutto insoddisfacente. Ad essa si aggiunga: I. Gaddi, Elogi storici, Firenze 1639, p. 262; S. Ammirato, Istorie fiorentine, III, Firenze 1641, pp. 239 ss.; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 16; A. Zeno, Dissertazioni vossiane, II, Venezia 1752, pp. 153 ss.; D. M. Manni, Le veglie piacevoli, I, Firenze 1815, pp. 67-69; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, VI, 4, Venezia 1823, p. 1217; A. Firenzuola, pref. al volg. dell'Asinod'oro di Apuleio, in Opere, II, Firenze 1848, pp. 5 s.; A. Cosci, G. Savonarola e i nuovi documenti intorno al medesimo, in Arch. stor. ital., s. 4, IV (1879), pp. 439 s., 442, 444 s., 447, 451, 453; V. Cortesi, La storia di due amanti di E. S. Piccolomini, in Preludio, VI (1882), pp. 258-61, 266-73; G. Zannoni, Per la "Storia di due amanti" di E. S. Piccolomini, in Rend. d. Acc. dei Lincei, s. 4, VI (1890), 1, pp. 116-27; Id., Relazione a S. E. il ministro su di un codice di rime del secolo XV, in Boll. uff. d. min. d. Pubbl. Istr., XXII (1895), pp. 397-407; A. Lazzari, Ugolino e Michele Verino, Torino 1897, pp. 43-46; A. Della Torre, La prima ambasceria di Bernardo Bembo, in Giorn. stor. della lett. ital., XXXV (1900), pp. 309 ss.; Id., Storia dell'Accademia platonica, Firenze 1902, pp. 656 e passim;P. Villari, La storia di G. Savonarola e dei suoi tempi, II, Firenze 1910, pp. CLXIII s., CLXXIX, CXCIV, CCXXX, CCLXXX; D. Marzi, La cancelleria della Repubblica fiorentina, Rocca San Casciano 1910, pp. 268, 603 ss., 607 ss., 610 ss.; G. Bottiglioni, La lirica latina in Firenze nella seconda metà del secolo XV, Pisa 1913, pp. 58-70, 98 s., 118, 145, 212 s.; J. Schnitzer, Savonarola, München 1924, passim;G. B. Picotti, La giovinezza di Leone X, Milano 1927, pp. 27, 124, 398, 527, 599; L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1932, pp. 436, 466; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1933, p. 552; P. O. Kristeller, Supplementum Ficinianum, II, Florentiae 1937, pp. 221 s., 338; A. Perosa, Miscellanea di filologia umanistica, II, in La Rinascita, III (1940), 11, pp. 143-49; Id., Misc. di filologia umanistica, V, ibid., V (1942), 25, pp. 323-31; Id., Storia di un libro di poesie latine dell'umanista fiorentino A. B., in La Bibliofilia, XLV (1943), 7-12, pp. 138-185; R. Ridolfi, Vita di Girolamo Savonarola, Roma 1952, passim;N. Rubinstein, The Beginnings of Niccolò Machiavelli's career in the Florentine Chancery, in Italian Studies, XI (1956), pp. 88, 90; R. De Maio, Savonarola e la Curia romana, Roma 1969, pp. 103, 105 ss., 133, 149 236; P. O. Kristeller, Iter italicum, I-II, ad Indices.