CALANDRELLI, Alessandro
Fratello di Ludovico, nacque a Roma l'8 ott. 1905 da Giovanni, incisore di pietre preziose, e da Maria Borelli. Entrato nell'artiglieria pontificia, divenne cadetto effettivo il 4 marzo 1818; contemporaneamente si dedicò agli studi scientifici. Sottotenente onorario nel 1824, tenente in 2a nel 1828, nel 1830 venne preposto a effettuare il cambio delle armi in uso alla guardia civica; destinato poi a Civitavecchia, nel 1839 venne promosso tenente in a e fu nominato membro della Commissione straordinaria per le nuove fortificazioni fino al 1843. Nominato nel 1846 cavaliere di S. Silvestro, il C. venne incaricato della compilazione del Regolamento per le vestimenta ed armamento della Guardia Civica nello Stato Pontificio, che gli valse una medaglia d'oro (1847).
Nel tempestoso novembre romano del 1848, dopo l'assassinio di P. Rossi e la fuga di Pio IX da Roma, il C., che era stato promosso capitano, aderì senza esitazioni al governo provvisorio instauratosi nella città, per quanto attestato sulle posizioni moderate comuni a molti dei suoi concittadini. Promosso il 6 dic. 1848 al grado di maggiore con funzioni di direttore del materiale, nel gennaio fu eletto deputato all'Assemblea costituente e quindi, dopo la proclamazione della Repubblica divenne, il 16 febbr. 1849, per l'assenza del titolare Pompeo di Campello, sostituto del ministro della Guerra e della Marina. In seguito, costituito l'8 marzo un nuovo ministero, il C. fu nominato ministro interno.
Nel breve periodo in cui ricoprì tale carica, il C. tentò di rendere più efficiente l'armamento dell'esercito, sia sollecitando la consegna di forniture militari già ordinate all'estero (che però non fu possibile ottenere), sia chiedendo alle industrie locali una maggiore produzione di materiale bellico. Ma rispondendo a una serie di interpellanze, presentate tra il 25 e 27 marzo, egli era costretto ad ammettere la gravità della situazione per l'insufficiente preparazione militare: il rimedio che proponeva per aumentare almeno gli effettivi dell'esercito, cioè la coscrizione obbligatoria per gli uomini dai diciotto ai trentasei anni, con possibilità di esenzione previo pagamento di una forte tassa, fu respinto dall'Assemblea. Questa proposta, che mirava - con poche probabilità di successo in un paese non abituato agli arruolamenti forzati - alla creazione di un grosso esercito regolare, proveniva dalla sfiducia che il C. nutriva nei confronti dei corpi volontari in generale e della legione Garibaldi in particolare, di cui lamentava la crescita incontrollata con l'inserimento di elementi indisciplinati, provocatori di disordini e perfino di incidenti diplomatici con gli Stati confinanti.
Proprio su questo punto sorse un serio dissidio tra il ministro e la Commissione di guerra (composta di cinque membri, tra cui il Pisacane), che su proposta del Mazzini l'Assemblea aveva provveduto ad affiancargli (17 marzo 1849). Poco dopo il C. fu definitivamente messo in disparte e il 2 aprile il decreto del triumvirato che nominava i nuovi ministri affidava temporaneamente alla Commissione di guerra il ministero della Guerra e Marina.
Partecipò, in seguito, alle operazioni di difesa della città assediata dai Francesi e il 30 aprile meritò una medaglia d'oro al valor militare. Presidente della Commissione per giudicare le requisizioni illegali (8 maggio) e membro di quella per giudicare i prevenuti d'ammutinamento, fu nominato direttore generale delle fortificazioni e promosso al grado di colonnello (17 maggio). Il 22 giugno si distinse per l'abilità con cui diresse il fuoco della artiglieria romana, impedendo al Francesi il rafforzamento delle posizioni conquistate di sorpresa il giorno precedente presso le mura del Gianicolo. Il 1º luglio 1849, precipitate ormai le sorti della Repubblica sopraffatta dalla superiorità militare dei Francesi, dopo le dimissioni del triumvirato Mazzini, Saffi e Armellini. il C. fu chiamato dall'Assemblea, insieme con Livio Mariani e Aurelio Saliceti, a comporne un altro. Già il 3 luglio, però, i Francesi erano in Roma e in pratica l'attività del C. come triumviro si limitò alla distribuzione, tra i deputati che ne avessero fatto richiesta, di una somma di 14.000 scudi stanziati dal ministero dell'Interno a titolo d'indennizzo.
Con il ristabilimento del governo pontificio, contro il C. piovvero accuse di furto, concussione e ricettazione. Invano egli tentò di espatriare rivolgendosi alle autorità francesi a Roma, che gli concessero un passaporto per la Francia e una somma di denaro; infatti la polizia pontificia, rinvenuto nella sua abitazione materiale di provenienza sospetta, procedeva il 29 settembre al suo fermo che, nel novembre, si tramutava in arresto. Il 24 giugno 1851 il C., benché durante il processo si fosse protestato innocente, venne condannato a tre anni per furto, a quindici anni ancora per furto e a morte per alto tradimento, pene che nell'agosto Pio IX commutava in venti anni da scontarsi nel carcere di Ancona.
Le accuse di furto contro il C., che in quanto comandante di corpi militari era stato escluso dal godimento dell'amnistia e quindi dimesso dall'esercito, si basavano sul rinvenimento in casa sua di libri provenienti dalla biblioteca dell'Accademia ecclesiastica, la cui presenza il C. non fu in grado di giustificare in modo convincente. C'è da dire inoltre che nell'incartamento relativo al processo (Archivio di Stato di Roma, Tribunale Sagra Consulta, b. 220, f. 153) compare una lettera cifrata proveniente da Berlino, con timbro 2 dic. 1853, e attribuita al C.: lo scrivente invita l'ignoto destinatario a farsi consegnare da un tale Vito Enei parte di quanto era stato rubato nel 1849 ai frati del convento delle Mantellate. Dal che si dovrebbe desumere che l'azione giudiziaria promossa dalla magistratura pontificia non fosse del tutto infondata.
Ripetuti interventi, tendenti a ottenergli la grazia, furono effettuati presso la corte pontificia nell'aprile e nell'agosto del 1851 (Arch. Segr. Vat., Segreteria di Stato, a. 1851, rubr. 165, fasc. 1) dai diplomatici prussiani a Roma, per ordine di Federico Guglielmo IV che aveva aderito a una supplica del padre del C., dal 1832 emigrato a Berlino, dove era stato nominato maestro dell'istituto d'arti. Un altro passo in suo favore fu effettuato da Parigi dal gen. Vaillant: il 19 giugno 1853 (Arch. Segr. Vat., Segreteria di Stato, a. 1853, rubrica 210, fasc. 7). Ma il 15 giugno 1853 Pio IX aveva già commutato in esilio perpetuo la pena del C., il quale, nello stesso mese, fornito di un passaporto prussiano, lasciò Ancona per raggiungere a Berlino il padre e il fratello Ludovico. Qui egli rimase fino al 1870.
In questi anni, su cui si hanno pochissime notizie, per guadagnarsi di che vivere diede lezioni di italiano, avendo tra gli altri come allievi A. von Humboldt e Ferdinand Lassalle; tornò a occuparsi dello studio della mineralogia; si sposò con Emilia Reineke dalla quale ebbe tre figli. Nell'ottobre 1855, dopo la morte del fratello Ludovico, avrebbe voluto recarsi in Turchia, ma ne fu dissuaso dai suoi amici.
Appena a conoscenza dell'avvenuta presa di Roma, il C. vi tornò il 2 ott. 1870. Riuscì subito a reinserirsi nella vita politica. Consigliere del Circolo romano, che faceva capo ad uomini come Pianciani, Montecchi, Nino Costa, riuscì vittorioso alle elezioni comunali del 13 novembre, essendo candidato comune dei democratici e dei moderati. Presentatosi anche alle elezioni generali del 20 novembre, con un programma che prevedeva la ristrutturazione dell'esercito, l'obbligatorietà per l'arruolato a prestare servizio di leva, il decentramento amministrativo, la perequazione tributaria, il C. venne sconfitto nel ballottaggio avvenuto il 27 novembre dal candidato moderato R. Marchetti. All'inizio del 1871 cominciò una saltuaria collaborazione al quotidiano Il Tribuno, che nel gennaio ospitava due sue lettere aperte destinate a suscitare un certo scalpore.
Nella prima, datata 13 gennaio e indirizzata Ai deputati romani al Parlamento, il C. faceva un quadro deprimente della situazione economica romana, deplorava che il trasferimento della capitale non venisse effettuato con la sperata sollecitudine e criticava apertamente l'indifferenza del governo verso i gravi problemi che affliggevano Roma. Di tono ancora più acceso la seconda lettera, pubblicata sul numero del 22 gennaio e diretta All'avvocato Antonio Stefanucci Ala; definito lo Statuto "un letto di Procuste favoritoci dal Piemonte" sul quale "ci siamo sforzati e ci sforziamo di aggiustare ed immiserire l'Italia", il C. chiedeva, la creazione di una Costituente che "sulle basi di una monarchia Costituzionale" riorganizzasse l'Italia "tenendo conto delle più vitali parti di ogni provincia, ed assimilandole in una vitalità omogenea". Il paese, a suo dire, abbisognava di codici meno autoritari e di un sistema carcerario più moderno: contro il materialismo imperante rivalutava la funzione della religione e della Chiesa, "gran baluardo di civiltà e della libertà"; chiedeva una riforma del sistema elettorale, dominato dal "monopolio occulto del Governo"; ribadiva la necessità di una tassazione progressiva dei redditi.
Queste argomentazioni riscossero la piena approvazione della Civiltà cattolica (4 marzo 1871, pp. 578-584), che non esitò a strumentalizzare le accuse del C. per dimostrare che il governo italiano aveva tradito tutte le aspettative dei Romani. Forse perché amareggiato da queste impreviste conseguenze, il C. abbandonava la polemica politica e dedicava i suoi interessi esclusivamente a problemi di natura tecnica, pubblicando nello stesso 1871 una memoria su La Salaria, ossia una ferrovia dal Tirreno all'Adriatico per le valli del Tevere, Velino, Tronto e, sul Tribuno, vari interventi a proposito della sistemazione urbanistica di Roma (era stato nominato frattanto ispettore edilizio del comune di Roma con compiti di supervisione). Il 13 giugno presentò, per motivi personali, le dimissioni da consigliere municipale, e da allora accettò soltanto qualche incarico onorifico o di rappresentanza: dal 1871 era iscritto alla Società dei reduci delle patrie battaglie di cui nel 1875 divenne consigliere, nel 1872 fece parte della Commissione per le onoranze pubbliche a Mazzini e di quella incaricata di individuare i nomi dei Romani caduti durante il Risorgimento, nel 1873 guidò la delegazione degli operai romani alla Esposizione di Vienna. Come urbanista entrò più volte in polemica con quanti si battevano per una troppo disinvolta ristrutturazione edilizia della città, denunciando anche le offese arrecate sotto forma di furti o di vendite illegittime al patrimonio archeologico della capitale. Nel 1884 donò alla Commissione per la Esposizione del Risorgimento tutti i documenti da lui raccolti e si ritirò in Albano Laziale, dove morì il 7 febbr. 1888.
Fonti e Bibl.: Per la data di morte: Albano Laziale, Archivio comunale, Stato civile. Documenti riguardanti il C. si conservano a Roma, Museo centrale del Risorgimento, buste 116-120 (cfr. E. Morelli, I fondi archivistici del Museo Centrale del Ris., XXX: Le carte di A. e L. C., in Rass. stor. del Ris., LV [1968], pp. 70-74). Nell'Archivio di Stato di Roma, Fondo Pianciani, b. 8, si conservano 28 lettere del C. al Pianciani, posteriori al 1870. Le Assemblee del Risorgimento, Roma, Roma 1911, III, pp. 371, 466 s., 962-66; IV, pp. 115-122; E. Morelli, I verbali del Comitato esecutivo della Repubblica Romana del 1849, in Arch. della Soc. rom. di storia patria, LXXII(1949), pp. 29-96, passim; Stato degli inquisiti della S. Consulta per la rivoluzione del 1849, a cura del R. Arch. di Stato di Roma, I, Roma 1937, p. 46.
La bibliografia è molto lacunosa e si riferisce in genere al periodo 1849-53; si vedano comunque: G. Gabussi, Memorie per servire alla storia della rivoluzione degli Stati Romani, III, Genova 1852, pp. 128, 210-213, 310, 435, 472; L. C. Farini, Lo Stato romano dall'anno 1815 al 1850, Firenze 1853, III, pp. 242, 317; IV, pp. 214 ss.; L. Pianciani, La Rome des papes, III, Bále-London 1859, pp. 295-308; E. Loevinson, G. Garibaldi e la sua legione nello Stato Romano 1848-49, Roma-Milano 1902-07, ad Indicem; G. Santini, A. C. e la vita dei prigionieri politici e comuni nella Darsena di Ancona dal 1851 al 1853, in Le Marche nel Risorgimento italiano, III (1927), pp. 6-12; A. Cucchiari, L'ultimo triumvirato, in Capitolum, XXIV (1949), pp. 223-232; A. M. Ghisalberti, Roma da Mazzini a Pio IX, Milano 1958, ad Indicem;G. Santini, L'ergastolo di Ancona, estr. da Rendiconti dell'Ist. marchigiano discienze, lettere ed arti, XX(1955-60); G. Sacchetti, La requisizione della mula bianca del papa, in Strenna dei romanisti, XXII (1961), pp. 67-72; C. Pavone, Le prime elezioni a Roma e nel Lazio dopo il XX settembre, in Arch. d. Soc. rom. di st. patria, IXXXV-LXXXVI (1962-63), pp. 384, 391, 423, 433, 436; G. Monsagrati, Un episodio della seconda Restaurazione Pontificia: il caso C., in Rass. stor. del Risorgimento, LIX (1972), pp. 531-62. Si vedano anche le succinte biografie di E. Ovidi, in Diz. del Ris. naz., II, Milano 1930, pp. 480 s., e di P. Coltellacci-F. Gerardi, Biografie Calandrelli, in Rass. stor. del Risorg., I (1914), pp. 945 s.